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5 Novembre 2025

Un nutrito gruppo di amici scout ed estimatori si è ritrovato per partecipare alla celebrazione della Santa Messa in ricordo di Claudio si è svolta a Treviso nella chiesa del Sacro Cuore, da lui frequentata negli ultimi tempi di vita.
Alla fine ci si è ritrovati in una sala delle adiacenti opere parrocchiali per un breve saluto ai famigliari e un piccolo rinfresco che ha dato modo di rinverdire i ricordi della gioia dell'amicizia trasmessaci da Claudio. 
Riportiamo di seguito l'omelia del celebrante, Mons. Giuseppe Rizzo, suo amico e coetaneo fin dai tempi della gioventù vissuti in parrochia a Santa Maria  del Rovere.


PARROCCHIA DEL SACRO CUORE DI GESU’ IN TREVISO
 CELEBRAZIONE EUCARISTICA DI SUFFRAGIO NEL II ANNIVERARIO DELLA MORTE DI CLAUDIO FAVARETTO
 GIA’ RESPONSABILE NAZIONALE DELLA FEDERAZIONE SCOUT D’EUROPA

( mercoledì XXXI Settimana T.O. Romani 13, 8-10; Salmo 111 ; Luca 14, 25-33 )
( omelia di d. Giuseppe Rizzo )



Claudio c’è. Carissimi amici, ci ritroviamo dopo un anno esatto per celebrare il secondo anniversario della morte di Claudio e questo incontro si propone già come un evento associativo, non potendo slegare la memoria di Claudio dal suo ruolo essenziale nella nascita e nello sviluppo del ramo italiano della Federazione degli Scout d’Europa, sorto proprio nel cuore delle parrocchie della periferia cittadina di Treviso, giunto poi a piantare le tende in tante comunità della nostra diocesi e dell’Italia.
Ma l’appuntamento di questa sera ha il suo inizio, e quasi il cuore, nella famiglia di Claudio, in quella in cui egli è nato e cresciuto, e in quella che ha costruito con Marilena, fatta ora ricca delle nuove generazioni dei figli e dei nipoti… Ma lo scoutismo è stato l’altra famiglia nella quale Claudio è stato generato da ragazzo, insieme con i suoi fratelli, e nella quale ha poi assunto compiti impegnativi che lo hanno portato al vertice di una nuova avventura, viva come una storia che continuiamo a raccontare anche questa sera.

1. Ma più grande di tutto è l’Amore.
Ci facciamo discepoli della Parola di Dio che, nella pagina di Paolo, tratta dalla Lettera ai Romani, continua a declinare il tema dell’amore. L’apostolo si è districato con fatica, in lunghi e tortuosi ragionamenti, dalle interpretazioni rabbiniche della Legge antica che, donata come promessa di fedeltà al Dio dell’Alleanza, era finita per diventare una catena, un labirinto inestricabile, caricato di oltre seicento imposizioni che di fatto complicavano il rapporto del fedele con Dio. E Paolo, che era stato educato nella logica dei rabbini, ha dovuto sottoporsi ad una decostruzione interiore per giungere a sperimentare, e poi a insegnare, la via regale, la via divina del rapporto con Dio, l’unica grande Legge: l’Amore. Fino a parlare in una sua Lettera dell’amore di Dio come di un “ amore esagerato”, un amore capace di attraversare tutte le lontananze e di vincere tutte le resistenze, come aveva sperimentato lui stesso nel tormentato travaglio della conversione.

La grande questione della fedeltà alla Legge viene ricondotta dall’apostolo ad un unico divino principio:
“…pienezza della Legge infatti è la carità”.
E, pur nella brevità della pericope che abbiamo sotto gli occhi, egli riesce a dare ulteriore precisione e forza al supremo comandamento, appena enunciato, scrivendo:
“Chi ama l’altro ha adempiuto la Legge”.
Non serve una caterva di imposizioni e di minuzie comportamentali, il cuore del comandamento è altrove. E’ nel cuore di Dio, nel “ primo amore”, come Dante chiama Dio, che fiorisce il miracolo della creazione:
“s’aperse in nuovi amor l’etterno amore” ( XXXIII, 87).

