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TESTIMONIANZE

Sono una signora della regione dell'Umbria e ho avuto la fortuna di conoscere e praticare la famiglia di Anna Maria Feder. Una famiglia di rispetto, onorata, la migliore del paese. Non poteva che venir fuori una bambina meravigliosa come Anna Maria.

Di carattere socievole, sincera, amica di tutti i bambini del paese, era allegra, vispa, iniziava sempre i giochi e trasportava tutti con sé. Era una ragazzina simpatica, dolce, rispettosa, studiosa, religiosa, e ubbidiente. Con tutti le ridevano gli occhi. La sua fanciullezza, gli anni più belli, li ha trascorsi qui, al piccolo paese di S. Eraclio di Foligno dove ha lasciato tanti ricordi e per il quale le rimase tanta nostalgia.

Poi finì la guerra e Anna Maria lasciò l'Umbria per andare a vivere a S. Bona di Treviso dove si è fatta tanti altri amici nuovi ed ha seguito con profitto gli studi fino a laurearsi. E' stata per tanti anni maestra degli scout che erano la sua passione ed era felice di educare le giovani generazioni facendo la professoressa con uguale entusiasmo.

Il suo matrimonio felice era unito dall'amore e dal rispetto reciproco ed io andavo più spesso che potevo nella sua casa piena di amici; per me era una gioia immensa stare lì a trascorrere le ore e parlare con Anna Maria, una donna di spirito e piena di iniziative che fin da bambina aveva avuto in dono un cuore grande, paziente e generoso.

Durante la guerra, in quei momenti neri, volle che sua madre disfasse i grembiulini suoi e di sua sorella per fare i pantaloncini al mio bambino che aveva un anno di vita. Così si nasce e sono doni che il Signore ispira, è vero, ed Anna Maria è stata scelta per fare del bene all'umanità!

Io e Anna Maria tenevamo una corrispondenza stretta e non mi separerò mai dalla sua posta, quelle lettere le tengo con rispetto, le rileggo spessissimo e sempre le sue parole gentili mi tirano su di morale. Era una donna stupenda, non potrò mai dimenticare una amica così. Spesso mi viene una spina nel cuore a pensare che non è più con noi, poi penso che si trova in cielo con la mamma celeste di tutti noi e mi riprende un po' di serenità; mi dico: questa donna ha lasciato un vuoto immenso per tanti che l'hanno conosciuta ma la sua figura mi sta sempre presente e i suoi modi, il suo sorriso sono sempre con me, non mi sfuggono mai, lei è qui con me.

Mi scrisse che non appena fosse stata meglio sarebbe venuta in Umbria a trascorrere qualche giorno con me ma il suo destino non ha voluto che si realizzasse questo suo sogno, ora mi viene un nodo alla gola e non riesco a continuare. Ma devo dirti grazie, per i bellissimi ricordi che mi hai lasciato, miei, tutti miei, non posso ricompensarti che con le mie semplici preghiere.

L'amica sincera di Anna Maria
la Peppina Antonietti


 

Parlare di una splendida persona quale è stata Anna Feder mi rende entusiasta. So tuttavia che poche parole non basteranno a far trasparire tutto il fascino della sua energia, della sua voglia di vivere, della sua generosità e disponibilità verso gli altri.
Conobbi Anna molto tempo fa... nel 1947!

La guerra è finita solo da un paio d'anni e la famiglia di un ufficiale in congedo viene ad abitare a Treviso, proveniente da S. Eraclio di Foligno. Il padre, Col. Antonio, severo e cordiale, la mamma, simpatica, cortese e giovanile: quante guide e quanti scouts saranno amichevolmente accolti nella loro casa in via S. Bona! Tre i figli: Anna, Maresa e Franco.

Anna è una guida di 14 anni. Ha fatto la Promessa a Foligno ma a quel tempo a Treviso non ci sono che pochi scouts spesso confusi con i «Balilla». Perché allora non fondare a Treviso un Riparto A.G.I..? - Pensa lei.

