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		pubblichiamo alcuni degli scritti 
		inerenti lo scautismo che Claudio ha prodotto nel corso degli anni nelle 
		riviste associative e non solo 
		 
		
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		  
		 
		
		 
		
		
		Dal libro "100 anni di 
		scautismo cattolico a treviso"  
		
		capitolo delle testimonianze riportiamo 
		il testo scritto da Claudio  
		RIANDANDO CON LA MEMORIA 
		
		
		  
		 
		 
		 
		 
		Devo scrivere un po’ di me per far capire la 
		drammaticità degli avvenimenti intercorsi nei primi anni ‘70 in ambito 
		scautistico. Sono testimonianze storico-personali.  
		Ho pronunciato la Promessa scout il 4 gennaio 1954 nelle mani 
		dell’allora capo riparto Gino Piazza. La sera precedente avevo 
		partecipato alla Veglia d’armi nella chiesa di santa Maria del Rovere, 
		veglia guidata dall’indi menticabile don Ugo de Lucchi.  
		l mio sentiero scout fu sereno e proficuo. Divenni csq. il 6 febbraio 
		1955, fondando la sq. Castoro. L’anno successivo guidai i Castori in un 
		campo di sq. in quanto non poté essere svolto quello di riparto dal 
		momento che Checco, succeduto al fratello, fu impegnato con esami di 
		diploma. Durante la missione per conquistare la specialità di ciclista, 
		assieme al mio compagno di viaggio individuai nella valle di san Lucano, 
		nei pressi di Taibon agordino, un posto da campo che sarà utilizzato nei 
		due anni seguenti, 1957 e ‘58. 
		Passai in clan in ottobre del ‘58, clan che allora era cittadino perché 
		riuniva tutti i rover dei relativamente pochi riparti di allora.  
		Purtroppo, il 23 aprile del 1959 don Ugo morì, lasciandoci veramente 
		smarriti. Ma a settembre arrivò don Giovanni Bordin che, con tutt’altro 
		stile, lo sostituì.  
		Nel 1961 il Gruppo TV 1°, che era nato nel 1955 per riunire i vari 
		riparti che avevano vissuto una vita propria e scollegata, si sdoppiava 
		e nasceva il nostro TV 2° con pochissime unità (santa Maria del rovere, 
		santa Bona) ma con grandissimo entusiasmo che produsse, in breve tempo, 
		un’espansione ragguardevole.  
		Agli inizi di novembre divenni responsabile della sq. libera di san Pio 
		X, che diventerà Riparto nell’autunno successivo.  
		Nel 1962 partecipai, assieme al compianto Ciano Furlanetto, al campo 
		scuola di 2° tempo a Colico, sul lago di Como. Il capo campo era 
		nient’altro che quel Salvatore Salvatori che aveva guidato, assieme ad 
		altri capi storici come Osvaldo Monass, Gino Armeni, Fausto Catani, la 
		rinascita dell’ASCI nel 1944.  
		 Dopo lo svolgimento delle tesine, nel 1964 ottenni il brevetto Gilwell 
		proprio da Gino Armeni, allora commissario alla Branca E. Ero molto 
		fiero perché il brevetto segnava la mèta della mia formazione scout e 
		sanciva la mia totale adesione agli ideali che avevo respirato fin da 
		ragazzino.  
		Ne elenco in disordine solo alcuni:  
		- la meraviglia della vita all’aperto che ti fa sentire attivo, utile, 
		forte e libero da certe imposture sociali e che ti fa conoscere da 
		vicino il Creato di cui tu stesso fai parte. 
		- la tecnica scout che ti sostiene nelle avventure, ma anche nei momenti 
		di pericolo, che ti rende utile al prossimo. 
		- l’uniforme che ti identifica e che ti richiede talvolta forza d’animo 
		e sempre coerenza. 
		- il civismo che non è solo corretto comportamento nei confronti degli 
		altri e rispetto per ciò che è pubblico, ma anche senso di appartenenza 
		ad una nazione, ad un popolo, ad una storia, ad una cultura, ad un modo 
		di sentire e valutare. 
		- lo stile che vuol dire comportamento aperto senza eccedere e riservato 
		senza infingimenti e ipocrisie.  
		- la comunità gioiosa ed equilibrata. 
		- l’aiuto fraterno sincero e disinteressato. 
		- lo spirito di servizio accettato liberamente fin dalla pronuncia della 
		promessa e scelto in età adulta con profonda adesione agli ideali 
		evangelici. 
		- la spiritualità vissuta con la mente, con lo spirito ed anche con il 
		corpo perché tutto è dono di Dio: l’intelligenza, la sensibilità, il 
		fisico.  
		- l’osservanza della Legge e della promessa. 
		- la cavalleria e la cortesia nei confronti delle ragazze. 
		- l’autonomia della propria identità maschile. 
		- l’ammirazione e l’affetto per B.P. uomo straordinario come soldato 
		(cfr le sue innumerevoli avventure) e geniale come educatore. 
		Nel 1968 scoppiò in Francia prima, in Germania poi, dopo la cosiddetta 
		contestazione giovanile, passata alla storia anche come il “68”. 
		Dapprima confuso poi più articolato, il movimento ebbe anche momenti di 
		forte violenza, con occupazioni di università, scioperi di studenti ed 
		operai, scontri con la polizia, contestando tutto e tutti. In 
		particolare si criticò profondamente tutto ciò che poteva limitare la 
		libertà individuale, diventata una sorta di Assoluto a cui tutto doveva 
		essere sottomesso, a partire da ogni forma di autorità. Nulla doveva più 
		essere vietato né in campo morale né civile. Famosa l’espressione 
		“vietato vietare”. Il primo ad essere colpito fu il concetto di 
		autorità. L’onda d’urto colpì dapprima l’università, poi la famiglia, la 
		chiesa, infine tutte le forme di gerarchia, comprese quelle delle 
		associazioni giovanili, compreso lo scautismo.  
		Fu un movimento così profondo al punto che stiamo ancora subendo le sue 
		aberrazioni, come l’odierna crisi della famiglia drammaticamente 
		insegna. In Italia si può dire che la contestazione nasca con 
		l’occupazione della facoltà di Sociologia di Trento per poi espandersi 
		alla Cattolica di Milano e un po’ alla volta anche alla scuola 
		superiore.  
		Per quanto riguarda lo scautismo, la crisi si insinuò un po’ alla volta. 
		E un po’ alla volta dovemmo subire, io e i capi di allora, un’infinita 
		serie di enormi falsità sia sotto il profilo psicologico che 
		metodologico. Sembra impossibile che ci sia stato qualcuno che in buona 
		fede credesse a tali bugie! Eppure ce ne furono tanti, alcuni dei quali 
		per ignoranza o per desiderio di mettersi in mostra, o per ambizione 
		personale.  
		Tutto quel mio mondo di ideali concreti ed attuati fu scosso. La prima 
		azione fu la conduzione femminile dei branchi. Fu detto che una donna 
		sarebbe stata più adatta a guidare un gruppo di bambini! E la figura di 
		Akela con tutto ciò che ne consegue? Il fatto vero era che parecchi 
		rover romani non apprezzavano il servizio in branco, non avendo capito 
		la bellezza pedagogica-educativa del Libro della Jungla. Anzi Kipling fu 
		considerato un autore imperialista, per cui nacquero le più strampalate 
		metodologie di alberi, fate, gnomi, ecc. Dal momento che le giovani capo 
		branco, le famose “cheftaines” letteralmente capo-tana, scopiazzate dal 
		contemporaneo scautismo francese, anch’esso ovviamente in crisi, non 
		avevano un ambiente di formazione, si pensò di inserirle in un clan, 
		come se non esistesse un fuoco di scolte! Da lì la nascita delle unità 
		miste di terza branca, i Flan, nome, a mio parere, assolutamente 
		insensato. Da quel momento fu tutta una corsa verso la assurdità e la 
		falsità psicologica degli educandi. Nacquero i Branchi misti, con i 
		lupetti e le lupette, nacquero i riparti misti, addirittura, nei primi 
		anni, con le squadriglie miste. Mi ribolle il sangue ricordando come 
		possa essere stata contrabbandata come una grande conquista il fatto di 
		avere in sieme ragazzine e ragazzini con la speciosa giustificazione che 
		già tanto a scuola erano insieme e anche in famiglia. Come se non si 
		sapesse quanto un ragazzo senta il desiderio di vivere in quell’età con 
		i suoi coetanei, cimentarsi con loro, avere la possibilità di vivere 
		avventure da grandi e non cincischiare con le ragazzine. Eppure la 
		stampa associativa di allora, “L’esploratore” riportava grandi titoli 
		del tipo: “AGI+ASCI= AGISCI” per preparare un po’ alla volta la nascita 
		di un’unica associazione.  
		Io ero Capo Riparto e soffrivo a dover combattere contro quella che 
		doveva essere un aiuto educativo ed invece mi metteva in continua 
		difficoltà.  
		In parallelo a quanto scritto sopra, ecco le proposte o le critiche al 
		“mio” scautismo: 
		1. la vita all’aperto era deviante, perché allontanava i giovani dai 
		veri problemi sociali, bisognava abolirla, ”Lo scautismo lascia il bosco 
		per entrare in città” era lo slogan.  
		2. Un branco di Lupetti di Conegliano partecipò, guidato dal suo Akela, 
		ad un picchettaggio in una fabbrica, forse la Zoppas. 
		3. la tecnica scout viene ridicolizzata: cosa serve imparare il morse 
		quando ci sono le radio trasmittenti? Senza capire lo sforzo educativo 
		richiesto ad un ragazzino per memorizzare e la soddisfazione di riuscire 
		a comunicare con gli altri: una sorta di magico mondo segreto. 
		4. l’uniforme è colonialista e ricorda la prevaricazione degli Inglesi 
		sui popoli di mezzo mondo. Inoltre nasconde le differenze di classe: in 
		uniforme non si riconosce un bambino di famiglia povera da uno ricco, 
		mentre è importante far capire fin da piccoli che bisogna battersi per 
		l’uguaglianza sociale! E poi in borghese nessuno riconosce che sei uno 
		scout. 
		5. L’alzabandiera al campo va abolita perché è un retaggio fascista e 
		nazionalista. 
		6. I ragazzi devono esprimersi liberamente, senza codici particolari di 
		comportamento. 
		7. La comunità deve essere assolutamente spontanea: non esiste un capo, 
		non esiste la Corte d’Onore, ma il Consiglio della Legge, una sorta di 
		assemblea generale di tutto il riparto. Il Capo è una sorta di “Unus 
		inter pares”. Non deve esistere “Un’educazione direttiva”. Tutte le 
		decisioni, a qualsiasi livello, devono essere prese in forma 
		assembleare. Non esiste il capo, ma solo una sorta di porta voce 
		dell’assemblea. 
		8. Quando il riparto è misto, non esiste “UN” capo ma la “Diarchia” cioè 
		la direzione comune di capo donna e capo uomo. Non succede così anche in 
		famiglia? 
		9. Lo spirito di servizio viene stemperato in modo impressionante con la 
		assurda divisione dei riparti in due età: 12-14 ranger; 14-16 pionniers. 
		I quali ultimi fanno per lo più viaggi di tipo turistico, in barba al 
		concetto del csq. che aiuta i suoi squadriglieri. 
		10. La spiritualità deve essere una libera scelta: non ha nessun valore 
		educativo la preghiera; la messa al campo, se c’è, è facoltativa. Si 
		arrivò alla cancellazione della frase “Con l’aiuto di Dio” nella 
		formulazione della promessa per non turbare la libertà degli educandi. 
		11. Degli articoli della Legge alcuni perdono importanza, come quello 
		dell’obbedienza agli ordini (il 7°), il 10°; ma tutta la Legge, come la 
		Promessa assumono un’importanza molto relativa. 
		12. L’articolo 5° (cortese e cavalleresco) perde significato dal momento 
		che le ragazze sono dei semplici squadriglieri che bisogna richiamare se 
		necessario anche con parole e gesti forti: non sono l’altra metà del 
		mondo da scoprire un po’ alla volta nella loro genuinità e freschezza. 
		13. Per vivere insieme alle ragazze nello stesso riparto o addirittura 
		nella stessa squadriglia i ragazzi devono rinunciare a molto della loro 
		genuinità maschile: i giochi fatti di forza fisica, di coraggio, di 
		spirito di avventura devono essere addolciti per permettere anche alle 
		ragazze di parteciparvi. Così le ragazze devono un po’ adattarsi allo 
		spirito maschile: gli uni e le altre devono rinunciare a qualcosa della 
		loro identità proprio nell’età in cui si pongono le basi dell’età adulta 
		dove ci saranno uomini veri e donne vere. 
		14. B.P. venne considerato un militarista, un colonialista, un uomo che 
		non poteva aver fatto nulla di buono. Lo scautismo così com’era stato 
		vissuto fino a quel momento doveva essere rifiutato e fondarne uno nuovo 
		aderente alla società cambiata: all’uomo della frontiera doveva essere 
		sostituito l’uomo della lotta di classe. 
		
		 Gli ultimi anni 60 ed i primi 70 furono caratterizzati da un continuo 
		logorio sia a livello nazionale che locale, con continue riunioni tra i 
		fautori del nuovo corso e coloro che giudicavano lo scautismo di B.P. 
		ancora valido ed efficace. L’ultima assemblea generale dell’ASCI si 
		svolse, se non erro, nel 1969 a Roma. Fu una cosa triste: del vecchio e 
		genuino scautismo non era rimasto quasi niente. Fu convocata dall’allora 
		presidente, Salvatore Salvatori, il mio capo campo. Erano passati solo 8 
		anni, eppure il vecchio leone non contava più niente. L’incontro si 
		doveva svolgere in borghese: noi scrivemmo un telegramma di protesta e 
		ci recammo a Roma in uniforme. All’ingresso della “Domus pacis” c’era 
		Salvatori che quasi pianse vedendoci in uniforme. Evidentemente non era 
		riuscito ad imporsi sui nuovi smaniosi di novità.  
		L’assemblea si svolse senza ordine alcuno. Una mozione fu votata di 
		notte, quando la stragrande maggioranza era andata a letto. Di lealtà ne 
		respirammo veramente poca. Tornammo a casa con l’esatta sensazio ne che 
		ormai eravamo agli sgoccioli.  
		Si giunse infine all’aprile del 1974.Stranamente il direttivo dell’ASCI 
		e quello dell’AGI si erano riuniti nella stessa struttura, una delle 
		tante di Roma. Così, stranamente, entrambi i direttivi votarono lo 
		scioglimento delle rispettive associazioni e la nascita della nuova, 
		l’AGESCI. 
		Dopo tale risultato, tutti si riunirono insieme e la nuova assemblea 
		dopo la comunicazione dei rispettivi responsabili (io ricordo solo il 
		maschile che era la buon’anima di Bruno Tonin, di Vicenza), acclamò la 
		nuova nascita con l’esortazione “bacio, bacio!!” che avvenne tra i due 
		responsabili. Che bello!. 
		Non ci fu un’assemblea, non furono coinvolti i capi brevettati, non si 
		lasciò il tempo alle realtà locali di discuterne: un colpo di mano 
		vergognoso!. 
		Noi del Treviso 2° e una parte delle ragazze del Treviso 1° non 
		accettammo il fatto compiuto: a ottobre non versammo la quota del 
		censimento e con quei soldi fondammo un’associazione “Gruppi e Ceppi 
		Scout Cattolici Treviso”. Come Treviso, altre realtà non aderirono 
		all’AGESCI come alcune di Roma, di Jesi, di Palermo, ecc. Nell’aprile 
		del 1976 alcuni capi romani fondarono, di fronte ad un notaio di Roma 
		l’Associazione Guide e Scouts d’Europa Cattolici, aderenti alla 
		Federazione dello Scautismo Europeo. 
		A settembre anche la realtà trevigiana aderì alla nuova associazione che 
		svolse il primo campo scuola nel novembre dello stesso anno a 
		Montegemoli, in Toscana.  
		Questo è quanto la mia memoria mi riporta! Salvo errori ed omissioni! 
		
		
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		Da Azimuth 1-2011 
		La nascita dei 
		“Gruppi e Ceppi Scout Cattolici” a Treviso  
		Claudio Favaretto  
		 
		 Gli ultimi anni di vita dell’ASCI, la gloriosa associazione nata nel 
		1916, furono caotici e confusi. Molti Capi facenti parte del Gruppo 
		Treviso 2°, me compreso, erano entrati nell’associazione ancora da 
		ragazzini, ma ora, diventati Capi responsabili di altri ragazzi, non 
		riuscivano più a capire cos’era rimasto di quella proposta educativa che 
		aveva entusiasmato loro e tanti altri dopo di loro. Ci opponemmo con 
		tutte le nostre forze contro la deriva dello scautismo cattolico di 
		quegli anni, sia in sede locale (Commissariato Provinciale, 
		Commissariato Regionale), sia a livello nazionale.  
		All’ultima Assemblea Nazionale dell’ASCI, dopo aver mandato un 
		telegramma di protesta, partecipammo, forse noi soli di Treviso, in 
		uniforme. La convocazione, infatti, parlava di intervento in borghese, 
		quasi ci si vergognasse della nostra uniforme!  
		 Comunque le cose precipitarono: furono assunte via via decisioni per noi 
		del Treviso 2° veramente aberranti. Elenco le più importanti:  
		1) conduzione femminile dei branchi;  
		2) clan misti;  
		3) precisa scelta politica;  
		4) critica all’uniforme;  
		5) critica alla Legge Lupetto ed Esploratore;  
		6) gestione collettiva delle unità;  
		7) abolizione della squadriglia di B.-P. diventata un semplice gruppo 
		spontaneo;  
		8) scelta cristiana vista solo come una delle ipotesi;  
		9) abolizione dell’alzabandiera perché la bandiera era un simbolo 
		nazionalistico.  
		Mi soffermo solo un attimo solo sul primo punto dell’elenco. Per noi, e 
		non solo per noi, ovviamente, la figura di Akela nel metodo lupetto è 
		insostituibile e per il bambino diventa uno dei modelli da seguire. Come 
		si poteva proporre una figura femminile?  
		Come ben si sa, malgrado tutte le opposizioni provenienti da ogni parte 
		d’Italia, i Consigli Generali dell’ASCI e dell’AGI il 4 maggio 1974, 
		alle ore 23,50 approvarono l’unificazione delle due associazioni dando 
		vita all’AGESCI.  
		 Noi del Treviso 2° non accettammo mai questa decisione che era frutto di 
		un incontro di vertice: infatti non ci fu un referendum nemmeno tra i 
		capi brevettati nazionali. E io ero uno fra questi. Fu una decisione 
		presa sopra le nostre teste e contro la nostra volontà. Ma non ci 
		arrendemmo. Mentre si cercava una collocazione più grande, ben 
		consapevoli che una realtà locale, sia pur forte (eravamo, censiti, 
		350), non sarebbe stata in grado di sopravvivere, il nostro Gruppo, di 
		concerto con il Ceppo ex-Agi Treviso 1°, diede vita ad una Federazione 
		di “Gruppi e Ceppi Scout Cattolici – Treviso”. Era il 14 ottobre 1974.
		 
		Ci dedicammo con enorme entusiasmo e con tutte le energie disponibili a 
		far funzionare questa nuova struttura. 
		Così furono distribuiti i compiti: uniformi, statuto, stampa, economia, 
		formazione Capi. Tutto doveva essere costruito e messo in condizione di 
		funzionare.  
		Questa Federazione durò due anni, mentre il Capo Gruppo, 
		l’indimenticabile Francesco Piazza, cercava agganci a livello nazionale. 
		Trovò alleanze in Piergiorgio Mingo di Jesi, Sergio Durante e Attilio 
		Grieco che gli parlarono della Federazione dello Scautismo Europeo.
		 
