<<Intervista a Checco
Annotazioni critiche
Manlio
Brusatin
«Per ritrovare i luoghi di
Francesco Piazza bisogna vagare in quegli stretti confini dove la città non è
più tale, ma dove la campagna non è ancora stata umiliata da una trasformazione
senza immagini. Qui ai bordi di una Treviso sommersa fra erbe fiori e filari di
vigne, abita il gentilissimo Piazza, con la sua sottile selvatichezza, con la
sua punta da incisore.
E’ all’interno di quest’ars
meditativa, che Francesco Piazza, dopo gli anni di Asolo, decide nel 1957 di
interrompere per un tempo lunghissimo, quasi una vita da artista, la pratica
dell’incisione, e di riprendere il filo di quest’arte intessuta dai molti segni
soltanto nel 1974.
Le incisioni di Francesco Piazza
“si recitano con gli occhi” ed esse stesse hanno, all’interno della loro
pagina, un titolo che ha sempre il ritmo e il timbro di un verso…»
Sandro
Zanotto
«Anche se vivono sommerse dal
clamore delle metropoli, le piccole città venete continuano a rivelare i misteri
nascosti nei loro recessi meno battuti, quasi dimenticati in un silenzio
apparente, quello di una vita segreta ricca di voci e suoni nati su lunghezze
d’onda sconosciute ai più. Siamo, infatti, rimasti in pochi ancora a conoscere
certi angiporti assorti e certi penetrali sfuggiti ai piani regolatori; dopo di
essi, dove la città finisce in stradine remote che si perdono nei campi, tra
case custodite dal verde, da canti di uccelli e ronzii di insetti, pare
confinata l’anima vera di questi centri urbani, la loro identità non ancora
smarrita. Accade anche a Treviso, nella strada dei Biscari, in località di S.
Bona…le cui siepi, ai bordi delle stradine sembrano il filo conduttore di un
labirinto che ha come punto di arrivo la casa di Francesco Piazza.
Anche a Francesco è certo toccata
la sua parte di inferno su questa terra, come a tutti quelli che tendono a
vivere troppo intensamente negli spazi dell’animo. Egli, nella poesia, definisce
il suo spazio psicologico compiutamente, appunto trattando le parole con la
chiarezza con cui maneggia i colori e le linee.
Da questi (Ciardi, Fattori,
Barbisan) ha acquisito, oltre al magistero tecnico, l’idea di base della pittura
di paesaggio, che però ha concettualmente superato quando scoprì la sentenza di Klimt: “Il paesaggio è qualcosa di sacro, che vive indipendente dall’uomo.”
C’era da rivoluzionare, prima e al di là della pittura, l’atteggiamento con cui
ci si doveva accostare al paesaggio e agli elementi vivi di esso, l’occhio con
cui lo si doveva guardare e l’animo che lo doveva sentire. »
Luciana Crosato Larcher
Francesco Piazza ha compiuto
molta strada, da quando, nel 1979, presentai la sua opera grafica all’Istituto
Italiano di Cultura di Monaco; quale uomo e artista è rimasto immutato nel suo
amore e nel suo credo verso la terra veneta e, in particolare, la campagna trevigiana. Sono le colline dell’Asolano care al
Bembo e a Giorgione, i celebri
corsi d’acqua che solcano la Marca, i parchi delle palladiane ville, i giardini
della ridente Treviso, la campagna anticamente coltivata a grano e a viti, ad
offrire, con altrettanta coerenza, all’artista, la tematica per le sue opere.
Nascono paesaggi che
gridano la gioia di vivere. “Il Veneto: ricco
d’acque…verde e rigoglioso…giardino di Venezia…terra fertile.”
Carlo Munari
«In effetti Piazza è saldamente,
indissolubilmente,
vincolato alle sue origini. La humus veneta è prodiga
di linfe alla sua creatività e l’immagine che ne consegue ne reca tratti certi,
la sigla inconfondibile che da ogni altra la distingue.
Per Piazza, infatti,
interlocutrice insostituibile è la natura colta sovente
nei suoi aspetti più
umili e
dimessi. E’ la natura rappresentata dal microcosmo in cui egli consuma
le proprie giornate: l’orto attorno casa, i solitari sentieri della campagna trevigiana, i casolari dei contadini, e stagni e rogge, e le colline che
sembrano sfumare nel cielo… Universo breve ma albergo di prodigi se,
quotidianamente rivisitato, costituisce per l’artista l’inesauribile fonte delle
stimolazioni creative.
Quando un messaggio è recepibile
in contorni tanto nitidi, estranei ad ogni compromissione e ambiguità, significa
che lo spessore qualitativo dell’opera sussiste in pienezza. E’ il caso di
Francesco Piazza, sia che ci si rivolga agli oli - dispiegati su registri
cromatici di alta intensità - sia che ci si rivolga all’opera grafica, nella quale il magistero tecnico non è mai
fine a se stesso, edonistica ostentazione
di disinvolta bravura, ma sempre posto al servizio dell’espressione di contenuti
rintracciati in quel colloquio con la natura su cui ci si è fin qui
soffermati.