2. L’amore del prossimo e l’amore di sé.
Nel supremo comandamento dell’amore fa ingresso e trova posto <l’amore del prossimo> indicato da Gesù come una delle misure dell’amore nuovo, l’amore cristiano. Ma questo amore reca in sé una sorprendente equivalenza:

“Amerai il prossimo tuo come te stesso”.
A questo punto bisogna che facciamo il punto sulla situazione: quanti sono gli amori a cui sono chiamato, in cui sono impegnato? Torniamo ad una pagina solenne e decisiva del vangelo di Marco:
“Si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altrocomandamento più grande di questi»” (Marco 12, 28-31).
Se riflettiamo bene, le parole di Gesù ci mettono davanti a tre impegni d’amore: l’amore di Dio…l’amore del prossimo…e l’amore di se stessi: perché l’amore verso gli altri ha come misura addirittura l’amore di se stessi: “come te stesso”, dice il Signore, intendendo l’amore di sé, non l’idolatria di se stessi, ma nemmeno l’odio di se stessi -- come succede ed è sempre successo nella storia, che ha conosciuto tutti gli eccessi e le negazioni dell’amore di sé -- ma la maturazione di sé come apertura verso Dio e verso gli altri, come disciplina.
E’ il meno sondato degli amori, il più trascurato, il più illuso, forse il più tradito, se guardiamo alle tante derive morali, psicologiche e sociali del nostro tempo. Vediamo molta gente spendere l’amore di sé nelle cose, nella ricerca di risultati poveri di significato, nella dipendenza culturale e morale dalle centrali del consenso alle quali fanno già fatica gli adulti a sottrarsi, e con quanta maggiore fatica i ragazzi e i giovani…

3. L’amore… è per l’impossibile.
Ma, tornando al brano evangelico di questa messa possiamo essere sconvolti dalla perentorietà delle parole di Gesù:

<<Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo>>”
Il Signore chiede all’amore umano l’impossibile, ciò che solo Dio può realizzare, cioè la gerarchia salvifica degli amori che, nelle parole di Gesù vengono messi al sicuro, cioè nel giusto ordine, solo dall’amore di Dio, evitando il rischio che uno degli amori prevarichi sugli altri. Trovo un commento autorevole e convincente di questa verità nell’ultima pagina dell’ Esortazione apostolica di Papa Leone XIV , “Dilexi te”:
“L’ amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla” (120).
Torniamo al dimenticato <amore di sé> che deforma e paralizza molte vite e le destituisce di dignità. Questa “ignoranza di sé” ha conseguenze tragiche, come rileva p. Ernesto Balducci in una folgorante espressione:
“L’uomo incontrò se stesso e non si riconobbe”.
L’aforisma dice in maniera suggestiva che ogni incontro d’amore non ha un soggetto e un oggetto, ma due soggetti. Ma se colui/colei che va incontro all’altro non ha consapevolezza e vero amore di sé, l’incontro non avviene. Perché l’amore non è conoscersi, ma “riconoscersi”, cioè ritrovare contemporaneamente me stesso/a e la persona che mi viene incontro.

4. L’amore è rivelazione del mistero della persona umana.
Il primo atto di amore umano registrato nella Scrittura è un solenne atto di riconoscimento di sé nell’altra persona, dono insperato e fonte di gioia:

“Il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna”. ( Genesi 2, 22-25).
Adamo “riconosce” Eva perché prima ha conosciuto e riconosciuto se stesso; così ritrova se stesso in Eva e da Eva riceve la rivelazione di quella parte di sé che gli era nascosta e che solo la donna gli può rivelare. La sottolineatura della <nudità> intende spiegare proprio questo: nella autentica relazione uomo-donna nulla è nascosto.
Il verbo <riconoscere> è un verbo dalla ricchissima valenza semantica, cioè una grande densità di significato, in tutte le lingue. Ne segnalo la profondità e il dinamismo per applicarlo sia alla relazione sponsale, che molti di voi vivono, ma anche a ogni relazione umana, segnatamente alla relazione educativa, la quale rende ragione dello scoutismo.

5. Amare è…conoscere di nuovo.
Riconoscere infatti significa anzitutto, “conoscere di nuovo” , in maniera nuova, non ripetitiva; è capacità di creare in ogni momento un nuovo inizio, cioè una relazione di reciprocità che non colloca di fronte un soggetto e un oggetto, come immagina una diffusa concezione che si tramuta spesso in violenza, ma due verità incommensurabili, due misteri che esigono, come chiese Dio a Mosè di fronte al roveto ardente, di togliersi i calzari…cioè di spogliarsi di tutti i fantasmi sociali, culturali e psicologici per accedere al mistero.