		Il Direttivo della nostra Federazione di Treviso, dopo aver esaminato lo 
		Statuto degli Scouts d’Europa, convenne che questa era finalmente la 
		nostra collocazione, che non ci chiedeva di rinunciare a nessuno dei 
		valori in cui credevamo, anzi ne aggiungeva uno di importante: 
		l’Europeismo, cioè la dimensione internazionale, tanto cara a B.-P. E 
		dall’ottobre del 1976 facciamo parte, noi tutti, dell’Associazione Guide 
		e Scouts d’Europa Cattolici. 
		
		   
		
		
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		Da Azimuth 6-2011 
		Monsignor Giovanni Bordin  
		Claudio Favaretto 
		 
		 Eravamo smarriti, noi adolescenti e giovani Scout di Santa Maria del 
		Rovere, dopo l’improvvisa morte del nostro amatissimo assistente, don 
		Ugo de Lucchi, avvenuta proprio il giorno di san Giorgio del 1959. I 
		campi estivi si erano svolti quasi sotto il peso di questa grave 
		perdita, ma bisognava ora rivolgersi al futuro, nella speranza che fosse 
		inviato in parrocchia un sacerdote in grado di sostituirlo, almeno in 
		parte.  
		Giungevano voci che sarebbe arrivato un giovane sacerdote, conoscitore 
		di musica, ma assolutamente digiuno di Scautismo. Bisogna sapere che don 
		Ugo era un grande intenditore di musica e che molti di noi erano sia 
		cantori che Scout.  
		Eravamo, perciò, un po’ delusi, ma desiderosi di incontrare il giovane 
		prete, che giunse, finalmente, uno dei primi giorni di ottobre. 
		Ci piacque subito: corpo robusto, faccia rotonda, sorriso aperto, 
		cordialità contagiosa. Si rese subito conto che veniva a raccogliere una 
		grande eredità spirituale lasciata da don Ugo, e con umiltà cercò di 
		capirla ed interpretarla in modo molto rispettoso.  
		Un po’ alla volta entrò nello spirito e nella prassi dello Scautismo, 
		così che lentamente divenne il nostro punto di riferimento. Una cosa ci 
		stupì subito, oltre all’umiltà: la sua grande disponibilità. Non si tirò 
		mai indietro, anche di fronte a richieste che forse potevano arrecargli 
		dei fastidi. Ad esempio, non avendo mai dormito sotto tenda, la novità 
		poteva essere poco gradevole: egli reagì facendosi fare una tenda alta, 
		robusta e larga, in cui si potesse muovere agevolmente, data la sua 
		massiccia corporatura. 
		L’inconsueta realizzazione fu ironicamente battezzata dagli Scout 
		presenti al suo primo campo “caponera”!  
		Fu un uomo di profondo equilibrio e di grande saggezza, che prodigò nei 
		suoi contatti con capi e ragazzi, quando 
		 andavano a trovarlo per un 
		consiglio o per un conforto. Prima di prendere delle decisioni 
		importanti rifletteva, ma una volta decisa la strada, non aveva 
		esitazioni di sorta. Così ci sostenne nei momenti complicati della 
		nostra vita Scout: allo sdoppiamento del Treviso 1°, mediante il quale 
		nacque il nostro Treviso 2°, al rifiuto di confluire nell’Agesci appena 
		formata nel 1974, per appoggiare l’idea della nascita dei “Gruppi e 
		Ceppi Scout cattolici di Treviso” confluiti poi nell’Associazione 
		Italiana Guide e Scout d’Europa Cattolici” nata nel 1976, alla crisi che 
		investì lo stesso Treviso 2°, da cui nacquero gli attuali gruppi 
		presenti in città. La sua parola, la sua saggezza furono fondamentali 
		nella ricerca di nuovi equilibri che la storia, in qualche modo, 
		imponeva.  
		Dopo alcuni anni di permanenza in parrocchia, don Giovanni scelse di 
		entrare tra i Sacerdoti Oblati perché gli sembrava di fare troppo poco 
		rispetto a quanto aveva sognato per la sua vocazione. In questa veste fu 
		richiesto dal Vescovo di allora di dirigere la “Vita del Popolo”, il 
		settimanale diocesano. Egli non aveva dimestichezza con quel mondo, ma 
		accettò come sempre con umiltà, circondandosi, però, di una squadra di 
		collaboratori molto validi che garantirono un vero successo nella 
		diffusione del settimanale nelle famiglie della diocesi.  
		 Come tutti, aveva delle piccole défaillances, alcune anche 
		involontariamente spiritose. Come quando disse, durante un’omelia al 
		campo, che ”uno Scout deve farsi un bel segno di croce, la sera, prima 
		di addormentarsi, ed un altro, al mattino, prima di svegliarsi”. Queste 
		piccole manchevolezze ce lo rendevano ancora più vicino. Ricordo che nel 
		1964, in occasione di un Campo Nazionale Rover, raggiungemmo con la mia 
		macchina, Forcella d’Acero, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, dove avremmo 
		dovuto incontrare il nostro Clan. Naturalmente l’appuntamento andò a 
		vuoto: non c’erano ancora i telefonini! Allora decidemmo di lasciare la 
		macchina sul ciglio della strada per inoltrarci nel bosco, alla ricerca 
		di un sito dove piantare la tenda, visto che ormai stava imbrunendo. 
		Percorse alcune centinaia di metri, incontrammo un solitario cane 
		pastore abruzzese, che ci ringhiò contro; ed egli, postosi velocemente 
		dietro di me, mi disse sottovoce: “ ci vorrebbe un bastone”. Per fortuna 
		il cane proseguì il 
		 suo cammino e noi il nostro. Raggiungemmo finalmente 
		una radura, circondata da enormi faggi, che fu di nostro gradimento. 
		Prima di piantare la tenda, però, don Giovanni volle celebrare la messa, 
		utilizzando gli zaini come base per l’altare. Ricorderò sempre quella 
		messa inconsueta. Il celebrante si girava verso di me, alla fine di ogni 
		preghiera, per sollecitare la mia risposta. Ma poco prima del Canone, mi 
		chiese, sottovoce, se desideravo comunicarmi. Eravamo soli per un raggio 
		di chilometri, ma la domanda era rispettosa, perciò posta a bassa voce! 
		Don Giovanni accompagnò lungo il cammino della vita quei numerosi 
		adolescenti che lo accolsero nel 1959. Egli celebrò i nostri matrimoni, 
		battezzò i nostri figli, ricevette le nostre difficoltà e i nostri 
		dubbi: è stato veramente una guida per noi.  
		Vent’anni fa, fu incaricato dal Vescovo di dirigere la parrocchia di 
		Riese Pio X. Che strano: era stato mandato proprio nella parrocchia da 
		dove era proveniva e dove era sepolto quel sacerdote ch’egli aveva 
		sostituito: don Ugo de Lucchi. Anche nella nuova realtà don Giovanni 
		seppe profondere, malgrado le malattie, tutta la sua carica umana e 
		spirituale che erano parte della sua straordinaria personalità. L’ho 
		avvertito durante il funerale quanto fosse benvoluto: perché chi fa il 
		bene non può che essere amato. E lui di bene ne ha fatto molto, e di 
		questo sarà da Dio sicuramente ricompensato. Ed ora riposano in pace 
		vicini, i due nostri cari assistenti.
		 
		
		
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		Da Azimuth 4-2012 
		Un amico degli scouts 
		Claudio Favaretto 
		
		“Che uccello è la mangusta?” Questa domanda spiritosa e improvvisa ci fu 
		rivolta dal vescovo in visita al campo della Valle solitaria che si 
		stava svolgendo non lontano dal passo della Mauria, nel 1964. 
		L’assistente ed io l’avevamo ricevuto, come si conviene, con il riparto 
		schierato in quadrato. Poi il Vescovo volle visitare il campo. Era stato 
		negli anni giovanili assistente Scout in una parrocchia di Vicenza, per 
		cui sapeva bene come valutare un campo. Allora le squadriglie, dopo il 
		“crack” raggiunsero i propri angoli per accogliere l’illustre ospite. 
		Dapprima si presentarono i Gheppi. Come si sa, il grido di squadriglia è 
		proprio un grido, non una comunicazione, per cui chi lo sente non 
		capisce proprio nulla. Così il vescovo, che mi chiese: “Cosa hanno 
		detto?” Al che risposi. “Gheppi, nel volo sicuri!”. Dopo aver salutato e 
		spronato la squadriglia a ben operare, raggiungemmo l’angolo dei Picchi. 
		Anche qui la presentazione di squadriglia fu indecifrabile, per cui 
		dovetti spiegare che il loro motto era “All’invito del bosco!”. 
		Soddisfatto, il vescovo fu accompagnato all’angolo delle Manguste che si 
		presentarono con un incomprensibile “Siamo sempre ardimentose!”. Allora, 
		rivolto verso
		 di 
		me, chiese delucidazioni, in quanto, rispetto ai primi due animali, la 
		mangusta non era certo un volatile. Ricordo questo episodio per far 
		comprendere quanto il presule fosse cordialmente vicino allo Scautismo, 
		come dimostrò in tante altre occasioni, poiché ci venne a trovare 
		pressoché ogni anno. Qualche anno dopo, al campo dell’”Airone”, quando 
		mi scorse mi disse: ”Ti vedo sempre!” e mi strinse forte la mano. 
		Monsignor Mistrorigo resse la diocesi di Treviso per un lungo periodo, 
		dal 1958 al 1988, nel periodo storico, perciò, del Concilio Vaticano II 
		a cui partecipò come Padre Conciliare. Fu un grande propugnatore delle 
		idee conciliari e un fervente sostenitore della Riforma Liturgica, che 
		anch’egli contribuì a disegnare in qualità di esperto. Ricordava con una 
		certa fierezza che durante il Concilio nei banchi a lui vicini sedevano 
		il vescovo Albino Luciani e il vescovo Karol Wojtyla, che sarebbero 
		diventati da lì a poco pontefici. 
		Proprio con Giovanni Paolo II intrattenne un bel rapporto, come 
		dimostrano i soggiorni di quest’ultimo nel Castello di Lorenzago, 
		pertinenza della Diocesi trevigiana. La sua cura pastorale fu rivolta 
		soprattutto alle parrocchie, parecchie delle quali furono create proprio 
		da lui, come quella di San Pio X° a Treviso, dove iniziai il mio 
		servizio di capo. Nella sua lunga missione pastorale ha somministrato il 
		sacramento della Cresima a migliaia di ragazzi e ragazze, ha ordinato 
		oltre duecento tra sacerdoti e diaconi. Sensibile ai valori dell’arte, 
		ha istituito il Museo diocesano di Arte sacra; inoltre ha riformato il 
		seminario, ha costruito “Casa Toniolo” come sede delle associazioni 
		cattoliche, ha edificato la “Casa del clero” per accogliere i sacerdoti 
		anziani, ha acquistato la casa di villeggiatura di Lorenzago. Come si 
		capisce, è stato un presule pieno di iniziative. Monsignor Mistrorigo ha 
		avuto un’enorme importanza nella nostra storia associativa. Infatti, il 
		21 ottobre 1984 emanò il “Decreto di erezione in associazione pubblica 
		della sezione diocesana degli Scouts d’Europa”. Fu, quindi, uno dei 
		primi vescovi a riconoscere canonicamente la nostra associazione, sia 
		pure a livello locale, in quegli anni così difficili. Il 12 giugno 2004, 
		il “Centro studi Don Ugo De Lucchi” volle festeggiare i 50 anni di 
		episcopato del vescovo, invitandolo ad un incontro presso la “Casa Scout 
		Anna e Franco Feder” a Treviso. Il vescovo esordì dicendo: “Sono 
		contentissimo di essere qui, perché sono parente degli Scout: nonno e 
		bisnonno!”. Dopo aver passato in rassegna alcuni dei suoi molti ricordi, 
		Mistrorigo affermò: “Ora siamo in un periodo di magra per quanto 
		riguarda il mondo dell’associazionismo; l’unica associazione che rimane 
		in piedi è lo Scautismo”. Poi il vescovo ha ricordato la figura del 
		nostro indimenticabile don Ugo De Lucchi, di cui espresse le doti, “un 
		misto di zelo e dinamismo” e il dolore per la prematura scomparsa: “Ma 
		dal cielo sono convinto che continui a seguire benevolo i suoi Scout”. 
		A conclusione dell’incontro, il vescovo ha pronunciato una vivace 
		definizione e un fervido augurio: “Cosa sono gli Scout? Sono giovani in 
		piedi. Questa è la vostra missione di domani: stare in piedi ed aiutare 
		gli altri ad alzarsi. Io vorrei che voi foste all’avanguardia nella 
		vostra diocesi. E ricordate che quando sarò di là, guarderò se gli Scout 
		si comportano bene!”. Rimase operoso anche per i lunghi anni successivi 
		al termine del suo mandato di vescovo titolare, dedicandosi alla stesura 
		e pubblicazione di testi di contenuto biblico e liturgico ed aiutando 
		nell’amministrazione del sacramento della Cresima. Negli ultimi tempi 
		aveva perso l’uso della parola, ma il suo sguardo era ancora vivo e 
		penetrante. È tornato alla casa del Padre sabato 14 gennaio 2012. Pochi 
		giorni dopo, il 26 marzo, avrebbe compiuto 100 anni. Grazie, don Antonio 
		Mistrorigo, ti porteremo con noi: ci hai sempre voluto bene e ci hai 
		aiutato nei momenti difficili e complessi della nostra storia 
		associativa. 
		
		
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		Da Azimuth 3-2013 
		ESTOTE PARATI 
		Claudio Favaretto  
		 
		Il 6 maggio del 1976, alle 21,06, un terribile terremoto colpì il 
		Friuli. L’impatto emotivo sulla nazione fu enorme, alla vista di interi 
		paesi rasi al suolo, con un impressionante numero di morti, in continuo 
		drammatico aumento.  
		Come al solito, oltre alle forze preposte, molti volontari partirono da 
		ogni parte d’Italia. Anche numerosi Clan e Fuochi della nostra neonata 
		Associazione partirono per raggiungere le zone terremotate.  
		Io, Capo Clan, ero insegnante di liceo e non potevo abbandonare il posto 
		di lavoro nella parte conclusiva dell’anno scolastico. Perciò partimmo 
		appena liberi dagli impegni scolastici, attorno alla metà di giugno.
		 
		Ma io ero molto perplesso. Sapevo bene che tanti volontari erano più di 
		intralcio che di aiuto. Mi chiedevo in cosa saremmo potuti essere utili 
		noi, quindici ragazzi, privi di strumenti adatti a rimuovere macerie e 
		inadatti a intervenire in qualche modo su una popolazione smarrita e 
		bisognosa di ogni cosa. Devo dire che partii di malavoglia, senza farlo 
		trasparire ai miei Rovers. Ma l’“Estote parati” era pur sempre il nostro 
		motto, per cui accettai la sfida.  
		I Clan e i Fuochi che ci avevano preceduto avevano svolto il loro 
		servizio a Vito d’Asio, un paese che non avevo neppure mai sentito 
		nominare prima di allora. Giungemmo nel tardo pomeriggio, dando il 
		cambio a due Clan, uno di Treviso ed 
		 uno di Roma.  
		Il paese era stato completamente distrutto per cui era stata allestita 
		una tendopoli su un prato fuori dal centro abitato. Nei pressi era stata 
		edificata una costruzione in legno che fungeva da cucina e da mensa per 
		gli abitanti e per coloro che lavoravano alla bonifica del sito. Erano 
		presenti anche alcuni soldati, comandati da un tenente, con compiti 
		logistici. Ci era stato assegnato uno spazio non lontano dalla tendopoli 
		per piantare le nostre tendine, cosa che facemmo, allestendo anche una 
		sorta di cucina-soggiorno riparata da teli, secondo tradizione. Poco 
		lontano si era accampata anche una pattuglia di Scolte, con la loro 
		capo, che svolgevano il loro servizio contemporaneamente a noi.  
		La sera stava scendendo, gli altri Clan se n’erano andati e io mi 
		interrogavo sul significato della nostra presenza: mi sembrava che 
		fossimo quasi degli intrusi in un contesto già organizzato.  
		Cenammo in mensa, assieme a tante persone, per poi recarci a riposare, 
		dopo esserci messi d’accordo con il responsabile della tendopoli, un 
		bravo e simpatico giovane, tarchiato, cordiale e deciso, che il giorno 
		seguente noi saremmo stati disponibili alle richieste della gente, per 
		servizi adatti alle nostre capacità.  
		 Infatti così avvenne. Su una parete della mensa fu posta una bacheca 
		dove gli abitanti che avevano bisogno di qualche lavoro scrivevano le 
		loro necessità: così, a gruppi, i Rovers si dedicarono ad ogni tipo di 
		servizio.  
		Aiutammo a sistemare la legna, a rastrellare il fieno, a diradare 
		piantine di granoturco, a mettere in ordine masserizie, a raccogliere le 
		immondizie.  
		Le Scolte, d’altra parte, distribuivano, a chi ne faceva richiesta, capi 
		di vestiario giunto da ogni parte d’Italia ed anche da diversi stati 
		europei. Ma mi restava un po’ l’amaro in bocca di sentirmi quasi di 
		peso, perché anche noi usavamo della mensa. Così decidemmo di cucinare 
		per conto nostro: durò poco, perché la signora che gestiva la mensa ci 
		disse che la nostra presenza insieme agli altri era non solo gradita, ma 
		desiderata: non erano certamente i nostri pasti a mettere in crisi la 
		loro cucina.  
		Ciò mi fu di grande insegnamento. Perciò ritornammo a condividere i 
		pasti con tutti i paesani e i lavoranti con cui, un po’ alla volta, 
		entrammo in relazione. Gli abitanti erano con noi estremamente cordiali 
		e grati dei piccoli servizi che facevamo: avevano perso quasi tutto, ma 
		erano così ospitali e generosi che ci invitarono più di una volta a 
		pranzo o a cena, a condividere quel poco che avevano.  
		Una cosa veramente commovente ed educativa per il clan intero. Ma il 
		vero servizio, senza che lo cercassimo, si presentò sotto altra forma.
		 
		 La sera dopo il nostro arrivo, improvvisammo un fuoco di bivacco tra di 
		noi, per concludere la giornata con qualche canto e la recita delle 
		preghiere. Si unirono quasi tutti i militari e qualche persona della 
		tendopoli. La sera successiva preparammo un cerchio con delle panchine 
		per l’eventuale pubblico che difatti si presentò in proporzione ben 
		maggiore della sera precedente. La terza sera decisi di non svolgere il 
		fuoco di bivacco, per non dare l’impressione che fossimo dei 
		saltimbanchi. Ma mi pentii amaramente quando giunsero dei camion pieni 
		di soldati provenienti non so da dove: erano venuti proprio per stare 
		insieme attorno al fuoco e cantare in compagnia. 
		Dalla sera successiva la nostra giornata si concluse puntualmente con il 
		fuoco cui parteciparono sempre più persone: così dal tenente di Vito 
		d’Asio si passò al maggiore per finire al colonnello, giunto l’ultima 
		sera con la moglie e un numero enorme di soldati. Naturalmente ai canti 
		dovemmo aggiungere giochi, scherzi e ban. L’attesa era diventata così 
		grande che alcuni soldati rinviarono la loro licenza pur di restare fino 
		alla fine della nostra settimana di servizio.  
		La conclusione dell’ultimo fuoco fu veramente straordinaria: dopo le 
		preghiere recitate compostamente da tutti, cantammo il canto dell’addio 
		e devo dire che la commozione prese tutti. Eravamo andati per obbedienza 
		a quell’“Estote parati” che ci contraddistingue, e ci ritrovavamo con la 
		consapevolezza di aver svolto uno dei servizi più belli e nobili: aver 
		fatto felici almeno per qualche ora, persone o colpite dalla tragedia o 
		inviate a svolgere impegnativi compiti. 
		