Ha bisogno prima di tutto di un assistente per il Riparto ed Anna ha la fortuna di trovarlo in Don Arduino Faccin, meraviglioso, aperto sacerdote, insegnante di religione che già lavora con i giovani della FUCI. Occorre una garanzia, una ragazza grande che faccia da Capo ed Anna trova la dolce Mariuccia e quindi raduna intorno a sé alcune compagne con le quali formare la prima squadriglia, quella gloriosa delle Gazzelle. Riesce anche a procurarsi una sede: una bella e grande stanza presso le suore dell'istituto S. Anna in piazza Duomo.
Nell'ottobre 1948 i primi «Piedi Teneri» sono pronti per la Promessa. 
«Ben un anno è durato il loro superamento prove!» - dice Don Arduino, con un'espressione del volto commossa e raggiante che ancora ricordo e invita tutte le trenta ragazze della mia classe a partecipare a tale cerimonia.
Io vado, ma non trovo nessuna mia compagna e penso, quindi, di aver dato eccessiva importanza all'invito. La cerimonia sarà invece meravigliosa. Subito, infatti, rimango colpita dalla serietà e dal rituale della Promessa davanti all'altare e nelle mani della Commissaria Regionale: il saluto, la Legge delle Guide, quell'«ora fai parte della grande famiglia delle Guide» e i canti che commozione!
Al termine Don Arduino mi fa conoscere queste prime otto Guide: Mariuccia la C.R., Anna Cursi, Vittoria e Irene Magno, Franca Serena, Marisa Gardin, Maresa Feder e... quindi Anna. Sarebbe finito tutto lì se il sabato seguente Anna non fosse venuta a prendermi a casa per accompagnarmi alla riunione di Riparto. Anna non si perde in chiacchiere: a pochi passi da casa dice: «La Promessa è per tutta la vita». Ed io penso: «Dirò che mia madre non mi lascia».
Una scusa questa che si vanifica nello spazio di un vicolo lungo pochi metri perché di fronte al fascino di Anna e del guidismo non si può restare insensibili: sei mesi dopo, nella domenica in Albis, altre due promesse: Sisa Monico e me.
Si forma la seconda Sq., Edelweiss con il motto «sempre sulle cime», si parte per il primo campo a Forno di Zoldo (sempre pioggia!). Poi Mariuccia lascia Treviso e ci troviamo un'altra C.R.: Bianca Potenza alla quale succede Anna che a 17 anni è la più giovane C.R. d'Italia!
Gli anni che seguono sono meravigliosi, densi di attività meravigliose perché Anna è sempre meravigliosa!
Sorgono molti Riparti in zona: lo Spresiano con Bianca Pilla che diventerà Commissaria Regionale, lo Zenson di Piave con Gabriella Dalsecco, il Noale e poi altri Riparti a Treviso tra i quali il TV 2 che prima è di Velleda Tassoni poi di Claudia Marcheggiano, tanto amata e tanto rimpianta quando tornerà a soli 19 anni alla Casa del Padre.

Quante altre esperienze fino al 1961! Il Fuoco, i Riparti, la Zona, le uscite, i S. Giorgio nel parco di Villa Margherita, la problematica ricerca di luoghi adatti ad ospitare i campi di Zona che vedono annualmente la partecipazione di un centinaio tra ragazze e 
capi. Se ne fanno una decina tra cui i più belli sono quelli del «Cervo Bianco» e della «Freccia d'argento» e poi Anna diventa Commissaria Regionale perché Lidia Rossut, prima grande Commissaria del Veneto va in Africa come Missionaria laica; è affiancata dall'Assistente Regionale Don Sandro Gottardi che nel 1963 diventerà Arcivescovo a Trento.