L’amore è entrare nell’eros dell’altra persona, cioè nella sua identità. E questo non è mai un’affermazione, ma una umile domanda, come fece anche il Creatore che si fermò di fronte all’eros di Adamo, interpellandolo con una domanda: “<<Adamo, dove sei?>>”. Un uomo e una donna che si amano, che si donano reciprocamente l’eros, sono chiamati a gestire con una continua domanda di rispetto il registro degli affetti, il registro della tenerezza e il registro delle passioni…
Proviamo ad introdurre un’ applicazione pedagogica in questo universo semantico e immaginiamo di farlo con lo stile di Dio. La nostra domanda non sarà “<<Adamo, dove sei?>>”; ma, affrontando il nostro compito di educatori, la nostra domanda si volge a coloro che Dio, le famiglie e la Chiesa ci hanno affidato e dei quali ci prendiamo cura, continuando in un certo senso il mistero della creazione e ci troveremo a chiedere: Guida…scout…novizio…scolta…rover…dove sei?.
Ascolteremo la stessa risposta di Adamo: <<Ho avuto paura…ho paura…>>. Non si tratta di una paura solo psicologica, ma esistenziale. Anche i ragazzi e i giovani di tutti i tempi, soprattutto i figli del terzo millennio, reagiscono spesso come Adamo: <<Ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto>>“. Certe azioni eclatanti e scomposte dei figli delle nuove generazioni hanno lo stigma, cioè la ferita, dell’Adamo di sempre.

6 Amare è conoscere…nonostante.
Questo secondo significato del verbo riconoscere è l’affermazione dell’amore più forte di ogni negazione, di ogni
smentita, di ogni tradimento. Proprio la passione di Gesù è “amore nonostante”…nonostante i nostri peccati, le nostre negazioni, i nostri cortocircuiti.
Tocca anche all’amore umano – amore del coniuge, amore dei figli, amore del prossimo, amore del nemico -- passare attraverso il Calvario della negazione, la quale è redenta sempre e solo dall’amore che rigenera, che ricomincia, che proclama l’eterno “In principio…”.
La mia esperienza di prete, pastore ed educatore di giovani e adulti, di singoli e comunità, mi ha insegnato che la vita non segue le dinamiche della logica razionale, la cui ultima regola suona così: “peiorem semper sequitur conclusio partem” , cioè alla fine tutto si conclude con un fallimento, tutto finisce nell’esito peggiore…Invece è l’amore a decidere della conclusione dell’avventura umana, dei singoli, delle famiglie e delle comunità, perché l’amore è intelligente e sapiente. E’ una risorsa invincibile, come scrive il Papa nella frase già citata: “ l’amore è per l’impossibile”. Il “nonostante” è molte volte la chiave del successo, perché rende inventivi e pazienti.
L’ho sperimentato in parrocchia quando proprio lo scoutismo ha affrontato la presenza di ragazzi/ragazzine stranieri, di religione non cattolica o di nessuna religione…La grazia cercata e raggiunta dai Capi e dalla famiglie è stata anzitutto la consapevolezza di sé, della propria religione, della propria storia che i nostri ragazzi cristiani per la prima volta hanno avuto l’occasione di raccontare ai nuovi compagni scout non cattolici, ascoltando poi le loro storie, a volte drammatiche, ma sempre ricche di senso e degne di attenzione.

7. Amare è l’esperienza di conoscere insieme.
Con terzo significato di riconoscere è siamo proprio di fronte all’esatto significato del verbo, che è appunto “nòscere cum”, cioè “sapere insieme”. E’ questo l’autentico percorso delle civiltà umane, la contemporanea capacità e la volontà di imparare e insegnare, e a noi risulta di prima esperienza, perché proprio questo è il magistero del Capo scout…Il Capo non ripete ciò che sa, ciò che ha già mille volte fatto con il precedente Riparto, con il Noviziato di qualche anno fa, con il precedente Fuoco dei Rover e delle Scolte…

Il Capo sta accanto ai lupetti/coccinelle, agli scout/guide, ai Novizi, ai Rovers/Scolte, facendo esperienza con loro dei sei giorni della creazione, cioè della novità di vivere oggi, come fossero i primi giorni del tempo, sperimentando la crescita di consapevolezza e di maturità, aspirando insieme con loro al <Settimo Giorno>, cioè alla scoperta del perché della vita, delle ragioni che meritano tutto l’impegno. E’ la consapevolezza del fine, del significato, che rende nobili ed efficaci i mezzi.
Nello scoutismo, nella sua simbologia, è nascosto ed è operativo un percorso di costruzione della persona e della comunità. Lo scoutismo introduce, attraverso il proprio mondo simbolico, la comunità dei lupetti e delle coccinelle, degli scout e guide, dei Novizi, dei Rover e delle Scolte, all’ impresa della torre da costruire e della guerra da combattere, come indicato nel Vangelo che abbiamo ascoltato.

