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PENSIERI DA TRE LETTERE DI ANNA MARIA



Leggere le lettere di Anna Maria Feder Piazza significa entrare in un cerchio magico, in cui parole e immagini sono sintesi sempre viva di fede e di grazia, anche se la battuta di spirito - a volte frizzante come un vino nuovo - ti pungola e ti richiama al quotidiano dell'esistenza, mentre la riflessione ti illumina come una lampada e il sentimento è un fiume in piena, ma senza il limo, acqua sorgiva.

E' così che dalla stanza di S. Bona prima, dalla casa di Via dei Biscari poi, aperte ad una variopinta presenza comunitaria, tiene i contatti con le persone lontane a cui si sente vicina per idealità e apostolato, con quella inventiva e vivacità discorsiva che rendono la sua corrispondenza unica, in un secolo di messaggi telegrafici o di dialoghi al telefono.

Come quando, dopo essersi garbatamente scusata con un'amica per un lungo silenzio epistolare, esprime la sua felicità per aver trovato il momento di prendere la penna in mano perché « ... per una rarissima occasione sono sola,. ho spedito tutta la mia tribù, un po' riluttante, ai Santi Esercizi Spirituali, compreso il beneamato Francesco ... ». Preludio distensivo che non ha nulla di frivolo, necessario peraltro ad introdurre a riflessioni ben più impegnative, in cui appare tutta la volontà di superare gli ostacoli che le si frapponevano in un momento difficile per le attività scautistiche e le sue responsabilità di Commissaria Nazionale A. G.I. per la Branca Guide.

Con la decisione nell'azione e con la certezze delle sue convinzioni, che rappresentavano alcuni aspetti del suo carisma di capo, affermava più avanti: « ... ognuno deve restare al posto dove è stato messo nell'ora in cui è stato messo, altrimenti non c'è fede e /10 1? si può modificare nulla dalle fondamenta.» perché: « i miracoli bisogna provocarli con tutte le forze ed io, con la mia Branca in mezzo ad enormi difficoltà, cerco di farlo. Ho fra un mese un i raduno (..) che mi preoccupa moltissimo, e mi affido alle tue preghiere confidando nella Comunione dei Santi .. ».

In un'altra lettera del 7 Novembre 1969, parlando del gruppo che si era formato attorno a lei, scriveva: "La nostra comunità è sempre bella, anche se come tutte le cose belle e vive, uno se la deve guadagnare con tante rinunce, tanta pazienza e tanto sudore. L'importante è che viva e che in questo mondo, alla ricerca di esperienze nuove e spesso troppo semplicistiche, sia una testimonianza valida e vera. Io vivo fuori dal mondo perché tutto il mio tempo lo passo a ricevere e ad ascoltare." Esplicito e qualificante impegno che Anna si impone: il ricevere e ascoltare! In un mondo ormai proiettato verso il consumismo, in una società di esibizione e di proposte, di guadagno e di possesso, un Cireneo riceve e si carica della croce dell'ascolto, invisibile e modesta ma quanto pesante e rifiutata.

"Spesso alla sera" - confessa - "sono ipertesa perché vorrei vedere un po' di lavoro concreto uscire dalle mie mani e invece mi sembra di non concludere nulla," - ma poi aggiunge con lucida coscienza - "...mi domando se sia proprio necessario che noi vediamo con gli occhi o se non basta che veda Dio. Ma alle volte ci vuole più fede di quanta ne ho io. Ecco penso allora che Dio mi abbia messo al mondo per costringermi irrimediabilmente a fare atti di fede su atti di fede e più si va avanti più vedi che la fede è tutt'altro che un pacchetto da portare nella propria borsa, è come una cosa magica che quando sei convinta di averne un pacchetto e fai per scartarlo, ti accorgi che non ne hai neanche un granino, e allora sei costretta a lasciare lì di nuovo tutto e ricominciare a raccoglierne. Si impara solo una cosa: a non custodirla come un pacchetto ma a tenerla sempre in mano pregando che quando la mano si dovrà aprire, ne abbiamo tanta quanto basta per quell'ora e quel giorno. Insomma è proprio il dono e la pena più grossi di tutti." 

In questa corrispondenza epistolare con una amica missionaria che operava in Africa, presa dall'ammirazione per l'esperienza eccezionale che costei viveva, scrive con empito e passione; "ma allora, esiste un mondo vergine in cui cadono le barriere e si può cominciare nuovi. Non è importante dove sia questo mondo, a me non importa raggiungerlo materialmente, purché ci sia, perché allora è più facile credere e lottare per la Verità che sentiamo dentro di noi e a cui spesso ci viene la tentazione di non credere." - E continua di slancio: "Allora ti ho conosciuta. Ho capito quanto fosse importante per me e non solo per me che tu avessi fatto tutto quello che hai fatto perché noi ne abbiamo bisogno, un disperato bisogno di sapere che c'è un giovinezza che non muore, che c'è una ricchezza inesauribile; abbiamo bisogno di avventura e di eroi, abbiamo sete di trasfigurare le vicende umane esteriormente povere, in opere d'arte."