		
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		Da Azimuth 2-2014 
		Ritratto di Don Rino Olivotto  
		Una persona di cui non ci si può dimenticare 
		Claudio Favaretto  
		 
		Si è spento mercoledì 22 gennaio 2014 Mons. Rino Olivotto, 85 anni, per 
		molti anni Assistente dei nostri Gruppi Scout di Treviso e di alcuni 
		campi scuola associativi. Di seguito il ricordo di due Capi. 
		L’avevo incontrato per la prima volta per strada, mentre passeggiava con 
		un comune amico, che me lo presentò. Era grande, massiccio, di fiero 
		portamento, proporzionata la testa dove risaltavano i bianchi capelli 
		rimasti nella nuca, vivacissimi gli occhi dietro le lenti di leggera 
		montatura, grande la bocca dalle labbra carnose che si aprivano 
		frequentemente in un cordiale sorriso. Era sicuramente una di quelle 
		persone che non si dimenticano. Poteva avere fra i cinquanta e i 
		sessant’anni.  
		 Qualche tempo dopo, per una di quelle sorprese imperscrutabili ed 
		imprevedibili della Provvidenza, divenne l’Assistente ecclesiastico del 
		Clan di cui ero allora il capo. E da lì cominciò una lunga e feconda 
		collaborazione con gli Scouts d’Europa Cattolici, che ebbe termine il 22 
		gennaio scorso, con la sua dipartita.  
		Ero andato a trovarlo pochi giorni prima, in seminario. Mi accolse, come 
		di consueto, con cordialità affettuosa ed insieme ricordammo fugacemente 
		, data la mia fretta, i begli anni condivisi nel servizio, a volte 
		faticoso, ma sempre gioioso. Ci lasciammo con il proposito di rivederci 
		presto. Ed invece...  
		Mons. Olivotto, per noi tutti don Rino, era rimasto affascinato dallo 
		Scautismo fin dal primo momento. Il rispetto delle regole, la lealtà, il 
		senso del servizio gratuito, l’entusiasmo dei giovani anche di fronte 
		alle difficoltà, la condivisione della fatica e della gioia, la 
		Spiritualità della Strada, il rispetto e l’amore per il Creato, pallido 
		segno visibile della bellezza del Creatore: tutto ciò era consonante con 
		la sua personalità. Aveva studiato al Collegio Capranica di Roma, lì 
		inviato dai superiori del seminario di allora, che avevano colto 
		l’intelligenza e le risorse umane di quel giovane prete. Ritornato, 
		insegnò per un trentennio Teologia morale in Seminario di Treviso. 
		Eppure la sua cultura non pesò mai nei rapporti interpersonali, 
		specialmente con i giovani che lo sentirono subito un loro fratello 
		maggiore, capace di capirli, di sostenerli e di incoraggiarli.  
		 Così, se don Rino era rimasto affascinato dallo Scautismo, noi fummo 
		affascinati da lui. Il suo spirito di servizio fu da subito esemplare, 
		in sintonia perfetta con l’ideale proposto dallo Scautismo cattolico. 
		Ricordo affettuosamente la sua prima esperienza di Campo Mobile, che fu 
		anche il suo battesimo del fuoco. Essendo ormai avanti con gli anni e di 
		corporatura poco agile, non seguì il Clan nelle impegnative tappe di 
		montagna, ma lo raggiungeva, quando possibile, alla sera, nelle soste 
		per il pernottamento. Quando ci si incontrava, era raggiante per il 
		riuscito appuntamento e premuroso nell’offrirci tutti i generi di 
		conforto che la sua macchina conteneva in abbondanza.  
		Quella macchina gli serviva anche da riparo, perché, avendo tolti i 
		sedili da un lato, ne aveva ricavato un vano giusto per il sacco-letto. 
		Era felice di condividere 
		 con noi la gioia del fuoco da cucina e la 
		fraternità spontanea che scaturiva dai fuochi di bivacco.  
		Amava moltissimo celebrare la Messa all’aperto, con l’altare allestito 
		sul luogo con i mezzi di fortuna che la natura ci offriva di volta in 
		volta. Si compiaceva di tutto ciò che il clan faceva, a partire dal 
		luogo scelto per il pernottamento. “Ma che bel posto!” esclamava, anche 
		se non sempre ciò corrispondeva a verità. Il suo ottimismo trascinava i 
		giovani e i capi, che sentivano in lui una solida presenza e un virile 
		aiuto.  
		Pur dotato di grande carisma, si adattò sempre umilmente alla 
		personalità dei capi con cui svolse il suo servizio, profondamente 
		convinto della laicità dell’Associazione. Dopo aver ascoltato la 
		relazione di un’attività ben riuscita, usciva con un’espressione rimasta 
		proverbiale: “Godo!” ad esprimere una profonda partecipazione 
		all’evento.  
		Di squisita attenzione umana ed educativa, costruì tutte le relazioni 
		interpersonali con profonda delicatezza, anche nei momenti più difficili 
		e con le persone di carattere spigoloso.  
		Caro don Rino, tu hai saputo infondere in tutti coloro che hanno avuto 
		la gioia di conoscerti, il senso promettente della vita, riuscendo a far 
		vedere, al di là delle difficoltà, un orizzonte positivo. Caro don Rino, 
		tu hai saputo con noi godere delle piccole grandi cose che il Creato ci 
		offre e ci hai fatto intuire che il cielo sereno altro non è che il 
		lembo azzurro del manto di Dio.  
		Buona strada, Gabbiano bianco!
		 
		
		
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		Da Azimuth 2-2017 
		Europa e Scouts d’Europa  
		Claudio Favaretto 
		 
		I l 25 marzo scorso si sono svolte a Roma varie cerimonie per ricordare 
		con solennità la ricorrenza del sessantesimo anniversario dei Trattati 
		di Roma. Devono essere stati molto importanti questi trattati se il loro 
		ricordo ha mobilitato capi di stato e di governo di tutta Europa. 
		Infatti, nel 1957 nacque la Comunità Economica Europea (CEE) con lo 
		scopo di eliminare ogni barriera doganale all’interno dei sei stati 
		aderenti ( Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Germania e Italia). Ma 
		fu deciso anche di dar vita all’Euratom, un organismo che doveva mettere 
		insieme esperienze scientifiche per poter utilizzare l’energia nucleare 
		a scopi pacifici. Ma la storia dell’Europa unita nasce una decina di 
		anni prima, nel 1947. Dopo la terribile tragedia della seconda guerra 
		mondiale, ci si rese conto che non si poteva continuare a ritenere di 
		risolvere i problemi delle nazioni con la forza come avevano 
		drammaticamente dimostrato le due guerre mondiali. Tali scontri avevano 
		provocato milioni di morti, intere generazioni di giovani uomini uccisi 
		nei campi di battaglia, milioni di bambini orfani, giovani madri vedove, 
		città distrutte, industrie rase al suolo, campagne abbandonate, povertà 
		e miseria. Ma per fortuna dopo il 1945 l’anelito di pace finalmente 
		raggiunta spinse più a cercare la collaborazione degli altri stati che 
		non la sfida. Alcuni grandi statisti di quel tempo facilitarono questo 
		processo positivo: Adenauer in Germania, (quella occidentale perché 
		l’orientale era ancora sotto il controllo sovietico), Schuman in Francia 
		e De Gasperi in Italia furono convinti assertori dell’unità e della pace 
		tra i popoli europei. Tutti e tre profondamente cattolici, diedero alla 
		loro azione politica uno slancio ideale che forse oggi si è un po’ 
		perduto. Ecco in sintesi le tappe dell’Unione Europea. I primi paesi che 
		pensarono di abolire le barriere doganali per far circolare liberamente 
		merci e persone furono Belgio, Olanda e Lussemburgo i cui governi in 
		esilio a Londra firmarono nel 1944 un protocollo d’intesa che originò il 
		Benelux. Francia e Regno Unito estesero al Benelux l’alleanza militare 
		che legava i due paesi fin dal 1947. Nel 1948 nacque l’OECE 
		(Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) e l’anno 
		successivo il Consiglio d’Europa, organismo che univa gli stati membri 
		con lo scopo di difendere la democrazia e far rispettare i diritti 
		umani. Ma il patto più importante di questi primi anni fu quello firmato 
		a Parigi nel 1951che istituì la CECA (Comunità Europea del Carbone e 
		del’Acciaio), un istituto sovranazionale che aveva il compito di 
		razionalizzare le risorse in ambito carbosiderurgico. Se si pensa che il 
		carbone ed il ferro furono sempre considerate le materie prime 
		indispensabili per creare un’industria pesante, cioè treni, navi, 
		motori, ma anche carri armati, cannoni, si capisce l’importanza di 
		condividere le risorse a fini pacifici. Bisogna ricordare che le regioni 
		di confine come l’Alsazia e la Lorena da parte francese e la Saar e la 
		Rhur da quella tedesca sono propriamente minerarie e quindi furono 
		sempre contese.  
		Nel 1957, come si è già visto nacquero la CEE e l’Euratom. Dieci anni 
		più tardi i tre organismi sovranazionali esistenti vennero unificati e 
		coordinati da una Commissione Europea, sostenuta due anni dopo dal 
		Parlamento Europeo. Nello stesso anno nacque lo SME, Sistema Monetario 
		Europeo con il compito di evitare contrasti tra le divise dei vari 
		stati, in preparazione di una moneta unica. 
		 L’entusiasmo per la casa comune europea aumenta progressivamente così da 
		spingere altri stati a diventarne membri. Infatti tra il 1973 e il 1986 
		aderirono alla CEE altri sei paesi: Regno Unito, Danimarca, Irlanda, 
		Grecia, Portogallo e Spagna. Dopo l’unificazione della Germania nel 1990 
		venne stipulato il trattato di Maastricht che indicava i termini della 
		vita comune dei vari stati membri a proposito di economia, di difesa 
		comune, di diplomazia, di cittadinanza. Nacque finalmente l’UE, l’Unione 
		Europea, alla quale aderirono Austria, Finlandia e Svezia. E nel 1999 si 
		realizzò un altro sogno che sembrava impossibile: gli stati membri 
		adottarono una moneta comune, l’euro ( salvo Danimarca, Svezia e Regno 
		Unito). Da quell’anno si poté viaggiare con la sola carta d’identità e 
		senza il pensiero di cambiare valuta in buona parte dei paesi europei. 
		Nel 2000 aderirono all’UE altri dodici stati: Estonia, Lettonia, 
		Lituania, Polonia, 
		Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania, Bulgaria, 
		Malta e Cipro. Sembrava che il sogno alimentato per molti anni dai più 
		sensibili statisti fosse finalmente diventato realtà.  
		Ma i problemi cominciarono a scuotere la costruzione europea, 
		soprattutto sotto la spinta di due imprevisti fattori: la disordinata e 
		massiccia l’immigrazione dai paesi del terzo mondo e la crisi economica. 
		Rispuntarono tensioni all’interno dei vari stati in cui cominciarono ad 
		affermarsi partiti politici antieuropeisti che attribuivano e 
		attribuiscono all’Europa la responsabilità delle difficoltà economiche e 
		sociali oltre all’insicurezza personale. Si è giunti pertanto alla 
		drammatica uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, in seguito ai 
		risultati del referendum del 23 giugno dello scorso anno, la famosa 
		Brexit. Ci vorranno due anni di trattative per giungere alla separazione 
		definitiva, ma la scelta inglese ha scosso l’Europa. Altri movimenti 
		antieuropei hanno preso coraggio da questo fatto soprattutto in Francia, 
		ma anche la nostra Italia non ne è immune.  
		Ma noi Scouts d’Europa siamo profondamente europeisti, a partire già dal 
		nome! Noi abbiamo sempre creduto all’abbattimento delle frontiere e alla 
		libera circolazione 
		delle idee e delle persone. Noi pensiamo che la fraternità 
		internazionale sia il più valido antidoto all’insorgere di tensioni, 
		rivalità e perfino odi tra i popoli. Per questo facciamo parte di una 
		UIGSE- FSE che significa Unione Internazionale delle Guide e Scouts 
		d’Europa – Federazione dello Scoutismo Europeo a cui appartengono ben 17 
		associazioni ufficiali oltre a cinque in attesa di riconoscimento. Per 
		questo partecipiamo di slancio agli incontri internazionali: dalle 
		Giornate Mondiali della Gioventù agli Eurojamboree e agli Euromoot. Ma 
		sono diventati frequenti anche incontri organizzati a livello locale tra 
		unità di nazioni diverse per esempio per i campi estivi di scout o di 
		guide ma anche di rover o scolte.  
		Forse non tutti i politici sanno quello che noi scout sappiamo. La 
		bandiera europea che sventola anche sui pennoni dei nostri campi ha un 
		significato profondamente religioso: l’azzurro ricorda il manto della 
		Vergine e le 12 stelle si rifanno alla citazione dell’Apocalisse laddove 
		si parla di una ‘Donna vestita di sole con una corona di 12 stelle’, 
		sempre a proposito della Madonna. E a Lei chiediamo di far sì che 
		l’Europa riprenda il suo cammino di unità, di giustizia e di pace.
		 
		
		  
		
		
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		Intervento di Claudio al fuoco di 
			bivacco del centenario  
		31 luglio 2007 in Casa Scout Anna e Franco 
			Feder 
		
			RICORDO DI CHECCO 
			
			  
			
			Mi è stato 
			chiesto di fare un breve intervento attorno a questo fuoco di 
			bivacco, di raccontare qualche aneddoto tratto dalla vita scout. 
			
			Ma questa 
			sera penso che sia importante dire una testimonianza di Checco. Per 
			uno strano disegno, il suo funerale coincide con il centenario dello 
			scoutismo che lui tanto capì, amò e fece amare. Di fronte ad una 
			personalità così grande e complessa ognuno di noi può aver colto 
			sfumature diverse e molto personali. Perché le personalità ricche si 
			possono leggere da molteplici angolazioni e mai completamente. 
			
			Io ero un 
			ragazzino quando lo conobbi, alla mia prima uscita di riparto, e ne 
			rimasi affascinato. Cercavo ogni scusa per andarlo a trovare a casa 
			sua, in vicolo Monte Piana, perché ero assetato di cultura. E lui 
			era molto colto. 
			
			Voi sapete 
			che ogni casa possiede un proprio odore: la sua sapeva di acqua 
			ragia, di colori ad olio, di mobili antichi. 
			
			Il mio 
			povero appartamento popolare a confronto era un niente. 
			
			Ricordo che 
			alle pareti c'erano dei suoi quadri, ma anche alcuni del nonno 
			paterno, pittore di valore anch'egli. 
			
			E poi 
			ceramiche dipinte, e alcune delle sue prime prove di artista, tra 
			cui un quadro con un glicine, se non ricordo male, che egli aveva 
			dipinto sul fondo di una scatola da scarpe quando aveva sedici anni. 
			E per me era già straordinario. 
			
			Ma la stanza 
			che mi piaceva di più era la «stanzetta Pipolini», dove c'era un po' 
			di tutto: scene di teatro dei burattini, tele, drappi, ricordi della 
			guerra che egli aveva vissuto sempre in quel luogo. In quella 
			stanzetta posai come Mowgli per dei cartelloni che servivano per la 
			mostra scout svoltasi nell'estate del 1954 a Palazzo dei Trecento.  
			
			
			Sempre a proposito della guerra, ricordo che mi raccontò che quando 
			c'erano 
			
			gli
			
			
			allarmi aerei, la 
			
			famigliola, Checco, Gino e la mamma Dina, si 
			rifugiavano nella cantina, ospitando anche dei 
			
			vicini. Ma una notte fu bombardata la vicina caserma De 
			Dominicis e la paura fu grande. Mentre tutti 
			
			pregavano, egli confessò ad alta voce alla mamma di 
			essere stato lui a fare non so quale marachella. 
			
			Allora la signora Dina, donna di fiero carattere, 
			incurante delle bombe, gliele suonò di santa 
			
			ragione, nonostante l'intercessione dei presenti, per 
			i quali la mancanza commessa era nulla di fronte 
						al pericolo. 
			
			
			I nostri legami s’infittirono quando egli divenne 
			capo riparto. Ed allora io, come tanti dei presenti,
			
			
			mi accorsi di quanta generosità, di quanto spirito di 
			servizio era capace. Spesso si licenzia 
			
			dal 
			lavoro per 
			venire al campo. 
			
			
			Erano gli anni meravigliosi del binomio Checco -Don 
			Ugo. 
			
			
			Bisogna ammettere che tutti noi che li abbiamo 
			vissuti siamo stati fortunati a crescere accompagnati 
			
			da persone così straordinarie e significative. 
			Ciascuno di noi si sentiva importante, grazie a loro, per 
			
			
			la vita del riparto. 
			Poi, con il passare degli anni, le distanze dovute all'età si 
			ridussero sempre più: tra quindici e 
			
			venticinque anni le distanze sono enormi, tra 
			ventidue e trentadue, molto meno. 
			
			
			Così nell'agosto del 1963 passammo insieme alcuni 
			giorni in una casera in Alpago: io studiavo e lui 
			
			dipingeva. 
			
			
			C'eravamo messi d'accordo con un vecchio contadino 
			che aveva la stalla poco lontano, che ci 
			
			portasse il latte la mattina. Ma il buon uomo 
			arrivava alle cinque e mezzo, bussando fragorosamente alla nostra 
			porta, gridando: «Giovinetti, il latte!» E Checco rispondeva 
			immancabilmente «se’l ‘ndasse 
			a farse...».
			
			
			Perché bisognava riconoscere che Checco non fu mai 
			uno sportivo e per lui l'alba 
			
			era una cosa misteriosa e tormentosa. 
			
			
			Malgrado questo si sobbarcò imprese epiche come i due 
			campi in Francia, specialmente quello del 
			
			1972, quasi prova della futura nuova associazione, 
			che sarebbe nata nel 1976. 
			 
		
			
			La storia più recente è conosciuta da tanti e 
			ciascuno ne conserva gelosamente nel cuore parole, 
			gesti, risa 
			e anche profondi dolori. 
			
			
			La perdita dell'Anna Maria lo segnò profondamente e 
			in modo definitivo. 
			
			Un giorno mi confidò: «Vedi, quando vedo una cosa 
			bella o faccio un bel quadro non so più a chi mostrarli». 
			 
		
			Malgrado fosse circondato dall'affetto di tanti 
			amici, alcuni dei quali lo hanno assistito fedelmente ed 
			amorevolmente fino all'ultimo e ai quali va tutta la nostra 
			gratitudine si sentiva solo nell'animo.
			 
		
			E poi l'ictus che lo colpì dodici anni fa lo rese 
			ancora più solo.
			 
		
			Tutti noi abbiamo patito nel vedere una persona così 
			brillante e creativa, costretta al balbettio e all'inerzia. 
			Ma le espressioni del volto e degli occhi tradivano 
			la passata ricchezza interiore.
			 
		
			Per finire voglio solo aggiungere che sempre sono 
			rimasto impressionato dalla sua personalità e 
			dalla scelta profonda di servizio scout e più 
			schiettamente cristiano.
			 
		
			Un uomo così straordinario poteva pensare solo a se 
			stesso, alla sua carriera che si presentava			
			strepitosa se a vent'anni aveva già vinto il premio 
			Internazionale «Cittadella» per l'incisione. 
			Eppure aveva un animo così generoso che in gran parte 
			la trascurò, senza mai perderla, certamente, 
		    per l'ideale scout.
			 
		
			E poi la dimensione creativa: io restavo incantato a 
			vedere uscire dalle sue mani un paesaggio 
			meraviglioso, o un volto, o una caricatura.
			 
		
			Tra l'altro scriveva in modo affascinante, prose e 
			poesie: queste abbiamo potuto goderle un po' 
			tutti. Grazie a Gianni che ce ne ha fatto conoscere 
			due abbastanza recenti. 
			 
