Non avevamo certo idea di quello che avremmo trovato allorché partimmo per Càdola e Ponte delle Alpi, chiamati dal
nostro spirito di servizio sui luoghi della sciagura di Longarone.
L'immaginazione non poteva certo farci intravvedere il dramma che avremmo conosciuto. Ora, nella nostra mente, nel
nostro cuore, resta una esperienza che nessuno di noi dimenticherà facilmente.
Mi sentii il cuore in gola quando, dopo le prime ricerche, ci trovammo davanti alla figura ignuda di un fanciullo, coperto di
sangue e di fango. Dopo quella visione speravamo di non trovare nessuna altra salma; avevamo paura di trovarci ancora
davanti alla morte, così squallida, così brutale, così spietata.
Il pomeriggio di quel giorno fu terribile, ricuperammo ben 10 salme. Per ogni salma si rinnovavano in noi i sentimenti di
orrore prima, di pietà poi, sempre di disperata impotenza perché l'unico aiuto che potevamo offrire a quei fratelli era di
ricomporli con amore e di riportarli ai vivi perché li piangessero.
La sera dovevamo darci il turno per vegliare le salme già composte nelle bare. Il nostro compito era quello di attendere i
parenti e i conoscenti venuti alla ricerca dei loro morti, di aprir loro le bare per i riconoscimenti. Ci sforzavamo anche di
consolare quegli sventurati che, dopo il loro straziante pellegrinaggio, trovavano un loro caro tra quei corpi. Fu davvero
una dura prova dover ogni volta, alla luce delle lampade, esaminare una per una tutte le salme e vedere quei volti
spaventosamente trasfigurati.
Nella nostra dolorosa fatica eravamo sostenuti dalla affettuosa ammirazione della gente
del luogo e molte volte c'era chi ci domandava dove trovassimo il coraggio di portare a termine il servizio che ci
eravamo assunti.
Noi non sapevamo dare una risposta perché la forza era in noi e solo ora ci rendiamo conto che era il Signore a
sorreggerci nella prova.
Dopo una settimana ci fu richiesto di prestar servizio a Cimolais e a Claut agli sfollati riuniti nelle Colonie locali. lo vi
rimasi una settimana. Di Claut posso dire ben poco ma parlerò di Cimolais dove fui assegnato più a lungo.
Al mio arrivo c'erano circa 180 sfollati. Il lavoro era molto. Al mattino si dovevano riordinare i dormitori, pulire scale e
pavimenti, rifare i letti, stirare e lavare; alle 11 si scendeva in refettorio a preparare le tavole e a servire il pranzo.
Collaboravano con noi anche le Scolte di Treviso che si prodigavano con efficienza, incuranti della fatica.
Solo nella sera ci si riposava un po' e allora cantavamo insieme i nostri canti. Ricorderò sempre una vecchina che nella
sventura si mostrava fiduciosa e calma... ella amava tanto ascoltare quei cori di montagna che noi cantavamo volentieri
per lei.
Gli sfollati per lo più sembravano apatici, si sentivano soli, trascurati, abbandonati.
Noi cercavamo di essere loro amici e
credo che molti ci ricorderanno con simpatia.
Infine cessò anche il nostro periodo di servizio, il Sacerdote responsabile della Colonia ci ringraziò caldamente e ci
accompagnò con la sua benedizione.
Quello che abbiamo fatto, ora ci pare inverosimile, ma è che da Lupetti e poi da Scouts ci siamo preparati ogni giorno
proprio per essere capaci di affrontare con serenità la prova, giunta così improvvisa, di mostrare a noi stessi e agli altri
che i Rovers sanno servire.
Gianfranco Ricato