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lettura da "l'inverno e il rosaio"
tracce di scoutismo clandestino
a cura di Arrigo Luppi (Morgan)

Ecco, bussano alla porta; è un pomeriggio piovoso.

Mio padre ed i miei fratelli sono al lavoro; io seduta alla scrivania faccio i compiti, mia madre agucchia accanto al tavolo, mia sorella gioca in un angolo.

Tony, un ragazzone che abita vicino a noi, entra e con aria misteriosa dice: «Arrivano i fascisti, frugano in ogni angolo» poi scappa via.

Mia madre si alza di scatto, in camera si assicura che la panca ove Emilio tiene il materiale scout sia ben chiusa a chiave, torna in cucina.

Io le sono accanto impaurita; lei guarda i quadretti appesi sopra il divano che illustrano la legge scout.

Passa qualche minuto, a me sembra una eternità! Mamma mi sussurra: «É sicuramente una spiata, non temere, io sono qui».

Eccoli, sono quattro, tutti vestiti di nero, il fiocco - pure nero - del berretto copre quasi i loro occhi.  Hanno in mano un bastone grosso e corto.

Parlano con mia madre, non capisco bene come si svolge il dialogo: sono troppo impaurita.

Alla fine però odo distintamente il più grosso urlare puntante il dito verso quei quadretti: «Via quella robaccia, distruggetela, altrimenti saranno guai», poi fortunatamente insieme agli altri se ne va sbattendo la porta.

Alla sera, tornati a casa, i miei fratelli e mio padre parlano animatamente dell'accaduto.

Io seduta in terra guardo i quadretti e rileggo le scritte:

«Lo scout è sempre lieto e contento, lo scout obbedisce agli ordini,  lo scout è cortese, fratello di ogni altro scout a qualunque classe appartenga, è dovere dello scout essere utile al prossimo, lo scout è buono anche con gli animali,

lo scout è leale, è economo, l'onore dello scout merita ogni fiducia, lo scout è puro di pensieri, parole ed opere. La Promessa. Estote Parati».

Mentre osservo, mio fratello si alza e lentamente toglie i quadretti dalla parete e li allinea sul tavolo, li ammucchia e li ripone nella cassapanca.

Si rivolge a noi dicendo: «Ho riposto i quadretti, ma noi ci ritroviamo tutti domenica, e continueremo, nessuno ce lo impedirà».

Qualche settimana più tardi i quadretti erano di nuovo appesi; avevano solo cambiato parete!

Esattamente non saprei dire se da quei giorni passarono poche settimane o qualche mese ma una sera, all'imbrunire il nostro «Sparviero» Fracassi arrivò di corsa trafelato, entrò in casa senza bussare, come catapultato.

Era arruffato, ansimante, la giacca strappata, respirava a fatica.

Che spavento!...  Mio fratello ed i miei gli furono intorno e lui dopo una pausa disse...

«I fascisti» e raccontò.

Uscito di casa, aveva notato nell'androne al buio, due giovani dall'aria sospetta; aveva tirato diritto per i fatti suoi, ma voltato l'angolo della via, altri due gli sbarrarono il passo, si trovò circondato da quei giovinastri che cominciarono a ‘menarlo’.

Fu un attimo, riuscì con uno sforzo violento a sfilarsi la cinghia di cuoio dei pantaloni e giù a roteare a destra ed a sinistra, picchiava sodo.

Quelli, non aspettandosi simile reazione, o perché la cinghia aveva lasciato il segno, filarono via nel buio senza lasciare traccia.

Vigliacchi!

Di corsa lui era salito da noi, il rifugio sicuro ed il posto più vicino al luogo del misfatto...

Si riassettò alla meglio, cenò con noi; mia mamma, sapendo della sua predilezione per un certo formaggio al quale lui dedicava superlative sinfonie gastronomiche (il «gorgonzola»), gliene offrì...

Tornò un po' di bonaccia... e si decise di accompagnarlo tutti insieme a casa.