		
			E come dimenticare i suoi canti, sempre pieni di 
			slancio e di fiducia nell'avvenire, con quella Fede nella 
			Provvidenza che egli non ha mai abbandonato.
			 
		
			Possiamo dire veramente di essere stati fortunati ad 
			aver avuto un genio per amico e maestro. 
			 
		
			Che il Signore lo ricompensi di tutto il bene che ha 
			fatto!  
		
			CASTORO DEL FIUME - Claudio. 
			 
		
			 
		
			 
			
			
			Intervento 
			
			
			scritto di Claudio su Luciano Furlanetto in occasionedella mostra 
			degli acquerelli  del 2014 al battistero del Duomo di Treviso 
		
			Ricordo di Luciano Furlanetto per tutti gli amici Ciano 
		
			Dividerò questo semplice ricordo in quattro parti:- l'amicizia- 
			lo scoutismo- gli affetti familiari- l'arte. 
			L'amicizia 
			Ci siamo conosciuti sui banchi di scuola, in seconda media. Lui era 
			già formato mentre io ero ancora piccolino, per cui i vecchi banchi 
			di legno di un tempo per Ciano erano troppo corti e per me troppo 
			lunghi. Diventammo subito amici e compagni di banco, con le 
			caratteristiche di cui sopra. 
			Lui era già bravo in disegno, materia in cui ero - e sono rimasto-, 
			una schiappa. Ma riuscivo bene in latino, per cui ci si aiutava nei 
			compiti domestici e questo rinsaldava ancor più il nostro sodalizio 
			che si ampliava anche con i discorsi e le reciproche confidenze che 
			costituiscono un sostrato importante nell'amicizia tra adolescenti. 
			Dopo la terza media le nostre strade scolastiche si divisero: Ciano 
			frequentò il liceo artistico, allora presente solo a Venezia, mentre 
			io mi avviai a malincuore verso un istituto tecnico industriale a 
			Mestre. 
			Ma la nostra amicizia non si interruppe, anzi si rafforzò per un 
			legame che da allora ci legò per sempre: lo scoutismo. 
			Lo scoutismo 
			 
			In seconda media io divenni caposquadriglia e naturalmente cercavo 
			nuovi adepti. Cominciai a corteggiare Ciano che a quel tempo faceva 
			parte di una squadretta di basket della parrocchia di Sant'Agnese. 
			La mia perseveranza fu premiata e già nell'estate di quell'anno, il 
			1955, Ciano partecipò al campo estivo a Domegge di Cadore, con la 
			mia squadriglia, i Castori. Salvo 
			qualche interruzione dovuta ai casi della vita e agli impegni 
			familiari, giocammo il grande gioco scout fino al suo ritorno alla 
			casa del Padre. Tra i segni di pista scout, ce n'è uno particolare: 
			un cerchio con un punto al centro, che significa "sono tornato a 
			casa". Questo stesso segno noi lo usiamo per i fratelli che cihanno 
			lasciato. 
			Insieme abbiamo percorso l'Italia e l'Europa per innumerevoli 
			incontri nazionali e internazionali, per campi scuola, per uscite, 
			per riunioni. La nostra collaborazione è stata costante e fedele, 
			tanto da diventare modello, anche per gli altri capi, di corretti 
			rapporti, cosa non sempre facile quando si lavora insieme. 
			La sua disponibilità e la sua lealtà erano veramente profonde. La 
			sua sensibilità lo portava a privilegiare i contatti umani e nei 
			campi scuola curava particolarmente la conoscenza e l'amore per la 
			natura, così come la profondità e la bellezza della liturgia. 
			Eravamo così affiatati che quando c'era un incontro al chiuso e non 
			in tenda, sceglievamo di dormire insieme per non disturbare gli 
			altri, visto che il nostro russare era simile al lavoro di una 
			segheria ed era ben noto ai vicini. Ma prima di addormentarci ci si 
			augura sportivamente "Vinca il migliore!". 
			Gli affetti familiari 
			E' questo un ambito così privato ed esclusivo nel quale non mi 
			permetto certo di entrare. 
			Dico solo che, da quanto ho potuto notare, Ciano è stato un marito 
			esemplare per attenzione e disponibilità, ed un padre preoccupato 
			per la crescita dei figli, verso i quali ha sempre manifestato 
			delicata ma continua attenzione educativa, unita ad un profondo e 
			rispettoso affetto. 
			L'ultimo piano affettivo è stato quello dei nipoti, nel cui 
			confronto era tenerissimo e pronto a registrare nel suo profondo 
			ogni gesto di affettuosa gratitudine. 
			L'arte 
			Conservo ancora il quaderno di caccia del 1955, nel quale Ciano mi 
			disegnò, ad acquerello, alcuni fiori che la nostra squadriglia aveva 
			raccolto per una "caccia natura", termine scout per definire una 
			ricerca sulla natura del luogo. 
			Questo per dire quanto sia stata precoce la chiamata all'arte 
			pittorica di Ciano. La sua è stata una vera vocazione che 
			fortunatamente per lui e per noi egli ha seguito per tutta al vita. 
			Per lui perché non c'è niente di più appagante che seguire la 
			propria vocazione, per noi perché abbiamo potuto godere per molti 
			anni della sua creatività. 
			Ciano ha utilizzato diverse tecniche nel corso degli anni, seguendo 
			l'impulso del momento o la richiesta della committenza. Così ha 
			usato l'affresco nella chiesa di San Floriano, la terracotta nella 
			chiesa della sua parrocchia, Sacro Cuore, la ceramica sempre a San 
			Floriano. Ma penso di poter dire che la tecnica prediletta sia stata 
			l'acquerello, probabilmente per la velocità di esecuzione unita alla 
			pressoché infinita scelta dei colori. Su un foglio di grana grossa, 
			egli tracciava con la matita veloci segni di contorno, poi intingeva 
			il pennello nell'acqua e sceglieva e creava le tonalità che aveva in 
			mente. Era stupefacente osservare con quanta sicurezza la mano 
			seguiva il pensiero creativo. Così ha disegnato anche durante i 
			lunghi giorni di degenza , quasi per lasciarci ancora un'ultima 
			testimonianza della sua bravura e della sua profonda fede. 
			E questa mostra lo testimonia. 
		
		
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		da Azimuth 5 2013 
		Altro ricordo 
		 
		
		scritto di Claudio su Ciano  
		
			
			Ci conoscemmo sui banchi di scuola: era la 2a media, sezione F. La 
			scuola aveva sede in centro città, in un palazzotto del 1600, poco 
			adatto alla vita degli studenti e al di fuori di ogni attuale regola 
			antincendio, antisismica, senza vie di fuga, salvo quella 
			effettivamente usata delle scale al termine delle lezioni: era 
			proprio una via di fuga.  
			I banchi erano del tipo “compact”, in legno massiccio, con i 
			sedili facenti blocco unico con il piano di studio.  
			Per questo motivo, a me che ero piccolino, la distanza tra sedile e 
			piano risultava eccessiva, ma per Ciano, già sviluppato fisicamente, 
			era inadeguata per difetto, per cui le sue ginocchia sporgevano dal 
			piano di lettura.  
			Ciano era più alto di me, ma anche più grande, avendo ripetuto le 
			prime due classi. Egli non amava le materie teoriche, specie il 
			latino, ma aveva già una chiara predisposizione per il disegno. 
			Infatti, terminate le medie, frequentò con successo il Liceo 
			artistico. 
			 
			Nacque così tra di noi un sodalizio negli studi, per cui ci si 
			aiutava a vicenda, maturando un po’ alla volta un’amicizia profonda 
			che, salvo qualche periodo dovuto alle necessità che la vita 
			talvolta impone con durezza, è durata fino all’altro giorno.  
			 Ciano aveva esercitato subito su di me, come capita ai ragazzini, 
			un’ammirazione per la sua statura e, in qualche modo, per la sua 
			esperienza di vita: due anni sono molti a quell’età, per cui io lo 
			consideravo come un fratello maggiore. Ma c’era un grosso cuneo 
			nella nostra amicizia: egli faceva parte di una squadretta 
			parrocchiale di pallacanestro, mentre io ero da pochi mesi capo 
			squadriglia. Mi pareva che, se io fossi stato capace di catturarlo, 
			non ci sarebbe stato grande gioco o relazione di hike che i Castori 
			non avrebbero vinto. La mia tenacia vinse e Ciano entrò nello 
			Scautismo, che da allora divenne il suo mondo di riferimento 
			educativo.  
			Vorrei ricordare alcuni episodi della nostra comune vita scout, 
			altrimenti mi sembrerebbe che il ricordo si riduca ad una 
			elencazione di qualità. Al campo del 1958, svoltosi a qualche 
			chilometro da Taibon agordino, lui era già aiuto capo e utilizzava 
			qualsiasi scusa per andare in paese con la Lambretta 
			dell’assistente, anche più volte al giorno, per portare la posta, 
			diceva lui. L’allora capo campo, l’indimenticabile Checco Piazza, 
			compose per Ciano la seguente canzoncina: “Il postino della Val 
			Bissera, va in paese da mattina a sera, dove va, chi lo sa, per un 
			bollo, per un bollo va in città!”.  
			In tutti noi nacque il sospetto che la “tabacchina” dove 
			egli acquistava i bolli, fosse una bella ragazza.  
			Per mancanza di spazio ricorderò solo un’altra caratteristica che 
			rinsaldò ulteriormente la nostra amicizia. Noi costituimmo la più 
			formidabile coppia di russatori che l’associazione abbia mai avuto! 
			 Così, un po’ per non disturbare gli altri, un po’ perché gli altri 
			non ci sopportavano più, alle riunioni associative che si svolgevano 
			al chiuso, come nel famoso collegio “Cerini”, sceglievamo di dormire 
			nella stessa camera. Ma prima di infilarci sotto le coperte ci 
			dicevamo: “Vinca il migliore!” e dopo poco cominciava la 
			battaglia.  
			Appartiene alla storia associativa anche la presunta presenza di 
			orsi ai Campi scuola di Genga, mentre si scoprì che si trattava 
			“semplicemente” di noi due concertisti.  
			Ciano è stato un capo straordinario che diede il meglio di sé 
			durante la preparazione e 
			
			lo 
			svolgimento dell’EJ di Viterbo: sua l’impostazione pedagogica che 
			vide sempre al centro l’utilizzo di quel formidabile strumento 
			educativo che è la squadriglia. Fu tra l’altro uno scrupoloso Capo 
			Campo in svariati campi scuola, dove riuscì a fondere, in un solo 
			omogeneo messaggio la tecnica, il metodo, la liturgia e la 
			spiritualità.  
			La nostra assidua frequentazione per le numerosissime riunioni 
			romane, ci portò a salutarci, anche quando ci si trovava a Treviso, 
			alla “romana”: “A Cià!” “A Clà!”.  
			Attento ed affettuoso in famiglia, nonno tenerissimo, Ciano godette 
			solo ultimamente l’apprezzamento del grande pubblico per le qualità 
			artistiche. Ricordo una Via Crucis dove si fusero la poesia in 
			acrostici di Luigi Pianca, le musiche inedite del maestro Antonello 
			e gli acquerelli di Ciano che, proiettati sul grande schermo come 
			accompagnamento visivo del racconto evangelico, suscitarono intense 
			emozioni nel vasto pubblico presente.  
			Nello scorso mese di dicembre fu allestita nel Battistero del Duomo 
			di Treviso una mostra intitolata “Vedere il Vangelo di Luca”, 
			composta da 290 splendidi acquerelli di Ciano, così coinvolgenti che 
			il presentatore si rammaricò che il vivere appartato e schivo di 
			Ciano avesse privato la cittadinanza della sua creatività pittorica. 
			A Cià, uomo buono e leale, amico sincero e fedele, che la tua 
			sensibilità artistica ed educativa gioiscano negli spazi infiniti, 
			sotto lo sguardo amorevole di Dio!
			 
		
		
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			Da DISEGNO SCOUT Forma, Stile e Metodo  
			Il valore educativo del disegno 
			nello scautismo 
			Claudio Favaretto  
		
			 
			 
			
			O 
			Signore, nostro Dio,… 
			se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, 
			la luna e le stelle che tu hai fissate, 
			che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, 
			il figlio dell’uomo perché te ne curi? 
			 
			Eppure l’hai fatto poco meno che gli angeli, 
			di gloria e di onore lo hai coronato.. 
			[Salmo 8] 
			 
			
			 Solo l'uomo, infatti, è in grado di apprezzare l'opera di Dio, solo 
			l'uomo è capace di esprimere ed esternare i suoi sentimenti perché 
			sa usare delle forme di comunicazione che nessun altro essere 
			vivente è in grado di utilizzare: la parola, la musica, il canto, il 
			disegno... 
			È talmente grande il bisogno di esprimersi nell'uomo che lo si nota 
			fin dai primi giorni di vita: il balbettio, così come i gridolini, 
			lo stesso pianto sono mezzi di comunicazione. 
			Lentamente i bambini si impadroniscono del linguaggio orale, ma 
			sentono un impellente bisogno di comunicare anche in altro modo per 
			cui cominciano a fare degli scarabocchi con qualsiasi cosa lasci un 
			segno: matita, pennarelli, gesso, tizzoni spenti, e su qualsiasi 
			superficie: tavoli, pavimenti, piastrelle, muri, con grande 
			disappunto dei genitori che non sempre apprezzano questo aspetto 
			artistico dei propri figli! Ma a ben osservare ci si accorge che il 
			bambino cerca di rappresentare quella finestrella di mondo che via 
			via conosce: un fiore, un animale, la bicicletta, il sole, 
			l'arcobaleno. E se tu non capisci i suoi disegni, lui te li spiega. 
			Guai a ridicolizzare questi tentativi, perché significherebbe 
			interrompere il suo sistema di comunicazione. 
			Oltre al mondo esteriore, il bambino di tre-quattro anni sente il 
			bisogno di esprimere i suoi sentimenti, di comunicare gli affetti. 
			Ecco, quello che si allega è un disegno importantissimo: la piccola 
			Gaia, di quattro anni appena compiuti, ha rappresentato la sua mamma 
			e il suo papà. È una bambina felice, che vive il suo rapporto 
			familiare con grande serenità. Non ci sono grandi differenze tra le 
			due figurine, anche la loro altezza è uguale: sono entrambi preziosi 
			per lei. 
			Tra poco si sforzerà di disegnare anche i due fratelli più grandi e 
			poi tutto il suo mondo affettivo: i nonni, le maestre, le 
			amichette... Non sono importanti a quest'età le proporzioni né è 
			importante la somiglianza: l'importante è trovare lo strumento utile 
			a manifestare l'amore.  
			 Questa 
			necessità di disegnare viene coltivata anche a scuola, alla materna, 
			alle elementari e alle medie. Poi si affievolisce fin quasi a 
			spegnersi, salvo in quei ragazzi che scelgono una scuola artistica o 
			professionale. Negli altri ordini di studio si predilige 
			l'educazione linguistica, per cui per moltissimi adulti la capacità 
			pittorica è ferma al tempo della terza media! 
			Se gli insegnanti che la nostra Gaia incontrerà saranno bravi, 
			utilizzeranno il disegno non solo per far crescere le sue capacità 
			artistiche, ma anche come strumento educativo formidabile. Lo 
			scautismo è ben consapevole di ciò e vi pone la massima attenzione 
			fin dall'età Lupetto e Coccinella. A quest'età il disegno è 
			strumento prezioso per lo sviluppo delle capacità grafiche e 
			dell'abilità manuale, per l'auto-espressione, per l'acquisizione di 
			conoscenze, per l'educazione estetica, ma soprattutto per la 
			formazione del carattere. 
			Spesso i bambini sono disordinati, frettolosi, indisciplinati, 
			incostanti. Il disegno li aiuta alla precisione, li stimola a 
			portare a termine il lavoro iniziato, li sprona a curare il 
			risultato, li spinge a superare il divario tra l'idea e la 
			realizzazione. 
			L'età successiva quella degli Esploratori e delle Guide, ha come 
			fulcro educativo centrale la Squadriglia. E la vita di Squadriglia 
			stimola la creatività! 
			Come fissare il fascino dell'avventura vissuta, non letta né 
			ascoltata, ma partecipata? Come raccontare ai propri compagni di 
			classe le imprese realizzate? 
			 Certo 
			con le foto, ma soprattutto con il disegno: quello di un paesaggio, 
			della torretta di segnalazione costruita con le proprie mani, di un 
			particolare di un incastro difficile. La memoria storica diventa il 
			Libro di marcia di Squadriglia, il particolare volume all'interno 
			del quale vengono raccolte, nel tempo, notizie e cronache su 
			attività, uscite e campi; generalmente confezionato dagli stessi 
			ragazzi con una rilegatura in stile scout, è arricchito da disegni e 
			fotografie. 
			E poi ci sono le prove di classe, le specialità, il Viaggio di Prima 
			classe. 
			Quante occasioni per utilizzare la propria capacità artistica e 
			fissarla nel Quaderno di Caccia personale! È questo un oggetto di 
			grandissima importanza perché spinge l'adolescente a migliorarsi 
			continuamente. 
			Per arrivare a questo punto, infatti, bisogna vincere alcune 
			caratteristiche tipiche dell'età come l'insicurezza, il timore del 
			giudizio altrui, la tentazione del non-finito, la frettolosità che 
			porta alla trascuratezza del proprio compito. 
			Il bravo Capo Riparto conosce questi aspetti del carattere degli 
			adolescenti e cerca di correggerli assegnando ad ogni squadriglia 
			delle missioni in cui, grazie alla collaborazione dei 
			capisquadriglia, ogni ragazzo sarà coinvolto per raggiungere la méta 
			comune. 
			Il disegno diventa ancora prezioso strumento educativo nel 
			superamento delle prove di classe e nella conquista delle 
			specialità. 
			Nella prova di conoscenza della natura, ad esempio, la riproduzione 
			delle nervature di una foglia, lo schizzo di un nido, la 
			rappresentazione di un seme portato dal vento, o di un fiore svelano 
			all'adolescente la bellezza del creato che ad un esame superficiale 
			inevitabilmente sfuggirebbe. E la bellezza suscita stupore nella 
			giovane anima che viene così sollecitata a riflettere su Colui che è 
			stato e continua ad essere l'Autore di una bellezza preparata 
			proprio per ciascuno di noi, purché siamo capaci di vederla! 
			In età Rover e Scolta il disegno diventa una delle chiavi più 
			importanti per conoscere quel mondo in cui il giovane si inserirà 
			con tutto il suo bagaglio di conoscenze, con la sua ricchezza di 
			idealità, con la sua forza morale. Così l'Inchiesta di Clan e di 
			Fuoco, la particolare attività di indagine e conoscenza 
			socio-culturale finalizzata ad approfondire un determinato 
			argomento, arricchita dai suoi schizzi, avrà il sapore di una 
			scoperta viva: la scoperta di un giovane uomo e di una giovane donna 
			capaci di interpretare e capire un paesaggio geografico, ma anche 
			antropico. Così certamente si stupiranno di fronte all'insolito 
			dipanarsi delle strade di un villaggio di montagna, agli edifici 
			civili e rustici, agli affreschi di una cappella solitaria in aperta 
			campagna o elevata sopra un colle dominante il paese, quasi a 
			proteggerlo. Cercheranno di capire le usanze di quel villaggio, la 
			sua cultura, le sue tradizioni. E le difficoltà del vivere e gli 
			strumenti per renderle sopportabili, come, ad esempio, la 
			condivisione del lavoro, del sostegno collettivo di fronte alle 
			disgrazie inevitabili. Ma anche la gioiosa partecipazione alle feste 
			patronali, con i canti, le danze, la cucina tradizionale. 
			Un giorno, in caso di necessità, anche i nostri Scout, Rover e 
			Scolte, saranno in grado di portare, il loro aiuto a quella gente 
			che hanno conosciuto nel loro andare, curiosi e intelligenti 
			pellegrini lungo la Strada. 
			In definitiva al momento della Partenza avranno interiorizzato la 
			fantasia creatrice del Lupetto e della Coccinella, lo slancio 
			avventuroso dello Scout e della Guida e l'esperienza di servizio del 
			Rover e della Scolta. E saranno in grado di distinguere tra la 
			faccia, cioè l'esteriorità, e il volto, cioè l'interiorità, di chi 
			incontrano nel cammino della loro vita. 
			Oggi il primo termine ha quasi totalmente sostituito il secondo. Ma 
			per il teologo e vescovo S. Isidoro di Siviglia, è il volto che 
			esprime lo svolgersi dei tempo con le fatiche e le gioie che la vita 
			riserva a ciascuno di noi. 
		
