PAGINE INEDITE NELLA STORIA DI LONGARONE


Martedì 21 gennaio 1964
Lavorarono  in  silenzio  gli  scouts
nella  tragica  vallata  della  morte
Messaggio di luce - Una «giardinetta» da Bologna colme di medicinali, vestiti e coperte - I magnifici settanta dei Veneto - Nell'ansa di Cadola - Al composan-
to di Fortogna  -  Senza pretendere un « g r a z i e »: è la legge di San Giorgio
Sì, dobbiamo deciderci a scriverla, questa storia degli «Scouts» di Longarone, di questi ragazzi che nella immane tragedia hanno portato, colla loro abnegazione e col loro riserbo, un messaggio di luce. E che, ad essere precisi, non sono veramente «BoyScouts», bensì «Rovers»: che appartengono cioè alla terza Branca, la più anziana, dell'A.S.C.I. (dai 17 anni). 
Gli inviati della grande stampa non ne hanno mai più parlato, i paparazzi non li hanno fotografati, nè la Rai nè la TV, così sollecite nell'ammannirci le squallide avventure della diva di turno, se ne sono occupate. Raccontiamo ora soltanto, per quanto abbiamo veduto in quei giorni, spiacenti che i nostri dati non siano completi e coll'augurio che un giorno qualcuno la scriva intera, questa bella pagina che onora la giovinezza d'Italia. 
Sono le 23 e cinque minuti del 9 ottobre. 
Scavalcato lo sbarramento di Soverzene, l'ondata furibonda chè in balzi fulminei ha raschiato via Longarone, Villanova, Pirago, Faè, rotolando giù da settentrione si catapulta con violenza immane contro Cadola, là dove il Piave, girando, sotto la piramide del Dolada, in un'ansa strettissima, sembra ritornare su se stesso. L'inarrestabile violenza delle acque trascina, ruggendo in un tragico mulinello,cadaveri e tronchi. Prima di mezzanotte l'anziano Arciprete Mons. Giovanni Viezzer, il medico, il Cappellano e l'economo rag. Moncato Enzo raccolgono le prime salme: a Soccher salvano una famiglia scoperchiando il tetto della casa. 
Nelle prime ore del 10, giungono le Forze Armate e quelle dell'ordine: gravitano attorno a Longarone: a 
Cadola sono presenti solo vigili dei fuoco. Senza attendere autorizzazioni, il sindaco Umberto Orzes organizza settanta volontari civili, e non si toglie gli stivaloni neppure la notte.
Nel pomeriggio arriva una giardinetta colma di medicinali, vestiti, lenzuola, coperte, raccolte dall'Azione Cattolica di Bologna: sono Rovers e ragazzi della Giac: Marco Panzacchi e Franco Broccoli si trattengono alcuni giorni.

Sono dieci di Bassano

Ma non ci sono feriti da soccorrere: soltanto morti, morti, morti. 
Ed ecco, inaspettata benedizione, giungono i Rovers dell'ASCI, e si affiancano; gomito a gomito, in un unico slancio di abnegazione, ai volontari civili. 
Sono una decina dì Bassano del Grappa, col capo clan Giovanni Zambon, muniti di tende, e quasi diffidati dal prefetto di Belluno. 
Sono una trentina di Treviso, equipaggiati con sacco a pelo, stivaloni e guanti: del Gruppo Tv 1° «N. S. della strada», coll'A. E. Don Angelo Martini ed il, capo clan ing. Giorgio Pizzinato: del Gruppo Tv2° «La Quercia - Madonna del Rovere», col capo clan ing, Gino Piazza.
Sono una trentina di Conegliano, col vice-sindaco avv. Travaglini, una decina di Mestre: un «Routier» piomba, dopo dieci ore di autostop, da Parigi: si chiama Maier Jean Max.

Temprati da giorni rudi

Da Sorverzene a foce del Rio Secco, settanta Rovers veneti sono al lavoro, e risalgono, anche per qualche chilometro, il 