Lavorare con Anna è una gioia sempre nuova: è sempre allegra, leale, generosa, riconoscente, affettuosa, comprensiva e fonte inesauribile di idee fantastiche. Lei dà fiducia a tutti e questo è fondamentale perché sapere di essere apprezzati per quello che si è e capiti per quello che si fa con entusiasmo ed impegno aiuta a superare le insicurezze ed a valorizzare. il potenziale di ognuna di noi.
Quanto ero orgogliosa di essere sua amica e quanto ero felice li avere il privilegio di lavorare con lei!
Con grande dispiacere lasciai lei e le mie guide per trasferirmi a Trento impegnata nel mio servizio di moglie e di madre.
Brevi incontri poi, ma sempre preziosi: «Quello che abbiamo dentro nessuno può togliercelo - diceva - e al momento opportuno verrà fuori perché l'impegno di dedicarci agli altri è per sempre».

Olga Schiavinato Tomasi



Ho conosciuto Anna come allieva in una prima liceo, forse del 948; l'ho avuta poi, dopo la laurea, quale vivace collaboratrice di Quattroesse, il giornalino della Scuola, come collega di insegnamento alla Media «Serena», come insegnante alla Media «Coletti» dove per tredici anni fu mia vice-preside.
Sono indicazioni aride di una carriera troppo breve, ma percorsa - direi - con molte soddisfazioni, nella quale Anna profuse tutte le sue energie di educatrice ed insegnante verso i figli degli altri, non avendole concesso il destino di averne di propri.
Parlare di chi non è più con noi e ci ha lasciati è difficile: troppo spesso non si riesce a dire solo la verità; parlare di Anna è facile, perché tutto il bene che si voglia dire di lei è «la verità».

Quando lasciai la Scuola nel 1977 mi scrisse una lettera profondamente sentita, di cui purtroppo, per ovvie ragioni, posso riportare solo uno squarcio. «Io non amo il sentimentalismo, anzi, lo detesto e lo disprezzo, ma mi sembra di essere vile e di tradire l'essenza che la vita ci offre da vivere se, per pigrizia, faciloneria, debolezza o superficialità non mi fermo a considerare e celebrare i fatti e gli incontri che scandiscono i tempi della mia vita e la modellano in un certo senso».

Fedele a questo suo insegnamento ho voluto rileggere le note informative stilate, chiaramente a freddo, negli anni in cui fu alla «Coletti». Nel 1965 dicevo di lei che, «pur essendo insofferente delle scadenze burocratiche che la Scuola impone, la sua efficacia didattica e la sua azione educativa erano lodevoli; che, richiesta di collaborazione nella direzione della Scuola, la dava generosamente e con intelligenza; che sapeva farsi amare dai ragazzi con i quali era in lodevoli rapporti di amicizia»; e tra le attitudini personali scrivevo (nel 1968) che "era simpatica e ben voluta dagli alunni, con i quali applicava in classe metodi democratici sfruttando le sue esperienze del mondo scautistico".

E nel 1966 avevo scritto che «pur essendole toccata una classe di elementi scadenti, sotto ogni punto di vista, ne cavava abbastanza, grazie alla sua capacità di galvanizzarli e di creare in loro uno spirito di classe».

Queste sue qualità, che figuravano quali informazioni riservate, erano, in realtà, note a tutti, ai suoi alunni innanzitutto, che la consideravano una brava sorella maggiore, di cui ci si poteva fidare, ai colleghi che ininterrottamente la elessero, con votazioni scontate, nel Consiglio di Presidenza, ai tanti amici che furono sempre intorno a lei e a Checco, ai cani (no, non sono blasfemo) i quali erano pur sempre creature di Dio, con una qualche ragione di vivere, di amare e di essere amati.

Quando lasciai la Scuola, Anna vi restò ancora per poco tempo. Fu l'epoca di un'amicizia sincera, delle visite nella mia casa in collina, con amici e con una cordialità senza pari; nell'ultimo periodo della sua sfortunata esistenza, un giorno, le lessi ciò che stavo facendo; parlavo sempre io, per non costringerla ad affaticarsi, ma la sua approvazione per quanto ascoltava era entusiastica, le ridava gioia e consolazione e, forse, speranza.
Oggi noi la ricordiamo. La folla dei suoi amici ed ammiratori, se ci fosse tutta, non potrebbe entrare neppure in dieci chiese come questa; noi siamo i fortunati presenti.
Ti ringraziamo di tutto, Anna, anche di ciò che non ammette spiegazioni e impallidisce di fronte a parole inadeguate e incapaci; ti ringraziamo, soprattutto, dell'esempio che hai dato, nel bene e nel male. 