		
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		Genitori - figli: la fatica di crescere, la fatica di educare. 
		Il contributo dello Scautismo 
		Presentazione personale : 
		Mi sento un po' imbarazzato, perchè non ho particolari 
		titoli per parlare a voi sul problema educativo che, sicuramente, avrete 
		affrontato, chissà quante volte, nella quotidianità del vivere. 
		Ma non potevo dire di no a Marcello Cristofani, a cui mi legano amicizia 
		e stima da lunga data. Comunque, spero di non dire banalità in questa 
		conversazione, che avrei piacere si concludesse con uno scambio di idee, 
		perchè tutti noi viviamo la fatica di educare. 
		Io non sono nè uno psicologo, nè un sociologo. I miei titoli, e non sono 
		titoli accademici, sono i seguenti: 
		- sono un genitore di quattro figli : di 24, 22, 19 e 10 anni, 
		alternativamente femmina‑maschio, femmina-maschio, secondo una personale 
		ricetta segreta. 
		Ho, perciò, una certa esperienza in proposito  
		- sono insegnante da quando avevo 19 anni, cioè da subito dopo la 
		maturità. Sono stato e sono, quindi, sempre in mezzo ai giovani 
		adolescenti. 
		- sono un capo scout da quando avevo 20 anni. Pertanto, ho avuto modo di 
		vivere da adulto educatore in un ambiente profondamente coinvolgente, 
		insieme agli adolescenti. 
		 
		Non ho, ovviamente, alcuna pretesa di insegnare qualcosa, ma desidero 
		solo fare con voi delle riflessioni ad alta voce, per ribadire, insieme, 
		una comune preoccupazione ed un comune sentire educativo. 
		 
		Ed ora entriamo nel vivo del nostro argomento. 
		La difficoltà del rapporto tra genitori e figli non è una novità del 
		nostro periodo storico: c'è sempre stata, perchè è nell'ordine delle 
		cose naturali: una generazione cresce e vuole trovare lo spazio per sé, 
		la generazione precedente fa resistenza, perchè ritiene che essa non sia 
		ancora pronta ad occupare un posto nella società. 
		E' sempre stato così, e sempre lo sarà. 
		Io ricordo di essere stato impressionato quando, studiando letteratura 
		latina, mi sono imbattuto nella commedia di Terenzio "Il punitore di 
		se stesso" in cui si trattava proprio del rapporto tra padre e 
		figlio. Tenuto conto che Terenzio si era ispirato ad una commedia greca, 
		se ne può dedurre che, per lo meno dall'antichità classica, il problema 
		è sempre esistito. 
		Ma in che cosa consiste la difficoltà del rapporto tra genitori e figli 
		adolescenti? 
		Proviamo a precisarla. 
		1) Intanto sembra strana una cosa: un rapporto tranquillo e sereno, 
		quasi all'improvviso si guasta, lasciando sorpresi ed amareggiati i 
		genitori. 
		I genitori, che fino a poco prima sono stati quasi divinizzati dai 
		propri figli, ora si sentono trascurati, presi in giro, disobbediti. 
		Nascono, in noi genitori, le prime crìsi di coscienza, le prime domande 
		"Dove abbiamo sbagliato?" e, forse, le prime accuse : "Ti avevo detto 
		che non era giusto fare così, ma tu...!" 
		La crisi del rapporto con i figli attraversa anche i rapporti di coppia. 
		2) E' difficile il rapporto di coppia: 
		ciascuno arriva al matrimonio con la propria cultura, con i propri 
		pensieri, con la propria sensibilità, con la propria idealità. Il 
		periodo del fidanzamento dovrebbe servire a verificare se le due persone 
		sono spiritualmente "compatibili". 
		Ma quasi sempre si presenta la parte migliore di sé; si è portati a 
		sorvolare sui difetti del partner, per sottolinearne i pregi; quasi mai 
		si crea un confronto sulle cose fondamentali, quelle che dureranno il 
		resto della vita. 
		Queste diversità si manifestano, in modo particolare, quando si tratta 
		di educazione dei figli: se la coppia non è omogenea, si creano 
		facilmente contrasti, perchè ciascuno è portato ad agire, nei confronti 
		dei figli, come ha visto fare a casa sua, dai suoi genitori. E se le 
		educazioni ricevute differiscono profondamente, ciò si manifesterà 
		apertamente, dando vita al peggiore dei modi, quello divergente: cioè il 
		padre dirà una cosa e la madre lo contraddirà, il padre sottolineerà un 
		comportamento, a suo dire non corretto, e la madre affermerà che tale 
		non è, ecc., creando, nei figli, dapprima sconcerto, e poi la 
		possibilità di evitare confronti seri ed educativi. 
		3) il, rapporto tra genitori e figli è difficile per la natura stessa 
		delle cose: 
		• i genitori tendono ad essere conservatori, direi giustamente, 
		perchè desiderano conservare i valori in cui hanno creduto e credono. 
		Ma, alle volte, non distinguono bene i valori fondamentali da ciò che 
		può essere considerata una consuetudine, un modo esteriore di vita, una 
		moda legata al tempo. Faccio un esempio: 
		- il rispetto della persona, se stessa o altra, è un valore 
		fondamentale, che va strenuamente conservato 
		- la lunghezza della capigliatura è un fattore secondario, che magari 
		può dar fastidio, ma che non è fondamentale. 
		Eppure, tante volte succede che si mettano sullo stesso piano! 
		• i figli tendono ad essere innovatori, per cui sono portati a 
		criticare le consuetudini precedenti, perchè loro si sentono, 
		giustamente, moderni. 
		Ma, siccome a loro manca l'esperienza e la capacità di discernere, 
		bisognerà aiutarli a distinguere quello che vale da quello che non vale. 
		• i figli vogliono essere protagonisti, 
		• i genitori credono che non ne siano ancora capaci, li ritengono 
		ancora piccoli 
		• i figli si sentono audaci, sentono di possedere il mondo 
		• i genitori sono protettivi, vogliono difenderli dal mondo 
		• i figli vogliono fare la loro strada da soli, amano l'avventura 
		ed il nuovo, amano il rischio 
		• i genitori, per amore, desiderano spianare loro la strada dalle 
		difficoltà,  
		• i figli adolescenti aspirano ad essere considerati adulti, degni 
		di fiducia, aspirano ad essere trattati alla pari, dai genitori. 
		• i genitori credono che non sia giusto far partecipi i loro figli 
		dei pensieri e delle difficoltà familiari, sempre per amore, verrà anche 
		per loro - dicono- il tempo delle responsabilità: per il momento che si 
		godano la vita! 
		Io penso che se noi ci ricordassimo di come eravamo da adolescenti, in 
		gran parte troveremmo il modo giusto di comportarci con i nostri figli. 
		In questo rapporto così dialettico, lo scoutismo può aiutare molto, se è 
		fatto bene, da capi preparati.  
		Ho provato ad analizzare certe caratteristiche dei giovani, a ricercare 
		le cause di certi comportamenti, a proporre delle soluzioni familiari, a 
		definire il contributo che può dare lo scoutismo. 
		Naturalmente tale schema non pretende di essere esaustivo, ma spero che 
		possa avere una qualche piccola utilità. 
		 
		
			
				| Caratteristiche 
				dei giovani | 
				
				Cause di certi comportamenti | 
				
				Soluzioni familiari | 
				
				Le proposte dello scautismo | 
			 
			
				1) A 
				La cialtroneria, iI disordine, (poca cura delle, cose: libri, 
				motorino, bici, zainetti di scuola, scarpe, sci, vestiario). | 
				1.1)
				 
				E' tutto ricevuto gratuitamente, senza alcuno sforzo personale. 
				Una volta si diceva: "Se sarai promosso, ti regaleremo la bici." 
				Ed era una volta per tutte. 
				Oggi, con quattro asterischi, viene regalato il motorino. 
				I ragazzi non hanno più il senso del danaro, del sacrificio: 
				credono che sia loro tutto dovuto. Ed i genitori fanno di tutto 
				per farglielo credere. Il premio Nobel per la fisica, 
				Rubbia, ha dichiarato che "una sana povertà è alla base di una 
				crescita equilibrata ed attiva." | 
				1.2)
				 
				Dobbiamo far loro capire il senso della fatica, del valore del 
				denaro, che viene guadagnato con il lavoro dei genitori. 
				Dobbiamo far loro capire che tanta gente vivrebbe con il nostro 
				spreco. Dobbiamo far loro vedere la differenza tra ciò che è 
				utile e ciò che è superfluo. Dobbiamo far loro capire che sono 
				disoneste sia l'avarizia che la prodigalità. 
				Dobbiamo far capire cosa sono la giustizia e la carità: mille 
				lire date ad un povero valgono molto di più di una pizzetta, 
				magari sbocconcellata e dopo buttata via, perchè l'origano era 
				troppo! Ma noi genitori ne siamo convinti? 
				Non siamo noi, forse, per primi, quelli che accettano di 
				organizzare dispendiose feste di compleanno? 
				Non siamo forse noi che accettiamo che le scuole organizzino 
				gite scolastiche esageratamente costose, a cui inviamo i nostri 
				figli senza batter ciglio? 
				Anni fa mia figlia maggiore doveva andare in Grecia (prima liceo 
				classico). 
				Questa è prodigalità, è smarrimento del senso delle proporzioni. 
				Ma noi siamo capaci di dire di no, di spiegare tutto questo ai 
				nostri figli ed agli insegnanti, senza il timore di essere 
				giudicati dei pidocchiosi? Mia figlia fu l'unica della sua 
				classe a non andare in Grecia. Ma lo fece con maturità, dopo che 
				le spiegammo che per la nostra famiglia non sarebbe stato 
				giusto: sarebbe stato uno spreco di risorse. Ma gli altri 
				genitori, alcuni dei quali erano poveri quanto noi? | 
				1.3)
				 
				Il nono articolo della Legge scout afferma che "Lo scout è 
				laborioso ed economo". 
				La vita di squadriglia in sede, ma soprattutto all'aperto, al 
				campo, richiede cura del materiale: le tende, se non sono state 
				ben asciugate dopo l'ultimo acquazzone, si ammuffiscono, 
				diventando inservibili o almeno insicure. Il marteriale di 
				pionieristica non servirà a nulla se le accette non saranno 
				state affilate, le corde riposte con cura. La cassa di 
				squadriglia, formata con i piccoli risparmi settimanali, dovrà 
				far fronte alle nuove spese di cancelleria, a nuovi acquisti di 
				teloni impermeabili, per migliorare la vita al campo. Il 
				magazziniere starà ben attento a che qualche squadrigliere non 
				sciupi, per negligenza o imperizia, il materiale. 
				Ma anche il quaderno delle prove di classe richiede ordine, 
				altrimenti le prove non verranno superate e lo scout non 
				conquisterà le nuove mete: la seconda classe e la prima, o le 
				specialità. Ma anche il Libro d'oro, in cui si narrano tutte le 
				imprese compiute dalla Sq. dovrà sempre essere aggiornato e 
				tenuto con cura. | 
			 
			
				1) B 
				La pigrizia | 
				1) B 
				E' tipica dell'età adolescenziale. ma è aumentata con il tipo di 
				società contemporanea in cui molti adulti non sanno più come 
				comportarsi con gli adolescenti ai quali sono disposti a far 
				tutto, pur di riceverne in cambio un riconoscimento affettivo. | 
				  | 
				1) B
				 
				Tutta la vita scout è attiva: campi, uscite, attività varie 
				nelle quali sempre si richiede sveltezza di mente e di corpo, 
				perchè è una vita da vivere, da costruire, non da subire. 
				Bisogna far in modo che siano i ragazzi i protagonisti della 
				loro avventura scout: basta con le mamme che fanno lo zaino ai 
				loro figli, basta con i genitori che portano le tende in uscita, 
				basta con i genitori che accompagnano i figli al campo! | 
			 
			
				2)  
				I nostri figli sono abulici, senza grinta, si scoraggiano 
				facilmente, non lottano, non hanno un progetto per il futuro, 
				non dimostrano interessi duraturi | 
				2.1) 
				Abbiamo tolto loro il gusto della conquista, dietro la 
				preoccupazione di alleviare la fatica di vivere che forse 
				abbiamo sostenuto noi. Quanti genitori dicono apertamente che 
				non vogliono che i loro figli facciano la loro stessa fatica? Ma 
				questo significa togliere a loro il gusto della conquista, la 
				bellezza di un traguardo raggiunto da soli. Significa privarli 
				anche del senso delle difficoltà, significa creare dei 
				velleitari, incapaci di valutare il concreto. 
				Significa farne delle persone fragili, indifese, che alla prima 
				difficoltà si smarriscono completamente. Tutta la società si sta 
				prodigando per far crescere i nostri figli deresponsabilizzati: 
				a scuola ci sono gli organi collegiali, a cui partecipano anche 
				gli studenti, con sostanziale apparenza piuttosto che sostanza, 
				c'è il ricorso al TAR in caso di insuccesso scolastico, c'è il 
				servizio civile, tante volte un alibi per evitare quello 
				militare, c'è la giornata per madri e fidanzate in caserma. 
				Ma quando cresceranno i nostri figli? 
				Non voglio dire che bisogna difendere certe forme 
				autoritaristiche del passato, ma voglio dire che i giovani 
				devono essere abituati a trovare dentro di sé le risorse morali 
				per accettare anche le prove che comunque la vita riserverà 
				loro. | 
				2.2) 
				Dobbiamo star loro vicino, con l'affetto e la comprensione, ma 
				dobbiamo lasciare che si prendano le loro responsabilità 
				progressivamente, secondo l'età. 
				Dobbiamo parlare con loro, ma per ascoltarli, perché loro hanno 
				già,' probabilmente,delle idee: dobbiamo solo aiutarli a dar 
				loro una forma più concreta. 
				La scelta della scuola, per esempio. 
				Quanti insuccessi scolastici sono dovuti ad una scuola scelta 
				dai genitori, per eccesso di affetto (così troverà una 
				professione più remunerativa), o peggio, per ambizione (mio 
				figlio frequenta il Liceo)? 
				Dov'è il rispetto per il figlio? Chi deve costruire la propria 
				vita? 
				Citerò solo due episodi che mi hanno colpito:  
				1) un mio compagno delle medie, figlio di medici affermati, 
				costretto a frequentare medicina, finito suicida dopo la laurea. 
				2) un genitore al quale il figlio scrisse, prima di suicidarsi, 
				di non aver mai saputo chi fosse, perché aveva fatto solo quello 
				che piaceva al padre, senza trovare la sua identità. 
				Ma ricordiamo anche l'episodio nel film "L'attimo fuggente". | 
				2.3)
				 
				Lo scoutismo abitua alla responsabilità progressivamente, senza 
				salti e senza forzature; ma anche senza indulgere a pigrizie, 
				fisiche o mentali. 
				Per ogni fascia d'età, esiste un percorso a tappe: la pista per 
				il lupetto, il sentiero per l'esploratore, la strada per il 
				rover. 
				Come vedete, sono tutti e tre termini che racchiudono in sé il 
				concetto di viaggio, di movimento. 
				Si è tanto ironizzato sulle piccole cose dello scoutismo, eppure 
				chi è educatore sa che le grandi cose si preparano pian piano. E 
				cosa c'è di più grande dell'aiutare un bambino a crescere fino a 
				diventare uomo? 
				Allora si può capire l'importanza di imparare i nodi (padronanza 
				delle proprie mani, memoria, sveltezza,) o apprendere l'alfabeto 
				semaforico o Morse(ormai abolito, quest'ultimo, perché superato, 
				nelle comunicazioni). Ma quanto allenamento mnemonico avrà 
				compiuto quel bambino o quel ragazzino, quanta padronanza di sé 
				avrà acquisito, trasmettendo da lontano, con le bandierine 
				bianche e rosse, controllando la posizione delle braccia, 
				affinché gli altri capiscano con chiarezza il messaggio? 
				In quale altro ambiente avrà potuto sentirsi utile così, 
				mediante il suo sforzo personale? 
				Io sono convinto che quando gli adolescenti si sentono utili ed 
				hanno delle responsabilità effettive, non tradiscono mai, perchè 
				ci metteranno l'anima per raggiungere la meta. 
				Ma si può continuare con gli incarichi di squadriglia, ogni 
				ragazzo ne deve svolgere uno, per il buon funzionamento di 
				questa piccola cellula sociale. Ecco, allora, il segretario, il 
				cassiere, il magazziniere, la cicala, ecc.; o i posti d'azione: 
				segnalatore, cuciniere, topografo, pioniere, ecc. 
				Ma naturalmente le responsabilità più grandi sono quelle di 
				caposquadriglia, a cui si giunge quando un ragazzo ha dimostrato 
				maturità e capacità per guidare un gruppetto di quasi coetanei. 
				In quale altro ambiente succede che un ragazzo di quattordici, 
				quindici anni abbia e senta la responsabilità di guidare 
				ragazzini di poco più giovani, in uscite di squadriglia, di 
				missioni, di servizi al prossimo? 
				E' questa la splendida risposta dello scoutismo! | 
			 
			
				3)  
				I nostri figli sono poco comunicativi, poco affettuosi, poco 
				espansivi | 
				3.1)
				 
				E noi com'eravamo? 
				Il passaggio dall'infanzia all'adolescenza comporta un 
				cambiamento profondo nel mondo affettivo. 
				I nostri figli non vogliono più essere trattati da bambini, non 
				vogliono più il bacino della buona notte: vogliono essere 
				trattati da grandi, vogliono una stretta di mano, una pacca 
				sulle spalle, un pugno affettuoso, come ci vedono fare con i 
				nostri amici. 
				Hanno pudore di mostrare quei sentimenti che precedentemente 
				esternavano in modo assolutamente spontaneo. E poi non 
				sopportano di sentirsi chiedere ogni giorno: "Com'è andata a 
				scuola?". 
				Ma nello stesso tempo aspettano che ci s'interessi a loro, alle 
				loro difficoltà, ma senza smancerie, da grandi, appunto. | 
				3.2)
				 
				Noi dobbiamo cercare di comunicare con loro, attraverso magari 
				formule nuove, fresche: messaggi lasciati sopra la loro 
				scrivania, lettere pensose su questioni importanti se il dialogo 
				si presenta difficile per loro e per noi. 
				Penso che apprezzeranno molto ricevere posta dai loro genitori! 
				Per avere le loro confidenze, bisogna sapersi conquistare la 
				loro fiducia fin da piccoli. 
				Quante volte, invece, li abbiamo snobbati, per un nostro 
				impegno, o li abbiamo costretti a noiose visite a parenti, senza 
				accondiscendere, almeno qualche volta, alle loro legittime 
				richieste. 
				E quante volte siamo andati con loro, soli, in bicicletta, o in 
				macchina, in luoghi affascinanti, a vedere la natura ed 
				ascoltarne i silenzi? 
				Magari li abbiamo forzati a venire con noi ad assistere ad una 
				partita di calcio, tra bestemmie ed insulti, o li abbiamo 
				costretti a visitare una mostra d'arte, o assistere ad un 
				concerto contro voglia, "perché fa cultura". 
				Ma è nell'intimità della passeggiata o dell'esplorazione che 
				nascono le confidenze, e quasi le complicità affettive, che 
				saranno preziose più avanti, quando i discorsi si faranno più 
				difficili, quando ci saranno le prime cotte, quando ci saranno 
				le prime crisi esistenziali. 
				Questo non significa che si debba diventare amici dei propri 
				figli, come, purtroppo, tanti genitori fanno. 
				Infatti, ci sarà il momento in cui i figli avranno bisogno non 
				di un amico, ma di un adulto, di una guida, cioè di un padre e 
				di una madre. 
				In tal caso, dove potrebbero andare se i propri genitori hanno 
				giocato a fare gli adolescenti?  | 
				3.3)
				 
