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5 Novembre 2024

l'omelia di Mons.. Giuseppe Rizzo

CELEBRAZIONE DI ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI CLAUDIO FAVARETTO
già COMMISSARIO NAZIONALE FSE
( 5 novembre 2023 – 5 novembre 2024 )

CHIESA PARROCCHIALE DI CANIZZANO
( Filippesi 2, 5-11 ; Salmo 21 ; Luca 14, 15-24)

Viviamo questa celebrazione del primo anniversario della morte di Claudio con i sentimenti di una perdita che ci ha lasciato più poveri: che ha toccato soprattutto Marilena, i suoi figli e i nipoti; ma che ha raggiunto anche la grande famiglia scout FSE, che ha avuto Claudio tra i fondatori e guida impareggiabile. E così il mondo della scuola, nella quale egli ha speso gran parte della vita. La sua morte ha avuto eco anche in una cerchia vasta di amici e conoscenti con i quali aveva stretto legami significativi, importanti per lui e per noi.

Ma la sua morte non ci ha proprio privato di lui: resta intatto il dono di cui Claudio è stato portatore e testimone nella sua vita coerente. Certo è avvenuto un passaggio di testimone: il suo patrimonio ideale è ora consegnato ai figli e ai nipoti, affinché comprendano ciò che dell’insegnamento del papà e del nonno resta vivo, aiutati in questo da Marilena, custode della parte più preziosa di Claudio.

E guardo a voi, fratelli scout FSE, presenti questa sera per il santo rito del ricordo di Claudio che è stato per voi amico, fratello, Capo. Ed è nella mente e nel cuore di tutti la consapevolezza che la sua morte ha il significato di una responsabilità e di una grazia, di un passaggio generazionale. Claudio ha vissuto, condiviso e, in parte, guidato la nascita della FSE e i suoi primi passi, fino al suo pieno inserimento nel tessuto ecclesiale e sociale. E’ una storia da benedire e da assumere con dedizione ed umiltà.

La partenza dei padri ci lascia orfani ma ci consegna la loro eredità. Per spiegarmi rileggo con voi una stupenda metafora biblica: è tratta dalla storia di Elia, il sommo profeta che, portata a compimento la sua missione, viene rapito in Cielo in un turbine di fuoco…Mentre vola in alto gli cade il mantello, simbolo e strumento del suo carisma, con il quale aveva operato prodigi…Il mantello viene raccolto da Eliseo, il discepolo fedele il quale lo prende come reliquia del padre e strumento dei nuovi prodigi, perché la profezia continua:

“Eliseo raccolse il mantello che era caduto ad Elia e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano…percosse le acque dicendo:<<Dov’è il Signore Dio di Elia?>> Quand’egli ebbe percosso le acque col mantello, queste si divisero di qua e di là…” ( 2 Re 2, 9. 14).

Oltre la metafora, il mantello di Elia è per voi, carissimi Fratelli scout, il simbolo forte della tradizione, capace di rinnovare, anche nelle vostre mani, i segni della grande intuizione educativa di cui siete portatori e responsabili. I padri, e Claudio è stato uno di loro, sono partiti e vi hanno lasciato il dono e il peso della tradizione.

Nello scoutismo cattolico la tradizione è contemporaneamente un’antropologia e una teologia, cioè una visione dell’uomo e una esperienza di Dio: non è solo un metodo che raggiunge risultati, che raccoglie consensi, che interpreta positivamente l’umanità giovanile nel mutare dei tempi… Non è solo quello che si vede…ma è un percorso interiore che i Capi assumono come forma di vita, sapendo che si trasmette solo nella logica della vita, la quale viene così definita nei sapienti libri antichi: “ origo viventis a vivente in similitudine naturae”, origine di un vivente da un vivente, per somiglianza di natura; in parole povere: si genera ciò che si è.

Quello che regge il metodo scout non sono i mezzi, gli strumenti, per quanto indovinati e affascinanti siano, ma il fine che esso persegue e che è fissato negli Statuti ma, soprattutto, nella qualità della vita dei Capi e che, attraverso il metodo, realizza il fine: una libertà di scelta, certo adeguata alle diverse età, ma sempre orientata al passo finale: e va dalla libertà di Mowgli, che sceglie il fiore rosso…alla libertà del Rover e della Scolta che prendono le vie del mondo…Il custode di questa ricchezza è il Capo. Ritorno sulla figura del Capo con alcuni pensieri di don Andrea Ghetti, detto “il Baden”, storico assistente dello scoutismo milanese, già assistente delle “Aquile randagie”:

Chi è il Capo? Colui che più sa e più può, ma soprattutto chi più ama. Chi dona se stesso al servizio degli altri. Chi fa il Capo deve sapere che non avrà molto in cambio, se non la gioia di aver donato qualcosa agli altri. Prima di tutto occorre una “passione” per il mestiere di educatore. Cioè bisogna aver capito che cosa significa aiutare il ragazzo a raggiungere un livello valido della sua personalità…Essere Capo è una vocazione che impegna alla modificazione di tutta la personalità, rendendola trasparente e polarizzante. B. P. indica le note essenziali per essere Capo: sarà il suo mondo interiore, il più recondito, che agisce sui giovani…Capo scout: non ripetitore, non sergente, non allenatore, non pedagogo…ma Capo nella vastità e ricchezza del termine…sorretto da una profonda carità e generosità, convinto della bontà del metodo in cui crede e di cui vive."

