
Ha scritto di Checco:
Ivo
Prandin
«Le parole affioravano
dalle incisioni prima con l’apparente funzione di didascalia, cioè timide e
marginali; poi nella trama dei segni, dei graffi amorevoli ed insistenti sulla
lastra, quelle parole hanno occupato uno spazio sempre meno marginale nel lavoro
di Francesco Piazza.
Finché erano fogli
dispersi, foglie cadute dall’albero della pittura e dell’incisione, queste
poesie potevano apparire come effimere manifestazioni. Ora che l’artista li ha
raccolti e riletti, appaiono uniti e coerenti, nodi e trama di un progetto
spirituale, di una “carta dell’uomo” che serve ad ipotecare il futuro. La
parola, insomma, ha trovato il varco giusto, lo spazio ossigenato per esprimersi
in piena autonomia.
L’artista non è “un
altro”, non c’è – in Piazza – una separazione fra l’incisore e l’uomo: ogni
parte è legata, ogni pensiero si armonizza con gli spazi della vita, con la
“calma gioia” dove, magari, c’è un umilissimo gufo che canta il Creato, e il
suo verso è – idea bellissima – un “salmo d’attesa”.»
Ha scritto di Checco:
Luigi Pianca
«Francesco Piazza è poeta d’anime. Non è facile scoprirlo, anche se lo hai
tutto davanti. Leggendo la sua raccolta di
poesie
se ne rimane
attratti, conquistati dal primo all’ultimo verso …; ma quando cerchiamo di
fissare i momenti della sua originalità, il compito si rivela arduo. Essa è in
ogni frase e, nello stesso tempo, non è in nessun luogo; la si vuole fermare e
la si sente passar via, nell’attimo della scansione.
Questo perché la lingua di Piazza è
impastata delle
parole di ogni giorno, il suo pensiero dei pensieri di ognuno. Perciò tutto pare
ovvio e tutto sembra uguale a quello che usualmente si pensa o si dice.
E’ il maturo
romanticismo dell’autore che, investito di pietà francescana, si dichiara in
favore delle piccole creature indifese. Interessante, a questo proposito,
l'ultima composizione della raccolta “Passero casalingo” redatta sul
ritmo di un Inno Sacro o di una Laude medioevale. Prima di lui, Leopardi si
era paragonato al passero. Ma, mentre il grande di Recanati lo aveva fatto per
evidenziare la propria inguaribile infelicità, Piazza, con serena ironia, se ne
serve per tracciare un’immagine di tranquilla ilarità, di quiete, di ozio
meditativo; per godere della gioia inventiva di fantasticare e giocare con lui.
Egli trae dalle proprie esperienze di vita un bilancio positivo: vivere è sempre
e comunque un dono da assaporare, se lo si
accoglie
con la disponibilità e la serenità del saggio, dell’uomo che :
… - Finita è la speranza e la certezza
del bello che verrà;
resta la calma gioia
d’aver vissuto. E’ autunno. – »
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