				Nel rapporto educativo tra il capo ed il ragazzo, si apre un 
				nuovo capitolo della vita dell'adolescente. 
				Spesso è proprio il capo a venir a conoscere i problemi che il 
				ragazzo non confida più ai propri genitori, per quel senso di 
				pudore di cui si parlava. 
				Il ragazzo si apre volentiri con chi gli dà fiducia, al di fuori 
				della famiglia, perché un po' si vergogna di essere stato 
				bambino. Ora vuole essere trattato con serietà. Teme di essere 
				trattato dai genitori ancora come un piccolo, mentre lui si 
				sente già grande, anche se talvolta teme il futuro. E' un fatto 
				molto importante il legame che si crea tra ragazzo e capo, anche 
				perché salvaguardia un rapporto verticale, quando i ragazzi 
				tendono,invece, a costruire rapporti orizzontali, tra coetanei, 
				perché così non si sentono giudicati. Ma tale rapporto non crea 
				crescita, che nasce solo dal confronto con l'esperienza di un 
				adulto che può testimoniare che gli ostacoli di quell'età 
				possono essere superati serenamente. 
				Quando il ragazzo sarà cresciutoallora ritornerà ad aprirsi con 
				i genitori, ma da pai a pari, adulto tra adulti. 
				Ai genitori è richiesta questa prova di pazienza, se non 
				vogliono guastare tutto. | 
			 
			
				4)  
				I nostri figli hanno smarrito il senso religioso | 
				4.1) 
				E' un processo complesso, attraverso il quale siamo passati 
				tutti, più o meno. 
				Anche in questo campo bisogna avere la saggezza di saper 
				aspettare, anche se può far male vedere il proprio figlio 
				allontanarsi dalla pratica religiosa, in particolare dalla 
				frequenza ai sacramenti e alla messa. 
				Ma anche questo fenomeno è ascrivibile alle mutate condizioni 
				psicologiche dei nostri ragazzi che stanno crescendo. 
				Hanno bisogno, infatti, di buttare all'aria tutto quello che 
				ricorda loro l'infanzia, per ricostruirlo e riscoprirlo da 
				adulti.Come dire:"prima andavo a messa perché mi ci mandavano, 
				ora ci vado perché lo voglio io!". 
				Ma bisogna saper aspettare con fiducia, senza forzare i tempi di 
				una maturazione che deve essere solamente personale. | 
				4.2 ) 
				A noi genitori non resta che continuare a testimoniare la nostra 
				fede con naturalezza e spontaneità. 
				Si può invitare esplicitamente il proprio figlio a partecipare 
				alla messa insieme a tutta la famiglia in occasione di feste 
				particolarmente importanti, o in occasione di qualche 
				ricorrenza, lieta o triste. Questo può far capire che esiste un 
				legame tra i membri della famiglia che è anche di ordine 
				spirituale: la fede non è solo una dimensione fanciullesca, ma è 
				una scelta da grandi, è un valore adulto e perenne. Ciascuno di 
				noi crede, perchè qualcuno gliel'ha insegnato e testimoniato, su 
				su fino ai primi evangelizzatori agli apostoli. 
				Allora, in questo modo, la fede assume un respiro più grande, 
				più eroico, com'è giusto che sia per gli adolescenti, | 
				4.3)
				 
				La fede testimoniata dai genitori sa troppo da asilo, quando si 
				appresero da loro le prime preghiere. E in questa fase di 
				rifiuto dei genitori, naturalmente vengono malviste anche la 
				fede e la conseguente pratica religiosa. 
				La vita scout può aiutare molto a superare il problema di questo 
				rigetto. 
				Prima di tutto c'è la testimonianza del Capo per cui 
				l'adolescente comincia a credere che la Fede non sia più, come 
				pensava, una cosa da bambini, perchè evidentemente, se la 
				pratica il capo, ammirato per tante altre cose (sa inventare i 
				giochi, sa organizzare le uscite ed i campi, sa richiamare e 
				lodare, ecc.), dev'essere una cosa seria, roba da grandi. 
				Poi ci sono i coetanei scout, tra i quali il caposquadriglia, 
				sicuramente in gamba, che partecipano alla messa senza problemi, 
				e senza storie. 
				Poi ci sono le messe al campo, in cui è perfino bello sentirle 
				parte della propria avventura: l'altare è quello preparato da 
				noi, i fiori li abbiamo raccolti noi, il servizio liturgico è 
				svolto a turno tra le squadriglie, i canti sono i nostri. 
				Insomma, anche la messa è nostra! 
				La vita all'aperto, inoltre, offre al ragazzo, innumerevoli 
				occasioni di riflessione. 
				B.P. diceva che lo stupore che un ragazzo prova di fronte alle 
				meraviglie del creato è già l'intuizione dell'esistenza di Dio. 
				E dalle veglie alle stelle, dalle preghiere attorno al fuoco che 
				si spegne, nascono, pian piano nei ragazzi le domande sulla 
				propria vocazione.  | 
			 
			
				5) 
				I nostri figli hanno smarrito il senso morale | 
				5.1) 
				Da molto tempo ormai è in atto un'erosíone continua e subdola 
				dei valori morali. 
				A sentire certi mass media, sembrano segni di progresso la 
				libertà sessuale, le esperienze prematrimoniali, la libertà di 
				coppia, le convivenze, ecc. 
				Sembra che sia tutto accettabile, perchè presentato dalla TV. 
				Nessuno si scandalizza più, perchè ha paura di essere tacciato 
				di retrogrado, o perchè non sa come reagire a questa continua 
				corruzione. | 
				5.2) 
				Dobbiamo essere in grado di parlare ai nostri figli, non 
				attraverso i divieti, ma attraverso quello che ancora e sempre 
				sarà una caratteristica dei giovani: il sentimento. Dovremo 
				essere in grado di far capire la bellezza del rispetto di sé e 
				degli altri, perchè siamo fatti a immagine di Dio, il che 
				significa che anche noi profumiamo di infinito, di immortale, 
				sìa nell'animo che nel corpo, anche lui eterno, attraverso la 
				resurrezione della carne. Dobbiamo cercare di far loro capire 
				che i nostri gesti non sono mai insignificanti, ma devono essere 
				rivolti al bene, perchè è quella la nostra vocazioine. Dobbiamo 
				far capire che l'unione fisica o è un atto che si riverbera 
				nelle stelle perchè è cosmico, perchè può dar vita ad un essere 
				immortale, oppure diventa un gesto volgare, vergognoso, 
				animalesco, corrotto e corruttore. Forse i nostri figli hanno 
				più bisogno, dei giovani del passato, di ragionamenti, di 
				riflessioni per dare a loro stessi delle risposte che forse per 
				noi erano più scontate, perchè più condivise dal mondo che ci 
				circondava. 
				Certo che i genitori devono essere loro, per primi, convinti dei 
				valori che vogliono difendere nei propri figli. E invece, 
				purtroppo, succede che alcuni vogliono farsi vedere moderni e 
				comprensivi dai propri figli, per cui dicono loro che, piuttosto 
				che vadano clandestinamente in un albergo con la ragazza, basta 
				avvisare: saranno i genitori ad andarsene opportunamente, per 
				lasciare la casa a loro disposizione! 
				Su questo argomento ci sarebbero molte cose da dire, come ad 
				esempio, la moda di trascorrere le vacanze insieme, ragazzo e 
				ragazza. Bisogna saper cosa argomentare, perchè saremo sempre 
				più assediati. | 
				5.3) 
				Si può recuperare il senso morale nei giovani solo all'interno 
				di una formazione integrale della persona. 
				Solo un metodo educativo che proponga forti idealità potrà far 
				resistenza alla continua erosione morale in atto. Ecco perché il 
				nostro metodo punta tutto sulla formazione del carattere, sulla 
				padronanza di sè, sulla generosità, sul rispetto degli altri, 
				sul senso di cavalleria, che altro non è che una forma di 
				rispetto e generosità. 
				Inoltre il nostro scoutismo, forse l'unica associazione 
				educativa giovanile in Italia, propugna l'educazione parallela, 
				ma separata fra ragazzi e ragazze, quella che noi chiamiamo 
				"Intereducazione". 
				I motivi che hanno portato la nostra Associazione ad una scelta 
				così caratterizzante sono: 
				1. il desiderio di rafforzare, per gli uni e per le altre, 
				l'alterità specifica, prima di quella complementare, cioè le 
				proprie caratteristiche di virilità e di femminilità, senza che 
				queste siano disturbate da una confusa promiscuità, che 
				nuocerebbe allo sviluppo armonioso di entrambi i sessi. 
				2. il desiderio di facilitare il dipanarsi sereno della 
				personalità, seguendo attentamente la psicologia degli 
				adolescenti, particolarmente complessa e delicata, senza 
				affrettate e premature sollecitazioni di ordine affettivo, senza 
				sprechi di energie psichiche, lasciando, invece, il tempo 
				necessario affinché ciascun ragazzo e ciascuna ragazza si 
				interroghi e trovi dentro di sé le occasioni propizie per 
				riflettere su una scelta vocazionale sia essa di ordine 
				religioso che matrimoniale, all'interno di un ambiente educativo 
				omogeneo. 
				3. il desiderio di promuovere il più ampio sviluppo educativo, 
				per costruire un uomo ed una donna di carattere, utilizzando il 
				metodo scout nella sua totalità, impedendo che questa ricchezza 
				venga dissipata dalla presenza polarizzante dell'altro sesso. 
				4. il desiderio di educare all'altra persona, di sesso diverso, 
				in un contesto di forte carica educativa ed adatto alle varie 
				età. Tali contesti saranno vissuti attorno a ben motivate 
				attività di servizio, di testimonianza, di preghiera, di 
				espressione, di presenza nel quartiere, creando un'amicizia 
				generosa e laboriosa, moralmente sana. Data l'enorme carica 
				emotiva suscitata dalla vita all'aperto, questa sarà sempre 
				vissuta separatamente dalle due sezioni, all'interno delle 
				proprie unità.  | 
			 
			
				6)  
				I nostri figli non sopportano le regole, gli orari, ecc. | 
				6.1) 
				La nostra società è diventata giovanilistica, nel senso che 
				protegge in tutti i modi i giovani, apparentemente, facendo 
				credere loro che si diventa grandi con la trasgressione 
				all'autorità, in primis a quella dei genitori, ma anche degli 
				insegnanti, dei sacerdoti, degli adulti in genere. 
				Ora c'è sempre stata una specie di contrasto tra i genitori ed i 
				figli, come ho già detto, perchè i figli aspirano alla libertà 
				dei comportamenti e del tempo. E questo è giusto, nel senso che 
				devono fare le prove di autonomia per il futuro. 
				Ma cessa di essere giusto, quando l'autonomia diventa anarchia. | 
				6.2) 
				E' necessario che i genitori usino il discernimento tra le 
				richieste legittime e quelle inaccettabili dei figli. 
				La famiglia ha delle regole che sono anteriori alla loro 
				nascita: sono delle regole necessarie per la convivenza, per 
				l'esistenza stessa della famiglia. Sono regole a cui sottostanno 
				anche i genitori: come quella della puntualità, della 
				collaborazione, degli sforzi individuali e comuni, per il 
				benessere della famiglia intera. Allora un figlio non può andare 
				dove, quando e con chi gli piace, pena lo sfaldamento della 
				compagine familiare. 
				Così, è inaccettabile che non ci sia un limite per il ritorno 
				del dopo cena; è inaccettabile che i genitori restino in 
				pensiero fino alle ore piccole, perchè i figli sono usciti in 
				discoteca o per partecipare ad una delle numerosissime feste che 
				vengono di continuo organizzate. 
				E' una battaglia difficile da condurre da soli, ma se ci si 
				mette d'accordo tra genitori, se si riesce a cambiare un po' il 
				clima che respirano i nostri ragazzi, ci si riuscirà. 
				Comunque, si riesce anche da soli, se si ragiona con i propri 
				figli: ma bisogna esserne convinti! 
				Io penso, però, che la migliore ricetta sia aiutare i nostri 
				figli ad assumersi degli impegni in associazioni giovanili, che 
				forniscano ideali di generosità, di altruismo e di eroismo, di 
				cui i giovani sono sempre assetati. 
				I giovani sono capaci di fare grandi e bellissime cose se solo 
				gliene offriamo l'opportunità: servi nelle zone terremotate, 
				aiuto ai più poveri ecc. 
				Ma noi genitori non dobbiamo aver paura che si facciano male, 
				che prendano freddo, ecc, perchè altrimenti non ci resta che 
				subire le loro iniziative stupíde: il tornare a casa alle 
				quattro di mattina è per loro un'azione eroica, se non trovano 
				niente dì più grande da fare! | 
				6.3) 
				Lo scoutismo può aiutare molto le famiglie in questo ambito, 
				perché pretende la puntualità ed abitua alla corresponsabilità. 
				La vita sociale all'interno delle unità scout può funzionare 
				solo se tutti portano il loro piccolo, ma necessario, 
				contributo. 
				Porto un piccolo esempio: la cucina al campo. C'è bisogno di uno 
				scout che accenda il fuoco, di due che vadano a legna, di uno 
				che la spacchi, di due che preparino le pietanze e le cuociano. 
				Al campo si impara senza tante prediche che la collaborazione è 
				indispensabile! Ma così anche per i grandi giochi, le 
				costruzioni, la segnalazione, la topografia. 
				Noi pensiamo che questo tipo di collaborazione torni poi anche 
				in famiglia, come il senso della puntualità e l'intraprendenza. 
				Non può esistere uno scout fannullone , come non può esistere 
				uno scout che non sia puntuale. C'è da dire anche, che i giovani 
				apprendono il senso della responsabilità. 
				Davanti a casa mia, il sabato sera si incontrano dei rovers e 
				delle scolte o giovani capi per recarsi poi in qualche meta, 
				spesso a casa di uno della combriccola. Ma a mezzanotte i miei 
				figli sono a casa, perché il giorno dopo hanno attività, per cui 
				non possono dare il cattivo esempio, arrivando in ritardo, 
				proprio loro, a messa. Che figura ci farebbero con i loro 
				lupetti o scout? | 
			 
			
				7) 
				I nostri figli sono spesso egoisti. 
				 | 
				7.1) 
				E' tutta l'atmosfera che si respira 
				attorno a noi intrisa di egoismo. 
				In modo particolare le sollecitazioni alle feste, alla moda, 
				alle discoteche, agli spettacoli, tutti impegni per far fronte 
				ai quali si spendono parecchi quattrini senza discutere, mentre 
				per partecipare ad una sottoscrizione a favore di qualche 
				infelice, i soldi non ci sono mai. 
				Ma non c'è neppure il tempo per 
				aiutare chi ha bisogno. Si preferisce organizzare un'assemblea 
				di Istituto per parlare dei problemi dell'immigrazione, ma 
				nessuno si preoccupa poi concretamente di aiutare la famiglia 
				accanto. | 
				7.2) 
				L'educazione e la sensibilità che si respirano in famiglia sono 
				fondamentali per superare l'egoismo che è una caratteristica 
				dell'età giovanile, specialmente attorno ai 15-18 anni. 
				Se la famiglia è attenta ed aperta, se i genitori sono impegnati 
				in qualcosa a favore di altri, parrocchia, catechismo, 
				associazioni di volontariato, allora anche i figli assorbono 
				questa dimensione. 
				Altrimenti passeranno il loro tempo in modo egoistico e quasi 
				narcisistico. | 
				7.3) 
				Lo scoutismo abitua fin da piccoli all'attenzione all'altro: i 
				Lupetti sono sollecitati a compiere il "tiro birbone", gli scout 
				a compiere la B.A. (la buona azione quotidiana) a favore di 
				qualcuno, i rover hanno come motto "Servire". 
				Se i capi sono attenti, progressivamente si instilla nei giovani 
				questo senso di altruismo. 
				Del resto B.P., il fondatore, scrisse che "La felicità nasce dal 
				far felici gli altri". 
				Così si scoprirà che non è vero che i giovani sono egoisti: essi 
				hanno bisogno di fare il bene in modo attivo, devono scorgere un 
				pizzico almeno di avventura in quello che fanno. 
				Ecco perché rispondono in modo entusiasta quando si tratta di 
				affrontare disagi, freddo, difficoltà per portare soccorso alle 
				popolazioni colpite da calamità naturali. 
				Ma sono altrettanto generosi nel servizio nei treni per Lourdes, 
				o per le feste degli anziani. 
				Questospalanca il loro cuore, perché risponde al loro bisogno di 
				eroismo. 
				Se non lo trovano qui, crederanno che tornare a casa alle cinque 
				di mattina dalla discoteca sia un'azione eroica! | 
			 
		 
		
		Conclusione 
		
		Per concludere, vorrei dire delle cose belle, per spalancare le finestre 
		dell'ottimismo, della fiducia nel futuro nostro e dei nostri figli. 
		Desidero citare tre autori, a nostra speranza. 
		Il primo è Quintiliano, educatore del tempo degli imperatori Flavi. 
		Egli dice che il successo del figlio dipende molto dalla fiducia che il 
		genitore nutre su di lui. Come dire che, quando nasce mio figlio, sarò 
		io il primo a credere che avrà una buona riuscita. Ed il bambino 
		crescerà in un ambiente che gli darà sempre una spinta morale perchè 
		egli si sentirà circondato da stima e fiducia. 
		Il secondo è Angelini che ha scritto un libro molto bello intitolato "Il 
		figlio" 
		L'autore contesta il termine educazione che, etimologicamente, significa 
		"tirar fuori". 
		Egli afferma, invece, che i genitori dovranno garantirgli il senso 
		promettente della vita, per cui sarà per lui una gioia cercare dentro di 
		sé il meglio, perchè vede che i genitori gli stanno testimoniando che la 
		vita è bella e degna di essere vissuta alla grande. 
		(Mi vengono in mente certi genitori che non vogliono battezzare il loro 
		figlio da piccolo, per non violentare la sua coscienza: quale senso 
		promettente della vita stanno trasmettendo?" 
		Terzo autore Hillman, uno psicologo di cui è recentemente apparso un 
		libro affascinante intitolato "Il codice dell'anima". 
		Egli afferma che la psicologia ha schematizzato il mondo umano, per cui 
		chi non è dentro ai suoi schemi è un anomalo, un soggetto da curare, 
		mentre egli afferma che la creatività è anormale, che i geni tutti sono 
		anormali e che tutti noi, in qualche modo siamo anormali, perchè 
		semplicemente non esiste norma, in quanto siamo tutti diversi. 
		Ma l'aspetto che più mi ha affascinato è stata l'esposizione della 
		teoria della ghianda, che si rifà al mito di Er , esposto da Platone 
		alla fine della sua opera "La Repubblica". 
		Secondo questo mito, l'anima si sceglie, prima di venire al mondo, un 
		destino, cioè una vita dentro un corpo particolare, in un dato ambiente, 
		con dei precisi genitori, ecc. 
		L'anima è accompagnata da un daimon, una specie di angelo custode. Al 
		momento della discesa dell'anima nel corpo, ella dimentica tutto, ma non 
		il suo daimon, che continuerà tutta la vita a ricordare qual è il 
		destino che lei aveva scelto. 
		Ecco, perciò, l'idea splendida della nostra vocazione: ciascuno di noi 
		ha una vocazione, la ghianda, e noi saremo felici ed in pace con noi 
		stessi solo quando l'avremo scoperta e seguita, fino a farla diventare 
		quercia. 
		Uno degli errori più gravi commessi dagli adulti è quello di non seguire 
		più il proprio daimon, perchè lo si è tradito o non lo si è ascoltato, 
		ma ci si immedesima in quello che si crede sia il daimon del proprio 
		figlio: e così si tradisce due volte, sé stessi ed il figlio. 
		Quando mio figlio diventa la mia ragione di vita, significa che ho 
		abbandonato la ragione invisibile della mia vita. 
		Dobbiamo, invece, amare la nostra vocazione e convivere con il suo 
		esigente amore per noi. 
		Ci sono tante altre splendide intuizioni, ma mi fermo qui per dire che 
		dobbiamo sentirci anche un po' meno preoccupati se crediamo che 
		effettivamente esiste un disegno provvidenziale per i nostri figli, ma 
		anche per noi. Ed allora noi genitori avremo il compito di aiutare a che 
		tale destino si compia, senza credere di essere noi, alla fin fine 
		coloro che creano il destino, fortunato od infelice, dei nostri figli, 
		che è una delle cose che più angosciano i genitori. 
		Sono i figli che hanno nelle loro mani il loro destino. 
		