8. Vivere significa… costruire una torre.
Mi suggestiona molto nel brano del vangelo che la liturgia ci ha proposto, la riflessione e il magistero di Gesù sulla torre da costruire. La torre è tema biblico fin dalle origini, nella metafora della <torre di Babele>, sfida assoluta ma sprovveduta, portata dagli uomini al Creatore, con l’esito che conosciamo…Ma la torre resta un grande simbolo: simbolo di una città, perché le chiese hanno i campanili… ma le città hanno una torre. In realtà anche lo scoutismo realizza la simbolica costruzione di una città. Lo facciamo addirittura in forma materiale quando costruiamo il campo, nelle vacanze di gruppo, dove la simbologia ha una grande spazio ed è la forma stessa del campo.

Nel suo libro, “Le città invisibili”, Italo Calvino individua la logica che sottende alla vita di una città e scrive: “Ogni città prende forma dal deserto a cui si oppone”. Come a dire che ogni città subisce un assedio dal deserto, e da più deserti, e per questo si costruisce in opposizione ad essi per non esserne invasa e distrutta. Fuori di metafora, noi sappiamo quanti deserti assediano le città, le famiglie, le parrocchie, le scuole, le associazioni, le aggregazioni politiche, culturali, sportive, le singole persone…
Di fronte all’assedio dei deserti, Gesù suggerisce di “calcolare ed “esaminare”, cioè di fare discernimento, di mettere in atto le virtù cardinali:
fortezza- giustizia- prudenza- temperanza.
S. Agostino le definisce come “ esercizio dell’arte di ogni cristiano che attraversa il mondo”. Sono virtù, cioè forza, esaltano le potenzialità e le leggi proprie di una corretta, cioè salvifica, storia personale e sociale. In questo cammino virtuoso è contenuta la guerra di cui parla il Vangelo. Tocca all’educazione e, per quanto vi riguarda, all’educazione scout, dare forza simbolica alle metafore, della torre e della guerra, perché non restino semplici immagini, ma dinamismi educativi.

9. Le torri prigione…le torri che crollano.
La guerra la combattono ogni giorno i nostri scout: i ragazzi, gli adolescenti, i giovani, maschi e femmine, a casa, a scuola, nello scoutismo, nei luoghi della loro vita…A noi spetta combattere accanto a loro, spiegare loro che la guerra per la loro umanità autentica vale la pena di essere combattuta.

Permettete un’ultima riflessione. Trovo nella Legge Scout uno degli ingressi al cammino di interiorizzazione, insieme comunitaria e personale, del precetto evangelico, racchiuso nell’immagine della torre che ciascuno è chiamato a costruire. Molte volte le persone costruiscono la torre della propria vita… come una prigione nella quale si chiudono, incapaci di uscirne e, anzi, tentando di fare prigionieri gli altri con cui entrano in contatto. E quante torri incompiute ingombrano lo sky line delle nostre comunità, delle famiglie, dei luoghi della vita…quanti calcoli sbagliati bloccano i lavori a metà…e quante torri sono destinate al crollo…moltiplicando disastri personali e sociali…

10. <Riconoscere> è verbo pasquale, è fede e profezia.
Abbiamo attraversato in compagnia del Signore -- e con lo sguardo alla nostra esperienza quotidiana, personale, familiare, associava -- il terreno salvifico del verbo <riconoscere>, ma non lo abbiamo pienamente fondato se non lo riconduciamo alla sua origine “pasquale”, poiché <riconoscere> è il verbo dell’incontro di Gesù risorto con i suoi amici, con i testimoni della sua vita, rivelando l’essenza della esperienza cristiana, che è quasi un grido, un annuncio, una testimonianza che dobbiamo continuare a gridare: Gesù risorto, nonostante tutte le contraddizioni che viviamo; nonostante i nostri cedimenti, nonostante le fragilità colpevoli della comunità umana, noi ti riconosciamo vivo e presente, buono e fraterno, povero ma onnipotente, in questo mondo che tu continui a salvare!