retroterra, come alla Schiette, nella Conca del Rai, dove operano settanta volontari capeggiati dal sindaco di Pieve d'Alpago. Cari e inimitabili ragazzi!
Erano accorsi per salvare dei vivi, e non avevano forse mai veduta da vicino il volto della morte: ed ecco, improvvisa,  è davanti a loro la terrificante visione di una tragedia assurda e irrazionale, fuori dei tempo e al di là della vita.
Ma le giornate «rudi» del Grande Gioco li hanno ben temprati: e tengono duro.
i più giovani sorreggono e consolano l'angoscia dei sopravvissuti, che invano si chinano sulla faccia dei vecchi incise dal segno della lotta e del patimento, sul sorriso d'angeli dormenti che splende miracolosamen- te intatto sul volto dei fanciulli. I più anziani si fanno largo tra gli sterpi e i cespugli grondanti di melma, avanzano sotto i canneti piegati e stravolti dalla livida fiumana; si infilano negli anfratti mefitici delle sponde; si immergono nel pantano e si calano nelle pozzanghere.
Sollevano e rimuovono, a furia di braccia, centinaia di travi, di assi di tronchi disseminati e accavallati in una tragica sarabanda giallastra. Estraggono dalla coltre.implacabile ed orrenda di mota le povere salme sfiancate,spelate, piagate, raschiate scorticate, frantumate, mutilate, decapitate, fatte brandelli senza più forma, nell'infrenabile rammulinare della ondata.
Chiudono le palpebre stravolte e ripuliscono le bocche piene di fango.
Questo, senza soste, per ore ed ore; metro dopo metro, hanno compiuto più di settanta Rovers dell'ASCI veneta: e Padre Ezio, che per tre giorni visse cogli operai costruttori della diga, nel guardarli, piange.

L'opera di misericordia

Al camposanto improvvisato di Fortogna si sale, scavalcata la linea ferroviaria, per una breve pista incisa nel verde dei prati, in faccia alla cuspide dello Spitz Gallina, che, al di là del Piave, leva nell'azzurro l'ombra delle crepe  immani. Odore di morte e di formalina: attorno alle grandi tende della «Croce Bianca », la Associazione Volontari di pronto soccorso organizzata dalle Forze Cattoliche della Diocesi di Milano, accorsa sotto guida dell'infaticabile segretario Giovanni Trolli e di Mons. Andrea Ghetti dell'ASCI milanese: sono Rovere di Milano e militi della Croce Bianca: è assistente Don Ella Mandelli, del Riparto MI Gilell.
Qui, altri Rovers dell'ASCI completano l'opera di misericordia iniziata dai loro fratelli, giù a valle: il volto protetto dalla mascherina bianca, vestono sulla uniforme scout il camice candido della «Croce Bianca»: al collo affiora il fazzoletto di Clan.
Riconosciamo i magnifici ragazzi di Mel, col caporiparto Veniero Galvaghi, di Belluno, coi C. P. Alfonso de Salvador, di Milano, di Assisi, di Foligno, di Macerata: in tutto una cinquantina.Da Oderzo sono giunti, con l'A. E., alcuni Scouts e Lupetti, per compiere la Buona Azione: Padre Pellegrino dei Cappuccini di Belluno è ammirato: e, con lui, lo sono i medici italiani, jugoslavi, inglesi.
In silenzio essi rinnovano, instancabili, un rito dolce di fraternità per questi morti dei quali troppi non avranno più nome, per questi vivi che non troveranno più i loro morti. 
Dal mattino alla sera essi accolgono le povere 
membra impastate di melma e chiazzate di grumi, già contaminate  dall'orrore della decomposizione, le sollevano e le depongono, dolcemente, come fossero cosa viva, tra gli assi biancastri; le accompagnano per l'ultimo viaggio, nella assurda carezza del sole; le calano giù, nel fondo delle grandi fosse spaventose, a formare una allucinante fila di bare a contatto; gettano su di esse una ultima manata di terra.

Di fronte alla diga

E poi le vegliano, sotto le stelle; e pregano pace a quelle povere anime che d'improvviso - forse troppo d'improvviso - sono state sbalzate oltre la soglia del mistero. Di fronte alla diga: sul gradino dell'Altare Maggiore, unico avanzo della Parrocchiale di Longarone, don Elia ha celebrato la Messa, per i vivi e i defunti. E poi un Rover in faccia a questa esperienza di dolore ha pronunciato la sua promessa scout. 
Questo hanno fatto i ragazzi dell'ASCI.
Ed era giusto ricordarlo, perché nel tempo del più smaccato esibizionismo, hanno voluto operare in silenzio: «Sensa tante ciacere», è il commento unanime.
Per questo i buoni popolani di Cadola di Fortogna della Vallata della morte non potranno dimenticare questi generosi ragazzi d'Italia che sono venuti quassù senza che alcuno li chiamasse, e sono ripartiti, sempre in silenzio, senza chiedere un grazie.
Perché questa è la loro Legge, la Legge di San Giorgio.

Gilberto Borin