		Claudio Favaretto 
		
		
		↑▲↑ 
		 
		
		In occasioine del San Giorgio 1999, a quarant'anni 
		dalla scomparsa di don Ugo de Lucchi 
		
		UN RICORDO ED UN INSEGNAMENTO INDELEBILI 
		
		Ho avuto la fortuna di trascorrere i miei anni in Riparto mentre don Ugo 
		era Assistente, ed ho avuto l'amaro privilegio di vederlo morire. 
		Era il 23 Aprile 1959, nel pomeriggio. 
		o, allora novizio rover, mi trovavo in sede ad aiutare una Sq. in vista 
		del S.Giorgio ormai prossimo. Venne un ragazzino, uno di coloro che 
		studiavano il piano con lui, pallido e spaventato, a chiamarmi dicendo 
		che don Ugo stava male. Mi recai subito nella sua cameretta, ma ormai 
		egli stava rantolando e il dottore, sopreggiunto poco dopo, non potè che 
		constatarne il decesso. 
		Allora l'emozionie e il dolore mi vinsero e, presa la bicicletta, fuggii 
		piangendo; è stato quello il mio passaggio dalla giovinezza alla 
		maturità, il primo contatto doloroso con la morte. 
		Don Ugo fu un adulto sensibile e attento alle necessità di noi ragazzi; 
		sapeva parlare con noi, conosceva le nostre ansie, i nostri turbamenti, 
		le nostre pigrizie e i nostri slanci. Ci sosteneva nelle difficoltà che 
		un caposquadriglia incontrava; davanti alla delusione provocata da un 
		ragazzo che lasciava la squadriglia, affermava che Gesù aveva scelto i 
		dodici Apostoli, eppure uno lo tradì: anche noi dovevamo accettare la 
		durezza dell'abbandono. 
		Fu veramente per noi un maestro di educazione ed un modello cui 
		continuammo e continuiamo ad ispirarci: tutto lo scautismo trevigiano 
		attualmente della FSE è nato dalla sua profonda conoscenza, dalla sua 
		intuizione e, soprattutto, dal suo modo di essere disponibile. 
		La sua disponobilità, poi, per noi scouts era totale. 
		Ricorderò solo un episodio: rientrati tutti bagnati da un'uscita di 
		Riparto, ci ospitò nella sua stanza, ci asciugò i vestiti e ci rifocillò 
		affinchè tornassimo a casa vispi e asciutti. 
		Veniva al campo in Lambretta, con la quale doveva rientrare in 
		Parrocchia a celebrare le messe nei giorni festivi; non potendo vivere 
		in tenda perchè portava un pesante e fastidioso busto di gesso da quando 
		aveva subito una grave malattia, si adattava a dormire in ambienti di 
		fortuna, come la famosa casera di S.Lucano. 
		Fu modello anche di semplicità di vita. La sua stanza era proprio il 
		segno della "garrula povertà" e dell'ingegnosità: da un vecchio 
		pianoforte aveva ricavato un mobile, da un sedile di corriera un 
		poltrona. Ci si sentiva ospiti attesi ed amati. 
		Per suo merito sono cresciute generazioni di giovani con il gusto del 
		bello, con il piacere del servizio, con un profondo senso del divino.
		 
		
		Claudio Favaretto 
		
		
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		Presentazione della proposta di 
		formazione di una associazione di genitori del Gruppo TV2° (anno 1991) 
		
		  
		
		I Vescovi del Triveneto in un messaggio indirizzato al mondo della 
		scuola, in apertura dell'anno scolastico, affermano che, in mezzo alle 
		mille voci e ai cambiamenti del nostro tempo, una domanda si fa sempre 
		più distinta ed è una domanda di educazione. 
		"Questa domanda di educazione passa attraverso fenomeni preoccupanti 
		come il disagio giovanile, i fallimenti della vita personale e 
		familiare, dentro a tante banalizzazioini dello stile di vita, dei 
		consumi, del linguaggio. 
		Questa domanda di educazione è soprattutto domanda di figure adulte 
		significative che possano diventare autorevoli e rasserenanti compagni 
		di viaggio dei giovani verso la libertà e la responsabilità". Perciò, 
		aggiungo io, pare che non sia giusto attribuire alle giovani generazioni 
		colpe che non sono loro, ma, piuttosto degli adulti che sono mancati al 
		loro fianco, specialmente in quei momenti cruciali della propria vita e 
		in quegli ambienti previlegiati per la valenza educativa che possiedono 
		o che dovrebbero possedere. Dobbiamo, insieme, avere il coraggio di 
		esaminarci nella nostra testimonianza educativa e dobbiamo anche avere 
		la lucidità per vedere se gli ambienti educativi tradizionali sono 
		ancora validi. A mio parere, pur nelle complessità della vita 
		contemporanea, le agenzie educative più importanti sono ancora quelle 
		della notra esperienza giovanile e cioè: 
		1) la parrocchia 
		2) la scuola 
		3) la famiglia 
		4) lo scautismo 
		Cerchiamo di esaminarne gli aspetti ancora positivi ed, eventualmnete, 
		le zone d'ombra. 
		LA PARROCCHIA 
		E' molto cambiata negli ultimi 30 anni, sotto la spinta di una "cultura" 
		certamente diversa rispetto a una volta. 
		Quando parlo di cultura intendo un modo diverso di sentire, di 
		comportamento, di costume. 
		Bisogna anche pensare che l'ambiente parrocchiale era allora uno dei 
		pochi offerti ai ragazzi, mentre oggi essi essi possono scegliere tra 
		infginite possibilità. Oggi siamo tutti diventati più "nomadi" o più 
		"mobili", percui anche la presenza fisica è diminuita specie il sabato e 
		la domenica. Inoltre la disponibilità dei sacerdoti è sicuramente minore 
		ed il cappelllano, dove esiste, è preso da mille impegni ed il suo tempo 
		è frazionato in mille attività. 
		Questo, certamente, porta ad una minore incisività nei rapporti con gli 
		adolescenti e con i giovani: oggi il cappellano lo si trova solo su 
		appuntamento, non spontaneamente come un tempo. 
		Infine le molteplici attività parrocchiali sono difficilmente 
		armonizzabili, anche a livello semplicemente giovanile. Infatti le méte 
		che le varie attività si propongono non sono omogenee e ancor meno i 
		mezzi per raggiungerle. I tentativi di fare qualcosa insieme risultano 
		difficili, propprio per questi motivi e, a volte, si risolvono in 
		evidenti forzature. 
		A me pare che una delle differenze più importanti - e parlo sempre e 
		solo sul piano educativo - sia la seguente: che lo scautismo attira i 
		ragazzi con il fascino della sua proposta, ma in cambio richiede fedeltà 
		di presenza ed inpegno di coerenza, mentre per lo più, in altri ambienti 
		si offre qualcosa ma si pretende molto poco per cui i ragazzi vengono 
		molto gratificati e molto poco impegnati. 
		Lo scautismo è educazione del fare , è educazione dell'imparare facendo, 
		è concretezza di impegno, è la gioia che nasce dall'averlo superato 
		insieme ad altri. 
		Non è l'educazione del parlare senza sporcarsi le mani, del giudicare 
		senza provare in concreto la fatica di costruire qualcosa di tangibile. 
		LA SCUOLA 
		Tutti noi qui presenti abbiamo esperienza di scuola per mezzo dei nostri 
		figli e, per diversi, anche per la professione svolta. Conosciamo quindi 
		la complesità di questo ambiente e la conseguente difficile analisi, 
		sempre dal punto di vista educativo.  
		Non è possibile perciò generalizzare ma cercherò di evidenziare gli 
		aspetti più notevoli del problema. 
		Molto dell'incidenza dell'ambiente scolastico sui nostri figli dipende 
		dai singoli insegnanti perchè manca una comune preoccupazione educativa; 
		ognuno va in ordine sparso.  
		Per alcuni insegnanti sembra che la preoccupazione più grande sia il far 
		assimilare il più possibile in modo acritico i più svariati contenuti. A 
		volte si richiede moltissimo, senza tener conto della preparazione 
		precedente, senza lasciar tempo di innamorarsi di un argomento; a volte 
		si giudica senza speranza di un recupero, senza le dovute attese di 
		maturazione che varia da alunno ad alunno, il tutto in modo 
		assolutamente impersonale.  
		E di questo i nostri figli soffrono specialmente nei primi anni delle 
		superiori. A volte, specie alle medie , si gratifica invece in modo 
		spropositato, senza educare alla serietà dell'impegno e alla fatica 
		dell'apprendere. 
		Anche se ogni insegnante deve presentare ogni anno, con il programma, le 
		méte educative e didattiche , nessuno controlla, nessuno le armonizza in 
		un piano di intervento comune. 
		Rari sono anche i mezzi pedagogici messi in atto per raggiungere le méte 
		educative e, con la giustificazione della libertà di insegnamento, ogni 
		insegnante si ritaglia il proprio spazio dentro il quale nessuno può 
		mettere il naso. 
		E' evidente che la scuola riflette la società complessa odierna molto 
		più individualista di un tempo. La stessa mancanza di riforme, specie 
		per la scuola superiore, nasce da una visione politica, da un modo di 
		credere e di vivere molto variegati e difficilmente riconducibile a una 
		sintesi culturale. Ma si fa sempre più viva la richiesta di una cultura 
		che sia per la persona e per la sua crescita, prima che per la 
		produzione o per l'accumulo astratto del sapere.  
		Noi vorremmo una cultura che offrisse la possibilità di libertà di 
		condizionamenti esterni, rivolta al singolo e non uniformamente a tutti 
		allo stesso modo. 
		In una società così soggetta all'influenza dei mass-media, c'è un enorme 
		bisogno di educare le singole coscienze, altrimenti manovrabili e, di 
		fatto manovrate, come possiamo aver notato in questi giorni di tensione 
		internazionale. 
		FAMIGLIA E SCAUTISMO 
		Mancano gli ultimi due poli educativi: la famiglia e lo scautismo. Ma 
		preferisco affrontarli in modo diverso, visto che diverso è il rapporto 
		che intercorre tra essi. 
		Parliamo sempre di aspetto educativo, per cui la domanda da porci è 
		"Cosa può offrire lo scautismo ai ragazzi e ai giovani d'oggi?" 
		Il fine dello scautismo è la formazione del buon cristiano e del buon 
		cittadino attraverso i famosi quattro punti: 
		1) formazionie del carattere 
		2) Salute e forza fisica 
		3) Abilità manuale 
		4) Servizio del prossimo 
		A questi si aggiunge la Religiosità che deve permeare tutta la vita di 
		uno scout. 
		Mi soffermo brevemente su ciascuno. 
		1) Formazione del carattere: mai come in questo periodo storico è 
		indispensabile la formazioine di un carattere forte che significa 
		educare una persona che sia capace di prendere le grandi decisioni della 
		vita con saggeza ed equilibrio; una persona capace di avere e di 
		difendere le proprie idealità senza diventare "uno del gregge" ma in 
		grado di "guidare da solo la propria canoa".  
		B.P. afferma che la scuola privilegia l'intelligenza, ma per una vita 
		felice è più importante il carattere. 
		I mezzi per raggiungere questa e le altre mète educative sono precisi e 
		molteplici e vi verranno spiegate nell'incontro con i vari capi-unità 
		nel pomeriggio. 
		2) Salute e forza fisica: lo scautismo ha sempre pensato che l'uomo è 
		formato da una parte fisica e una spirituale o intellettuale: non si può 
		curarne solo una a scapito dell'altra. Molto prima della nascita delle 
		palestre, lo scautismo a capito l'importanza di curare il proprio corpo 
		come dono di Dio e come mezzo per raggiungere la felicità che consiste 
		nel godere la vita con un corpo sano per porsi al servizio della propria 
		famiglia e del prosssimo.  
		Pensate al valore di questo aspetto oggi, con i giovani che si drogano, 
		che si sfiatano nelle discoteche, che si ubriacano, ecc..; oggi il corpo 
		o è esaltato, come dal culturista o è disprezzato come dal drogato. Lo 
		scautismo gli dà il giusto valore. 
		3) Abilità manuale: nel mondo automatizzato odierno, la gioia che nasce 
		da un proprio sforzo per costruire qualcosa di bello e di utile è quasi 
		sconosciuta. Lo scautismo continua a proporla e a farla gustare a 
		piccoli e grandi. 
		4) Servizio: di fronte all'egoismo individualista del mondo 
		consumistico, lo scautismo ricorda che la gioia più grande è quella di 
		far felici gli altri. Vale la pena di sacrificare un po' del proprio 
		tempo, della propria intelligenza e delle proprie capacità per portare 
		la gioia a chi ancorano la conosce; e più numerosi saremo, più saremo 
		felici, come recita la nostra canzone. 
		E' facile comprendere come dietro a questo punto fondamentale viva e 
		prosperi la proposta cristiana dell'amore per il prossimo in tutti i 
		suoi aspetti più profondi. 
		Faccio una piccola citazione perchè mi è piaciuta in sintonia com'è con 
		il nostro modo di pensare: "La futura esistenza del genere umano ssu 
		questa terra sta, oggi più che mai, nella mani di quelli che sanno 
		pensare non solo a se stessi, ma che, nel loro operare, pensano a tutti 
		i loro prossimi, senza eccezzioni." Con queste parole il presidente 
		della repubblica cecoslovacca Vaclav Havel, il 33 aprile 1990, ha 
		salutato Giovanni Paolo II, in visita a Praga. 
		- L'aspetto religioso verrà trattato dal successivo relatore per cui 
		nonmi soffermo. 
		Ma per raggiungere queste mète lo scautismo ha bisogno delle famiglie.
		 
		"Cosa chiede lo scautismo alle famiglie d'oggi?" 
		- una condivisione di fondo delle proposte educative senza la quale si 
		può correre il rischio di alimentare quel mimetismo comportamentale così 
		diffuso oggi. 
		Se noi ad esempio, insegnamo la lealtà, e la famiglia, invece insegna 
		che in certi casi, (vedi copiare il compito in classe, mentire per 
		interesse, ecc.) si può esser sleali, il ragazzo si adeguerà a seconda 
		degli ambienti e non assumerà mai un comportamento coerente; la sua 
		personalità sarà disturbata e instabile. Noi chiediamo alla famiglia di 
		condividere il desiderio e lo sforzo di farne uomini di carattere. 
		Stiamo allevando in Italia una generazione di giovani smidollati e 
		fanulloni, a cui nulla è più negato per paura che si stacchino dalla 
		famiglia; e proprio così si perdono: 
		_ si perdono alla famiglia, per la quale non fanno nulla e non pagano 
		nulla, ma dalla quale prendono sicurezza e denaro 
		_ si perdono alla società, perchè il loro orizzonte civile è limitato al 
		proprio interesse e tornaconto. 
		_ si perdono alla chiesa, diventata per loro solo fornitrice di servizi 
		(sacramenti, matrimoni, battesinmi, funerali) 
		Noi chiediamo alle fomiglie di sostenere il loro figli scouts e rovers, 
		soprattutto nei momenti di crisi, inevitabili nel processo evolutivo. 
		Alle volte sembra che esse temano che un ragazzo si impegni troppo ed 
		oltre una certa età, come quando una famiglia ha paura di un figlio che 
		intende andar prete. 
		Ma una vita ha bisogno di ideali per cui battersi! Guai a noi se 
		riduciamo la nostra e la vita dei nostri figli al solo aspetto 
		materiale! Che significato e che sapore avrebbe una simile esistenza? 
		Certo che è importante la scuola, la professione, ecc.: ma non è tutta 
		qui la vita! E se un ragazzo è responsabile troverà sempre lo spazio e 
		il tempo per dedicarsi un po' agli altri. 
		Ma anche le famiglie devono chiedere qualcosa allo scautismo: 
		_ Che sia fedele a se stesso, che resti un movimento educativo e che non 
		tenti di diventare movimento politico o sociale. Lo scautismo deve 
		formare dellee coscienze, non siindacalisti, politici, contestatori 
		perenni. 
		Lo scautismo non deve diventare unu gruppo giovanile senza mète precise, 
		nè un centro tyristico giovanile. 
		Deve continuare ad essere una splendida avventura di vita per i nostri 
		figlioli; e anche il servizio è un'avventura, come del resto sanno 
		coloro che si dedicano ai loro figli. 
		Le famiglie devono chiedere conto ai capi, però, anche dell'evoluzione 
		della personalità dei loro figli e delle scelte che via via vanno 
		facendo. E' un loro diritto e i capi devono essere preparati a questo. 
		Lo scopo è sempre quello educativo, non ludico, cioè di passatemppo. Si 
		dice che nello scautismo "nulla è fatto per gioco, ma tutto attraverso 
		il gioco". 
		Per concludere un invito: 
		_ Se condividiamo la necessità di essere adulti significativi, capi e 
		genitori, per i nostri scouts, penso che sia opportuno un piano di 
		collaborazione più stretta di quello avuto finora. 
		Per cui, avendo già sentito il Consiglio di Gruppo, propongo la 
		formazione di una associazione di genitori che affianchi lo sforzo 
		educativo dei capi secondo modalità da decidere, pur nel rispetto della 
		reciproca sfera d'influenza. 
		Il capo Gruppo illustrerà poi la proposta. E' tempo che lavoriamo di più 
		insieme! 
		Grazie a tutti! 
		