A.S.




«Ognuno di noi, nel profondo del suo essere, in un particolare tempo della storia, genera un messaggio che è come una creature viva, e questo messaggio cade nel profondo di un altro essere che lo accoglie col compito di mantenerlo in vita per generare qualcos'altro di vivo. Questa operazione, per essere umana, ha bisogno di rispettare il tempo della storia e della vita, perché siamo tutti labili creature, e ciascuno, col proprio carico di gioie, di ansie, e di problemi è questo terreno di accoglienza del messaggio che ci è giunto».
In questa lettera del settembre 1986 Annamaria, la donna educatrice di sempre, rivela, con pudore e lucida consapevolezza la maturità spirituale alla quale il Signore l'aveva portata per vie misteriose e dolorose, ed insieme la maturità educativa.
Una vera educatrice infatti non trasmette nozioni astratte e neutre, bensì «messaggi» di vita, perché destinati all'uomo e per la, maturazione della persona. Perciò sono messaggi - in qualunque «operazione» d'insegnamento o di educazione si concretizzino - che devono essere «generati».
Questo l'Anna aveva compreso, sentendosi chiamata a una maternità spirituale col sacrificio della sua maternità fisica, che la impegnava su orizzonti più vasti e con una dedizione ben più profonda. Il rapporto educativo va da persona a persona ed è un fatto generativo, come ha sempre insegnato la grande tradizione classica e cristiana. Operazione di vita, e perciò umana, che esige di rispettare anche i tempi e i modi della vita personale e di quella collettiva, col realismo della storia dei gruppi umani. Quanta «pazienza» in questo rispetto dei tempi reali di maturazione! Quale lezione di vita in questo sacrificio delle proprie impazienze, dei propri desideri, anche dei propri slanci apostolici!
Le persone non hanno i ritmi e le modalità di crescila che noi vorremmo. La tolleranza, la libertà, la pazienza forte e operosa sono i segni più maturi dell'amore alla realtà umana. Ma la fede dell'Anna, cresciuta attraverso esperienze difficili di sofferenze fisiche e spirituali che toccarono l'eroismo, le aveva rivelato la radice più profonda di questo amore alla vita; mistero che solo la frequentazione attenta e disponibile - da vera discepola - della Parola di Dio poteva rivelare.
Ed ecco la rivelazione: «perché tutti siamo labili creature».
L'Anna forte, intraprendente, creativa e sicura, era diventata 1'Anna labile, fragile, povera. Ma proprio in questa fragilità ella aveva raggiunto la vera fortezza secondo la fede. Perché la coscienza sperimentata ed accettata della propria fragilità l'aveva liberata da ogni idolatria e da ogni presunzione. Il miracolo del suo «messaggio umano», di questa generazione spirituale tra persona e persona, si realizza infatti solo quando sono vinte le resistenze e le durezze: nella fragilità, appunto.
«Col proprio carico di gioie, di ansie, e di problemi, ciascuno è questo terreno di accoglienza del messaggio che ci è giunto». Dobbiamo essere umani, soltanto umani - sembra dirci 1'Anna, quale suprema parola che ella ha vissuto e pronunciato - perché il terreno umanissimo è quello dove la Parola di Dio diventa carne e rende divino l'uomo. La redenzione è resurrezione. Ogni uomo, nel suo farsi uomo autentico, ne è destinatario e artefice insieme. E' questa la nobiltà che Cristo ci ha donato insegnandoci anche le regole che essa esige.

Don Lino Cusinato


Stampato in occasione
del primo anniversario dalla morte
17 Febbraio 1988

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