Quale esempio di energia e insieme di fantasia espressiva per tanti giovani nostri!

"E tu eri tutto questo: una promessa realizzata, un avamposto ben difeso, e il pensiero che eri una donna con tutto quello che di debolezza e di sconforto, di fragilità e sensibilità esso comporta era ancora più bello. Tu forse ritieni di essere andata in Tunisia per aiutare gli arabi e non sai che il lavoro più grosso, più impegnativo e valido l'hai fatto ai tuoi, a quelli che hai lasciato, che neppure conoscevi. E questo è il Corpo Mistico, la più bella delle belle promesse e delle belle realtà che confortano il nostro cammino."

Presa dalla volontà di partecipazione che la preme, anche lei vorrebbe arrivare laggiù ma poi riconosce che il suo "avamposto sta qui", "...mi è di grande conforto il pensare che tu esisti e hai realizzato molti dei sogni della mia anima. Così mi sembra che non sia importante che lo faccia io, perché l'hai fatto tu con amore e l'amore è un tessuto in cui la vita di uno si compenetra in quella di un altro, è come un grande fiume che tiene in sospensione mille e mille cose fino a che tutti insieme arriveremo al mare e lì ci dondoleremo contenti di essere tutti la stessa cosa."

La terza lettera, del 1980, è densa di riflessioni sulla vita e sulla morte, che non appaiono casuali in questo secondo anniversario. Oggi sentiamo la sua presenza ogni istante più vicina, mentre nei primi giorni, dopo la sua scomparsa, eravamo come straniti dal dolore e la temevamo perduta, alienata per sempre.

"Non è casuale l'ora in cui si muore, il che in un certo senso deve tranquillizzare il nostro cuore: esiste nella nostra vita quotidiana e di relazione un enorme mistero che ci portiamo dentro, senza riuscire mai a possederlo ed è il mistero della vita di ciascuno di noi che si dilata nel tempo secondo un preciso filo che sfugge a chiunque, compreso il proprietario, ma esiste perché, altrimenti, non vivremmo neppure. E questo mistero che ci accompagna e vorrei dire che vive una sua vita nella nostra vita, un giorno si fa presente allontanandosi da noi e se ne va o meglio si sostanzia divenendo un'unità che è noi ed è altro che noi, ma questo non accade né per caso né fuori del giusto tempo... ci sentiamo attori ma recitiamo, senza sapere, un copione scritto da altri e subito siamo spettatori di noi stessi. Abbiamo solo due alternative: o di sentirci burattini folli, immersi in una folle avventura senza senso, sospinti verso un inghiottitoio buio, dopo essere passati su passerelle traballanti.. oppure il mistero ha un nome e si chiama Dio ... ».

E' difficile essere più lucidi e più pregnanti nel presentare il dilemma della vita-fede per il quale come afferma l'Anna noi scegliamo una terza via, quella più facile del compromesso "più consona al nostro Io attuale.. di non proporsi mai il problema in assoluto e di rimandarlo sempre, di barattarlo continuamente per i trenta denari che distrussero Giuda e distruggono anche noi. Perché la vita, per quanto cerchiamo di sfuggire a queste prove, ce le ripropone intere, come il fantasma del padre di Amleto, che puntualmente si ripresentava. E di lì non si scappa"

Ma, insieme, Anna ci regala il fiore della speranza. Perché se da un lato la vita di ciascuno presenta la sua realtà tragica, in fondo al cammino, che si chiama morte; dall'altro il mistero della morte « ha un nome che si chiama Dio e Dio si chiama Padre ed Egli ci conosce per nome e coagula in umiltà tutta l'estensione della nostra vita, che tempo e spazio hanno dilatato. Egli ci toglie da un'esperienza per immergerci in un'altra migliore e finalmente piena».

E in questa « plenitudo» esistenziale che noi tutti vogliamo pensarla e crederla ora.

Luigi Pianca



Vecchie lettere



Mi sei tornata vicino
da vecchie, belle tue lettere
che la cara Lidia mi ha fatto
riavere.
Erano tempi di speranza,
la vita era tutta davanti,
la tua grande anima scrutava
per capire.
Che gioia immensa quel tuo amore
ben diviso con tutto il mondo
e quel dolcissimo spingere
a cercare.
Poi gli anni del crudo pianto,
del diluvio furente,
della marea impetuosa, della morte.
Noi travolti
come indifese cose sparse,
come rami, come alberi
da fangose acque divisi..
ma lo sai
le grandi acque non possono
spegnere l'amore né i fiumi
travolgerlo.

Francesco

2 Dicembre 1988

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