Il dramma del mondo di oggi, del mondo dell’educazione in tutti i suoi ambiti, dalla famiglia alla scuola, è quello di non avere più un fine…con la conseguenza che i mezzi stessi divengono il fine e impongono la loro logica. Le esperienze valgono per se stesse, vengono accumulate, spesso imposte alle nuove generazioni, nella illusione che…la quantità generi qualità. I ragazzi e le ragazze di oggi sono dovunque, ma sono sempre…fuori di casa….lontani da se stessi.
Talvolta si è potuto accusare lo scoutismo di vivere fuori del mondo, in uno spazio e in un tempo immaginari, in un universo costruito dal metodo come un muro di difesa e separazione dalla durezza della realtà. Ma è un equivoco perché il metodo è il mezzo, non è il, fine…il fine è la persona. A questo proposito, mi è capitato di avere fra le mani, ormai tanti anni fa, un testo importante, il “Rapporto UNESCO per l’educazione nel XXI secolo” – commissionato ad una èquipe di esperti sotto la guida di Jaques Délors, già presidente della Commissione Europea -- e vi ho rintracciato molte sintonie con la grande avventura educativa scout, soprattutto nelle tappe dell’educazione proposte in successione dal Rapporto e individuate in:

imparare a conoscere,
imparare a fare,
imparare a vivere,
imparare ad essere…
imparare ad amare il mondo.

2. Proseguiamo la nostra riflessione rivolgendoci al brano del Vangelo che abbiamo ascoltato. Non si tratta di un insegnamento morale che Gesù dedica a un gruppo di ascoltatori occasionali, e quindi confinato in quel tempo e in quella circostanza: la prima comunità ha conservato memoria di questo testo avendo scorto una valenza universale nelle parole del Maestro. Per questo noi le leggiamo oggi: le leggiamo per noi, per la Chiesa e per il nostro mondo.

Per cogliere il messaggio bisogna tornare alla struttura del brano che non comprende solo i versetti che abbiamo letto stasera, ma è preceduto dalla scena della cena a cui il Signore partecipa e che suggerisce ciò che segue. Leggiamo:

“Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. …Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”.
Segue il testo della parabola che abbiamo ascoltato in questa liturgia della Parola e che riprende e amplia l’insegnamento proposto in casa del fariseo. Possiamo leggere nel racconto il percorso intenzionale del pensiero di Gesù che descrive tre tipi di invitati, un quadro del mondo di sempre:
• gli invitati che scelgono i posti privilegiati: gente che vive di privilegi e pretende di riceverne, accampando titoli o meriti inesistenti;
• gli invitati che esercitano il diritto di rifiutare l’invito, avendo, secondo loro, cose più importanti da fare;
• i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, che non hanno né privilegi, né diritti da esercitare, e nemmeno inviti alla tavola dell’umanità, ma solo povertà e bisogni, limiti e costrizioni insuperabili.

Il nostro mondo ha conosciuto i secoli degli smisurati e, talora, scandalosi privilegi di cui godevano alcune classi sociali o categorie, sotto i quali languivano tutti gli altri. Ha conosciuto poi l’era eroica dei diritti rivendicati, anche violentemente dalle masse umane, risvegliatesi alla consapevolezza della giustizia sociale, della dignità di ogni singola persona. E oggi il mondo sta prendendo dolorosa coscienza che il problema da risolvere è quello della restituzione di dignità ai senza diritti che popolano non più solo lontani Paesi, riguardo ai quali potremmo anche sentirci non responsabili…ma sono fra noi. Anzi, entrano in questa folla, che s’infittisce, anche di molti nostri connazionali…nostri vicini di casa, persone e famiglie che precipitano, da un giorno all’altro, nella zone grigia della povertà.

3. Gesù sta seduto a tavola con questa umanità dolente, non per conservarla e convincerla della propria inadeguatezza al mondo, ma per mettere, grazie a loro, segni di novità nell’impasto del pane dell’umanità. Lo scoutismo, oggi più che mai, deve essere un pugno di lievito che concorre a rendere più umana la pasta. E ciò contrastando il rischio di trasmettere alle nuove generazioni solo procedure, il “Come si fa?”, ma lasciando intuire i significati, il ”Perché?”. Ci viene da rispondere: lo scoutismo è statisticamente insignificante sul quadrante dell’ umanità. Ma anche il lievito è poca cosa…ma non rinuncia ad essere lievito!

Lo scoutismo, proprio nel tesoro metodo, ha una grande capacità simbolica: quella di lasciar intuire l’invisibile attraverso il visibile. Penso al valore simbolico della promessa che radica lo scoutismo non nell’esteriorità ma nella coscienza del lupetto e coccinella, dello scout e della guida, del Novizio e della Novizia, del Rover e della Scolta; comprendo la divisa che dice l’orgoglio di appartenere; penso al posto che ha il fuoco nella pedagogia scout; penso alla tenda, immagine della vita, alla squadriglia seme della comunità, allo zaino non peso ma essenza della semplicità: ho tutto con me…penso alla strada della quale Gesù stesso ha voluto assumere la simbologia…

Su questa strada siamo incamminati tutti: Claudio è andato avanti, oltre il tempo e lo spazio, in quella quarta dimensione che chiamiamo eternità, abitata del mistero di Dio. Lì ha ritrovato gli amici scout usciti da questo mondo; e il mitico don Ugo de Lucchi. Da tutti loro giunge questa sera a voi l’augurio: BUONA STRADA!


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