PENSIERI DA TRE LETTERE DI ANNA MARIA "Spesso alla sera" - confessa - "sono ipertesa perché vorrei vedere un po' di lavoro concreto uscire dalle mie mani e invece mi sembra di non concludere nulla," - ma poi aggiunge con lucida coscienza - "...mi domando se sia proprio necessario che noi vediamo con gli occhi o se non basta che veda Dio. Ma alle volte ci vuole più fede di quanta ne ho io. Ecco penso allora che Dio mi abbia messo al mondo per costringermi irrimediabilmente a fare atti di fede su atti di fede e più si va avanti più vedi che la fede è tutt'altro che un pacchetto da portare nella propria borsa, è come una cosa magica che quando sei convinta di averne un pacchetto e fai per scartarlo, ti accorgi che non ne hai neanche un granino, e allora sei costretta a lasciare lì di nuovo tutto e ricominciare a raccoglierne. Si impara solo una cosa: a non custodirla come un pacchetto ma a tenerla sempre in mano pregando che quando la mano si dovrà aprire, ne abbiamo tanta quanto basta per quell'ora e quel giorno. Insomma è proprio il dono e la pena più grossi di tutti." In questa corrispondenza epistolare con una amica missionaria che operava in Africa, presa dall'ammirazione per l'esperienza eccezionale che costei viveva, scrive con empito e passione; "ma allora, esiste un mondo vergine in cui cadono le barriere e si può cominciare nuovi. Non è importante dove sia questo mondo, a me non importa raggiungerlo materialmente, purché ci sia, perché allora è più facile credere e lottare per la Verità che sentiamo dentro di noi e a cui spesso ci viene la tentazione di non credere." - E continua di slancio: "Allora ti ho conosciuta. Ho capito quanto fosse importante per me e non solo per me che tu avessi fatto tutto quello che hai fatto perché noi ne abbiamo bisogno, un disperato bisogno di sapere che c'è un giovinezza che non muore, che c'è una ricchezza inesauribile; abbiamo bisogno di avventura e di eroi, abbiamo sete di trasfigurare le vicende umane esteriormente povere, in opere d'arte." Quale esempio di energia e insieme di fantasia espressiva per tanti giovani nostri! "E tu eri tutto questo: una promessa realizzata, un avamposto ben difeso, e il pensiero che eri una donna con tutto quello che di debolezza e di sconforto, di fragilità e sensibilità esso comporta era ancora più bello. Tu forse ritieni di essere andata in Tunisia per aiutare gli arabi e non sai che il lavoro più grosso, più impegnativo e valido l'hai fatto ai tuoi, a quelli che hai lasciato, che neppure conoscevi. E questo è il Corpo Mistico, la più bella delle belle promesse e delle belle realtà che confortano il nostro cammino." Presa dalla volontà di partecipazione che la preme, anche lei vorrebbe arrivare laggiù ma poi riconosce che il suo "avamposto sta qui", "...mi è di grande conforto il pensare che tu esisti e hai realizzato molti dei sogni della mia anima. Così mi sembra che non sia importante che lo faccia io, perché l'hai fatto tu con amore e l'amore è un tessuto in cui la vita di uno si compenetra in quella di un altro, è come un grande fiume che tiene in sospensione mille e mille cose fino a che tutti insieme arriveremo al mare e lì ci dondoleremo contenti di essere tutti la stessa cosa." La terza lettera, del 1980, è densa di riflessioni sulla vita e sulla morte, che non appaiono casuali in questo secondo anniversario. Oggi sentiamo la sua presenza ogni istante più vicina, mentre nei primi giorni, dopo la sua scomparsa, eravamo come straniti dal dolore e la temevamo perduta, alienata per sempre. "Non è
casuale l'ora in cui si muore, il che in un certo senso deve tranquillizzare il nostro cuore: esiste nella nostra vita quotidiana e di relazione un enorme mistero che
ci portiamo dentro, senza riuscire mai a possederlo ed è il mistero della vita di ciascuno di noi che si dilata nel tempo secondo un preciso filo che sfugge a chiunque, compreso il proprietario, ma esiste perché, altrimenti, non vivremmo neppure. E questo mistero che ci accompagna e vorrei dire che vive una sua vita nella nostra vita, un giorno si fa presente allontanandosi da noi e se ne va o meglio si sostanzia divenendo un'unità che è noi ed è altro che noi, ma questo non accade né per caso né fuori del giusto tempo... ci sentiamo attori ma recitiamo, senza sapere, un copione scritto da altri e subito siamo spettatori di noi stessi. Abbiamo solo due alternative: o di sentirci burattini folli, immersi in una folle avventura senza senso, sospinti verso un inghiottitoio buio, dopo
essere passati su passerelle traballanti.. oppure il mistero ha un nome e si chiama Dio ... ».
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