		Claudio Favaretto 
		
		
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		Presentazione del ventennale di scautismo a 
		S.Pio X del Gruppo TV 2° 
		1961 - 1981 
		
		Chi ci è vissuto vicino e con noi ha seguito passo passo le, nostre 
		vicende, resterà forse sorpreso nel constatare - in un certo senso così 
		è capitato anche a noi - che quello che stiamo trascorrendo è il 
		ventesimo anno di attività scout a S.Pio X. Una vita! 
		Si era nel lontano novembre del 1961 quando, su sollecitazione di don 
		Cesare, parroco da pochi anni, si iniziò con pochi ragazzi l'attività. 
		Ormai quei primi ragazzini sono diventati uomini con famiglia, inseriti 
		nel mondo a pieno titolo; e, dopo di loro, tanti altri, della 
		Parrocchia, e di quelle vicine, fino ai nostri giorni. 
		Talvolta si è sgomenti osservando come veloce passi il tempo, ma abbiamo 
		anche la fortuna, che non a tutti è data nella vita, di poter affermare 
		che sono stati anni spesi bene! E questo noi ci sentiamo di dire perché, 
		senza falsa modestia e schivi pudori, abbiamo cercato di fare del nostro 
		meglio con coerenza, anche attraverso le inevitabili asperità della, 
		vita personale e comunitaria. 
		Dopo quella squadriglia libera che effettuò il suo primo campo nel 1962 
		in Val d'Oten, sostenuta dal Riparto di Santa Maria del Rovere, si formò 
		il Riparto. 
		I problemi furono molti: dalla sede (le opere parrocchiali erano allora 
		formate da poche stanze e per di più date in affitto alla autorità, 
		scolastica), all'inserimento nel tessuto parrocchiale di questa nuova 
		attività che presentava, peculiarità diverse dalla tradizione dei gruppí 
		giovanili. Ma un po' alla volta, anche atttraverso difficoltà e qualche 
		screzio, però - e ci teniamo qui a sottolinearlo - sempre con il pieno e 
		leale appoggio di fondo del parroco, siamo riusciti a farci conoscere e, 
		riteniamo, apprezzare. 
		Così, dopo il riparto potè nascere l'unità femminile che ebbe una vita 
		un po' travagliata ma che, da qualche tempo, è ritornata ad essere 
		presente in modo felice e, ci auguriamo, duraturo. 
		In seguito il Branco, il secondo Riparto, in tempi più recenti il Clan 
		e, da qualche anno il Gruppo hanno confermato e confermano la validità 
		della seria impostazione metodologica ed educativa del nostro scoutismo. 
		Mentre scriviamo queste parole le quali, se ci danno la soddisfazione di 
		un lavoro positivamente svolto ci impegnano a continuarlo, ci passano 
		davanti agli occhi i tanti bambini, ragazzi e giovani che, alcuni per 
		qualche anno, altri per molti sono passati o sono ancora nelle nostre 
		fila, magari con il peso della responsabilità di capi. Allo stesso modo 
		ricordiamo tante figure di genitori e di amici, fino al momento attuale, 
		che ci hanno appoggiato e ci aiutano tuttora. A tutti loro va il nostro 
		ringraziamento come va ai sacerdoti, nostri compagni di avventura. Per 
		festeggiare come si conviene questa ricorrenza, il Gruppo, comprende 
		oggi, oltre le unità di S. Pio X, anche Roncade, Fossalta di Piave e 
		S.Maria del Sile, ha deciso di dare alle stampe (finanze permettendo), 
		un volumetto con le testimonianze documentarie degli anni trascorsi. 
		Sarà organizzata poi, presso le opere parrocchiali, una mostra scout per 
		la Domenica 17 magggio: sarà un momento di rievocazione per coloro che 
		hanno lavorato con noi e di conoscenza per la Comunità parrocchiale. 
		La domenica successiva, 24 maggio, si svolgerà la Festa dei Genitori 
		alla quale invitiamo fin d'ora tutta la Parrocchia e tutti gli amici 
		secondo modalità che faremo conoscere in seguito. In questo modo ci 
		auguriamo di trascorrere insiene delle ore liete, di quelle ore che 
		hanno il sapore della fraterna amicizia e della reciproca stima, così 
		rara, ormai, in un mondo tanto ostile. 
		Così, con voi tutti, amici ed estimatori, cerchiamo di seguire l'invito 
		del nostro fondatore di "lasciare il mondo un po' migliore di come 
		l'abbiamo trovato". 
		A nome del Consiglio di Gruppo 
		
		Claudio Favaretto (Capo Gruppo) 
		
		
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		Intervento per la festa dei 40 anni del TV2° al 
		Teatro S.Anna 
		
		 Mi 
		è stato chiesto di fare un piccolo intervento e vi garantisco che sarà 
		proprio piccolo, perchè questa è una festa e non un convegno. 
		Abbiamo ascoltato poco fa il canto del campo del 1973, eseguito in mmodo 
		impeccabile dal coro. Se avete seguito le parole, si parla di "fiaccola 
		accesa": é quella della testimonianza della bontà dello scautismo 
		tradizionale del fondatore che noi capi del TV 2° di allora volevamo 
		conservare e far conoscere a chi "temendo dubita" come dicono le parole 
		del canto. 
		Lo scautismo cattolico italiano attraversò un periodo di crisi di 
		identità sotto la pressione delle contestazioni studentesche del '68. 
		Molti si improvvisarono pedagogisti, fu criticata: 
		a) la figura del capo  
		b) la fisionomia della squadriglia, ridotta a mutabile centro di 
		interesse 
		c) l'educazione separata tre ragazzi e ragazze 
		d) l'apoliticità 
		e) il rapporto con la Chiesa 
		Noi del Treviso 2° non accettammo questo snaturamento dello scautismo: 
		non accettammmo la nuova associazione nata dalla fusione delle due 
		precedenti (Asci per i ragazzi e Agi per le ragazze).  
		Su queste basi fu creata nel 1974 un'Associazione locale, chiamata 
		"Gruppi e Ceppi scout Cattolici, Treviso" che finalmente confluì nel 
		1976 nella neonata Associazione Guide e Scouts Cattolici d'Europa. 
		Il tempo ci ha dato ragione: da poche centinaia del '76 oggi siamo 
		20.000, segno che i principi educativi e pedagogici dello scoutismo 
		tradizionale sono ancora validi, perchè ancorati alla psicologia degli 
		adolescenti. 
		Non mi resta perciò, per concludere, che augurare lunga vita agli Scouts 
		d'Europa e lunga vita al TV 2°!! 
		
		
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		Da "Vita del popolo" del 5 ottobre 1986 
		
		Campo mobile sulle Alpi Giulie del Clan "La nuova strada" di S.Pio X - 
		Estate 1986 
		
		  
		
		
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		   dal carnet 
		del campo scuola di 2° tempo di Claudio - 
		 - 
		Colico 15/8/1962  
		
		Sessione natura 
		
		Natura, ambiente logico per lo scautismo. 
		Vivere la natura è fonte di gioia, di serenità, di insegnamenti.  
		La natura è vera: è l'immagine di Dio.  
		La natura è leale: non imbroglia. 
		La Natura è armonia e attraverso di essa arriviamo a Dio. 
		Non occorre avere una conoscenza scientifica ma il gusto per la 
		conoscenza. 
		La natura serve prima a noi e poi ai ragazzi. 
		Non dobbiamo puntare sulla specializzazione ma fare in modo che tutti 
		siano in grado di apprezzare e conoscere. 
		Bisogna dare l'idea e poi lasciar fare. 
		Incominciare dall'alta squadriglia, poi introdurlo in riparto. 
		Invitare il ragazzo a fare delle osservazioni particolari. 
		Indirizzare i ragazzi verso le specialità riguardanti la Natura. Deve 
		essere una cosa continua non ogni tanti e saltuariamente. 
		Avere pazienza e non aspettarsi subito risultati. 
		Il materiale deve recare vantaggio a tutta la comunità, quindi tenere in 
		Riparto un quaderno Natura. 
		 
		OSSERVAZIONE NATURA - ORE 15:30 - Lago delle ninfee 
		Il posto da osservare è magnifico e molto vario: ogni volta devo 
		descrivere uno spettacolo naturale mi sento incapace perché ci sono 
		delle sensazioni che sono inesprimibili. Inoltre l'attività natura mi ha 
		sempre affascinato e la considero il migliore regalo che gli scouts mi 
		hanno fatto. 
		Il tempo è incerto e ogni tanto una raffica di vento fa ondeggiare 
		rumorosamente le cannucce che crescono sul fondo basso e fangoso del 
		laghetto. 
		Anche le eleganti betulle si lasciano cullare dal vento e danno 
		l'impressione di qualcosa di delicato e morbido con quel meraviglioso 
		tronco bianco che si staglia nitido sul fondo più scuro. 
		Più robusto invece il pino dal tronco rossastro. 
		Un gruppo di felci che crescono presso la riva si specchiano nel 
		laghetto dando un tono di colore a quella superficie scura.  
		Sento avvicinarsi il vento attraverso il bosco con un fruscio più forte 
		fra le conifere, più morbido fra le latifoglie. 
		Ai miei piedi sorridono le ninfee ed osservandole non posso trattenere 
		un sorriso di risposta e di saluto. 
		Sono molto belle e tanto più belle in quanto escono dal fondo scuro e 
		fangoso e salgono a fiorire sulla superficie dell'acqua. 
		Le foglie hanno un lungo gambo e appoggiano sulla superficie dell'acqua 
		formando come un tappeto. Sono di forma circolare di diametro massimo 
		circa 20-30cm. Il gambo si innesta al centro della foglia e da questo 
		bottone si dipartono tutte le infinite nervature. La foglia è divisa 
		lungo un raggio sulla parte opposta all'apice.  
		La pagina inferiore è rossastra con nervature molto più marcate e 
		verdastre.  
		I fiori non posso osservarli tanto bene perché sono relativamente 
		lontani, comunque escono da una guaina verde formata da cinque petali 
		che si aprono lasciando uscire il fiore che dapprima bianco e rosato ed 
		assume via via un colore più acceso. 
		Non sono riuscito a vedere una ninfea fiorita: forse una volta fecondato 
		il fiore, si immerge portando i semi sul fondo affinché possano 
		nutrirsi. 
		Il gambo, come quasi tutte le erbe acquatiche è cavo però non 
		completamente: esistono quattro condotti principali e due un po' minori 
		oltre naturalmente a tutti gli infiniti minori. 
		 
		
		
		↑▲↑ 
		 
		
		Appunti per la presentazione della storia 
		dello scautismo trevigiano al Clan del TV2° - 2013 circa 
		
		CENNI DI STORIA DELLO SCOUTISMO TREVIGIANO 
		
		 
		Come ben si sa, lo scoutismo nacque nel 1907 nel campo sperimentale 
		tenuto da B.P. nell'isola di Brownsea. 
		Arrivò presto a Treviso, nel 1914, se non erro, con una unità del GEI, 
		l'associazione laica, esistente ancor oggi a livello nazionale. 
		Ma dopo la nascita dell'ASCl, nel 1916, lo scautismo cattolico fece la 
		sua comparsa anche nella nostra città. Non conosco l'anno esatto. 
		Era uno scoutismo molto diverso dall'odierno, con un'impronta un po' 
		para-militare, ma pur sempre un movimento per i ragazzi, con Ia legge e 
		la promessa molto simili, anche nell'enunciazione, alle nostre. 
		Purtroppo, nel 1928, la dittatura del regime fascista decretò la 
		chiusura di tutte le associazioni giovanili, anche quelle cattoliche, 
		perché l'unica doveva restare l'Opera Nazionale Balilla, naturalmente 
		impregnata dello spirito fascista. 
		Con la stipula dei Patti Lateranensi, del 1929, l'unica associazione 
		tollerata non fascista fu l'Azione Cattolica. 
		Lo scoutismo fu sciolto in tutta Italia in due date successive, nelle 
		piccole e grandi città. Alcune coraggiose unità, a Roma e a Milano, 
		sopravvissero. 
		A Milano, in particolare, continuarono la loro attività clandestina le 
		Aquile randagie, il cui ultimo rappresentante è ancora vivo: si tratta 
		di mons. Barbareschi. Qualcuno di voi l'avrà visto nella recente 
		trasmissione su Rai storia, proprio sulle Aquile randagie. Furono 
		guidate da capi ed Assistenti audaci e coraggiosi: il leggendario 
		Uccellini, detto Kelli e don Andrea Ghetti detto Baden. 
		(autore, tra l'altro, di vari canti scout, come "Madonna degli scouts") 
		il loro motto fu "per un giorno in più" cioè durare un giorno più della 
		dittatura. 
		Dopo le tragiche vicende della storia nazionale, nel 1943, a Roma, 
		liberata dai Tedeschi che risalivano lentamente la penisola, recando 
		morte e distruzione, rinacque I'ASCI, almeno nella parte dell'Italia 
		libera. Capo straordinario in quel periodo fu Salvatore Salvatori, che 
		fu anche il mio capo campo al campo scuola di secondo tempo a Colico nel 
		1962. 
		Qui a Treviso si dovette attendere il 1946-47 per assistere alla 
		rinascita. 
		Quello che so è frammentario. Ho chiesto più volte a chi era più grande 
		di me di scrivere la storia, ma finora non ho avuto riscontro, ed è un 
		peccato. 
		So che un giovane ufficiale polacco, non so per quali motivi a Treviso, 
		incontrò alcuni giovani della parrocchia di San Martino Urbano, e parlò 
		loro dello scoutismo. 
		Fra questi c'era Enzo Dematté, deceduto pochi mesi fa, che divenne 
		l'artefice del rilancio dello scoutismo cattolico a Treviso. 
		Nel 1954, infatti, a Treviso fu organizzata una "Mostra scout" nel 
		salone dei Trecento, con angoli di squadriglia, tende, ecc. che attirò 
		molta gente che ne rimase entusiasta. lo c'ero! 
		
		ALCUNE DATE SIGNIFICATIVE 
		
		1954= mostra scout al Palazzo dei 300 
		io facevo parte del riparto di santa Maria del Rovere che si chiamava 
		Treviso 7". A quel tempo non c'erano i gruppi, ma solo riparti. Ricordo 
		il TV 8° al Turazza; Tv 3° al Duomo; Tv 9° a sant'Andrea. 
		1955 = nasce il Gruppo TV 1° detto gruppo forte perché riuniva tutte le 
		unità esistenti; 
		ricordo il branco del Fiore Rosso di santa Maria del Rovere e quello del 
		Duomo, di cui non ricordo il nome.(forse delle "Terre arate") 
		Con i rover provenienti dai vari riparti, nacque il clan cittadino che 
		aveva sede sopra il Battistero del Duomo, con il nome di “Nostra Signora 
		della Strada" Anch'io ne feci parte, fino alla nascita del TV 2° nel 
		1961. 
		1956= La sq. Castori del riparto di santa Maria del Rovere, di cui ero 
		caposquadriglia, svolge un campo di sq. nei pressi di Croce d'Aune, 
		della durata di una settimana. Il caporiparto non poteva fare campo 
		perché impegnato in esami di stato. Così la fiamma della vita all'aperto 
		fu tenuta accesa dal Castori. 
		1958 = ultimo mio campo scout in valle di san Lucano, a Taibon agordino. 
		"Campo del sentiero che si divide". ll posto da campo era stato trovato 
		durante la missione per la specialità di ciclista mia e di un altro csq. 
		1959 = il 23 aprile, giorno di san Giorgio, muore don Ugo de Lucchi, un 
		grande prete, innamorato dello scautismo che non so dove l'abbia 
		appreso. Fu l'assistente dei lupetti, degli scout e dei rover, e 
		l'ispiratore della nascita del nostro gruppo. 
		1961= il gruppo cittadino del TV 1° si sdoppia dando vita al TV 2" che 
		comprende solo due riparti (S. Maria del Rovere e santa Bona, due 
		branchi nelle stesse parrocchie ed un clan con sede a santa Maria del 
		Rovere. Il 4 novembre nasce, sotto la mia responsabilità, anche la sq. 
		libera Gheppio a san Pio X. Paolo Poli ne è il primo csq. Negli anni 
		successivi sorgono altre unità di lupetti e di scout a san Liberale, a 
		Fontane, a santa Maria Maddalena. Nasce anche un clan a santa Bona. 
		Quello di san Pio X nascerà nel 1974. 
		1963 = in ottobre ha luogo la tragedia del Vajont. Rovers e novizi 
		rovers partecipano all'opera di soccorso. 
		1965 = campo in Francia della zona ASCI di Treviso alla Couteranderie, 
		ospiti degli Eclaireurs de France 
		1972= ancora campo in Francia, ma questa volta solo con il TV 2°e con il 
		Ceppo TV 1° femminile, una felice intuizione che verrà confermata in 
		seguito, anche con la FSE. 
		1974 = dopo anni di turbamenti, discussioni, scontri, dalla fusione 
		delI'ASCI (scout cattolici) ed AGI (guide cattoliche} nasce l'Agesci con 
		un colpo di mano a livello direttivo, senza nemmeno un'assemblea 
		nazionale di capi brevettati (io mi ero brevettato nel 1964). 
		1974 = il TV 2° ed il Ceppo TV 1° non aderiscono all'Agesci, 
		contrastando la fusione sia sotto il profilo pedagogico (es. lupette, 
		conduzione femminile dei branchi, sq. miste, ecc.), che educativo 
		(nessun rispetto per le peculiarità psicologiche del ragazzo e della 
		ragazza). 
		Nasce l'Associazione "Gruppi e Ceppi scouts cattolici Treviso", con 
		strutture, assicurazione, stampa, distintivi, campi scuola autonomi. Lo 
		stesso fenomeno di rifiuto dell'Agesci si verifica anche in altre città 
		come Roma, Jesi, Palermo, ecc. 
		Ma un'associazione così piccola non sarebbe sopravvissuta, per cui il 
		capogruppo di allora, l'indimenticabile Francesco Piazza, detto Checco, 
		cercò contatti con altre associazioni, comprese il GEI e l'Assoraider. 
		Ma nessuna delle due ci convinsero, sia sotto il profilo metodologico, 
		(Assoraider 4 branche!) che della religiosità (GEI, nessuna 
		caratterizzazione religiosa). 
		1976 = Maggio: Violento terremoto in Friuli. Il nostro clan "La Nuova 
		strada" partecipa ai soccorsi nella seconda metà di giugno. Servizi alle 
		persone che ce li richiedevano. Fuochi di bivacco alla sera per la gente 
		e i soldati. 
		incontriamo capi romani già della FSE nata in aprile di quello stesso 
		anno 
		1976= nasce l'Associazione Italiana Guide e Scout Cattolici aderente 
		alla Federazione dello Scoutismo Europeo (FSE). Il Gruppo Tv 2° ed il 
		Ceppo TV 1° vi aderiscono con slancio in quanto rispondevano alle nostre 
		richieste educative e pedagogiche. Associazione cattolica, con due 
		sezioni ben distinte, con pedagogia separata tra ragazzi e ragazzi. 
		1976 =il TV 2°, che contava ben 14 unità (4 branchi, 7 riparti, 3 clan), 
		si divide dando vita a tre gruppi: 
		1) - san Pio X e santa Maria Maddalena = TV 2° 
		2) - santa Maria del Rovere e Fontane = TV 7° 
		3) - santa Bona, s. Liberale, s. Cuore = Tv 3° 
		ln seguito il TV 2° aprirà nuove unità a Paderno, Selva del Montello, 
		Carbonera, Fossalta di Piave. Riceverà Silea che era rimasta senza capi, 
		e per alcuni anni avrà anche la responsabilità di Roncade, in crisi per 
		mancanza di capi. Purtroppo santa Maria Maddalena non durerà a lungo. 
		1991= si svolse a Viterbo l'assemblea nazionale. 
		Ogni tre anni i capi brevettati si riuniscono per esaminare il cammino 
		percorso e per tracciare il nuovo programma, oltre che per eleggere il 
		consiglio nazionale che elegge poi il consiglio direttivo: presidente, i 
		due commissari generali, il segretario ed il tesoriere nazionali. 
		Da quell'assemblea uscirono presidente Nico Pezzato, commissaria 
		generale guide Francesca del Giudice, commissario generale scout il 
		sottoscritto. 
		Dopo molti anni di governo romano, l'associazione cambiava direzione. 
		1994 = si-svolse a Viterbo l'EJ organizzato dalla nostra associazione 
		con la presenza di circa 8.000 tra ragazzi e ragazze. 
		Importantissimo l'incontro con il Papa a san Pietro perché nel suo 
		discorso del 3 agosto riconobbe la validità e l'originalità del nostro 
		impegno educativo che era stato sempre osteggiato dall'Agesci che ci 
		vedeva come antagonisti. 
		2003 = EJ a Zelasko, in Polonia 
		2007 = Euromoot sui Monti Tatra, tra Slovacchia a Polonia. 1° grande 
		raduno della branca Rover della FSE 
		 
		
		  
		
		  
		
		  
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