A comprovare la divisa morale di
Francesco Piazza è del resto un silenzio durato due decenni: decenni trascorsi
in riflessione solitaria. Solo quando egli ebbe consapevolezza della legittimità
del suo discorso uscì allo scoperto: non per cercare effimeri elogi o successi
mondani ma per far dono agli uomini di quel nutrimento prezioso e insostituibile
ch’è la poesia. »
Il Gazzettino
31 luglio 2007
Eugenio Manzato
Con la scomparsa di
Francesco Piazza Treviso perde un artista che ha animato con la sua
produzione e le sue proposte espositive la vita culturale della
città per quasi mezzo secolo. Nato a Venezia nel 1951, ma trasferito
ben presto a Treviso, la sua formazione è nel solco della più
schietta tradizione trevigiana: la pittura "leggera" dei pittori
della Rossignona, il naturalismo suntuoso di Giovanni Barbisan, di
cui frequenta a lungo lo studio. E nel solco del più genuino
naturalismo si innesta la sua produzione sia pittorica che
incisoria, ma con un accento del tutto personale, di afflato lirico
permeato di religiosità. Se è vero che nel nome c'è la persona,
Piazza incarna pienamente il sentimento francescano di fratellanza
con la natura: amore di Dio e amore per la natura coincidono nelle
sue delicate acqueforti in cui il variare delle stagioni è visto
all'interno del grande disegno provvidenziale. Ma l'afflato lirico e
religioso è sostenuto da una tecnica altissima capace, come ebbe a
ricordare non senza compiacimento da maestro Giovanni Barbisan, di
conferire ai paesaggi "la morbidità della luce e la limpidezza dei
cieli".
Esordiente giovanissimo ‑ i suoi primi lavori risalgono al 1951 ‑
partecipa poco più che ventenne a importanti mostre e
manifestazioni, conseguendo nel 1954 il primo premio nella
prestigiosa rassegna del "Bianco e Nero" di Cittadella.
Dopo un lungo periodo di ritiro, ritorna all' attività artistica nel
1974, facendosi cantore, attraverso le sue liriche acqueforti, dei
luoghi più belli della città e del territorio: Asolo, il Montello,
il corso del Sile, la campagna coltivata, sono soggetti ricorrenti,
colti nell'alternanza delle stagioni, le distanze spaziate dalle
siepi di confine, l'intrico dei rami spesso sfumato da nebbie
leggere; e poi la città, talora vista in panorami di tetti, o nei
luoghi caratteristici intorno alla Pescheria o in scorci dalle mura.
Ma progressivamente il raggio della visione di Piazza si va
ritirando e concentrando a Santa Bona, nei campi intorno alla sua
casa-studio, per finire tra gli alberi del suo giardino, o nei
solchi al di là della rete di confine: perché l'Infinito non va
cercato in luoghi esotici o lontani, l'Infinito è nel giardino di
casa, l'Infinito è dentro chi sa guardare e tradurre in arte e
poesia la visione.
La casa di via dei Biscari non era semplicemente lo studio di
Francesco Piazza: ad essa confluivano anzitutto nel segno
dell'amicizia, e poi per finalità d'arte e di cultura, tanti
trevigiani a conversare in semplicità con "Checco", con la moglie
Anna Maria, persona di straordinaria intelligenza e umanità, con i
loro scouts divenuti nel tempo adulti, ma animati sempre da cordiale
altruismo e fedelissimi, in un affetto schiettamente filiale, alle
loro antiche guide. Sono questi "ragazzi" che hanno mantenuto vivo
il ricordo di Piazza dopo che, nel 1995, era stato colpito da un
male paralizzante; ad essi ‑ in testa l’amico manager Lino Bianchin
‑ è ora affidata la memoria dell'artista: si aprirà a giorni, a Vigo
di Cadore, una mostra da tempo programmata, che sarà ora
imprevedibilmente la prima mostra postuma, il cui titolo è
emblematico: Il respiro dell’infinito.
IL GAZZETTINO
29 luglio 2007
Chiara Voltarel
Francesco
Piazza
si è spento ieri, nella tarda mattinata. Se n'è andato così un grande pittore ma
soprattutto un grande incisore, trevigiano d'adozione. Nato a Venezia nel 1931
viveva in via dei Biscari, a Santa Bona. Casa-universo, centro vivo, aperto a
tutti e polo di
attrazione per tanti, luogo che divideva con la moglie Anna Maria Feder, morta
nel 1987. Sempre assieme ma in contrasto: lui era la roccia, la stabilità, lei
il vento, sempre in movimento. Ora in quelle stanze, si è adagiato un velo. Gli
amici più cari,
i suoi figli
spirituali, quelli della Fondazione
Piazza
, sono lì, lo ricordano. Per loro era "Checco". Lo accudivano dal 1995 quando
venne colpito da un ictus che lo immobilizzò e privò della parola. Era ancora
vigile, si teneva informato, leggeva e con chi riusciva a capire le sue
espressioni commentava le notizie.
Desideroso di tranquillità,
uomo straordinario, straordinario artista. Allievo di Giovanni Barbisan, nella
sua attività ha realizzato circa seicento acqueforti che si distinguono per un
segno, secco, netto, incisivo e raffinato. Con il suo linguaggio essenziale ci
ha raccontato
il mondo della natura, in una quasi assoluta assenza dell'uomo. Il
tema viene colto nella quotidianità, si eleva nei suoi paesaggi verso dimensioni
quasi metafisiche, tese all'aldilà. E lo spirituale è elemento preponderante.
Profondo credente,
Piazza era solito
commentare ed accompagnare i suoi lavori con versetti tratti dalle Sacre
Scritture, in prevalenza salmi che illustrano il rapporto dell'uomo con la
natura. Ci ha lasciato opere liriche, fogli dove ritroviamo in veste grafica il
Cantico delle Creature o immagini dove cerca di fissare un'epoca trascorsa.
Ha partecipato alle più
importanti manifestazioni artistiche come la Biennale d'Arte Triveneta, quella
Internazionale d'Arte di Venezia o all'Opera Bevilacqua la Masa. Affermatosi in
territorio internazionale ha esposto in tutto il mondo. I trevigiani lo
ricordano soprattutto per la mostra realizzata nel Battistero di San Giovanni a
Treviso, nel 1992, in occasione del centenario della "Vita del Popolo", testata
per cui realizzava alcune copertine. Ancora da definire la data del funerale.
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