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«La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio».
(Romani 8,19-21)


19/4/83

E' sera, sta calando la notte: una giornata cupa, una sera squallida. E' freddo. Si sta bene solo in cucina, ma non c'è intimità. Ho strappato questo piccolo brandello di vuoto e ti ho soppesato a lungo, quaderno: scrivere o no? Da quando mi sveglio, la mattina, non faccio che pensare a te, però non ti apro mai, perché non ho il posto per farlo e anche perché c'è sempre qualcuno attorno a me. lo non posso "filarmela".

Domani forse ti scrivo, Bellona. Sono quattro giorni che desidero scriverti, ma ormai, come sempre succede, tutto quello che ti ho detto dentro di me e ridetto, che era bello e fresco si è triturato come la segatura o i residui del ferro limato, non ha più senso, né più struttura, né più freschezza. Che cosa ti scrivo a fare Bellona? Una cosa è ben certa: che di te resta ormai più solo la catena che, passando nelle nuove esplorazioni della primavera, ho intravisto pendere arrugginita e ingroppata dal palo della rete: non c'è più che quello e i miei occhi sono già pieni di lacrime di fronte allo strumento di tortura al quale per tredici anni ti sottoponemmo e al rimpianto di te che nessun cane, mai più, potrà colmare, Bellona mia!

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