Don Giovanni aveva trentatré anni, prete da nove,
quando nel 1964, anni fervidi e inquieti del Concilio, accolse la proposta di
mons. Spigariol di consacrarsi fra gli Oblati da lui avviati in diocesi negli
anni Trenta.
Era da tempo il suo confessore e direttore spirituale, che conosceva
profondamente l'anima e il costume di vita di questo giovane cappellano di S.
Maria del Rovere. Lo invitò a fare della sua vita di fede e del suo ministero
sacerdotale una oblazione di amore a Dio. Non si trattatavi di prendere le
distanze dal prebiterio diocesano, tanto meno dalla chiesa di Treviso, ma
piuttosto di entrarvi più profondamente dentro, facendo della disponibilità
totale al Vescovo una scelta di spogliazione di sé, della vita comunitaria
un'esperienza forte di carità fraterna - il riconoscimento dell'appartenenza a
Cristo -, del ministero un esercizio di servizio a imitazione di Gesù servo per
amore, anche nei pesi delle responsabilità pastorali; mentre a una regola di
vita era affidato il cammino nelle virtù teologali e morali, alla povertà
volontaria il gusto della libertà evangelica.
Don Giovanni vi è entrato, proprio mentre la Chiesa conciliare prendeva
faticosamente coscienza di quelle che Papa Giovanni amabilmente chiamava
"rughe", ma che in realtà si sarebbero rivelate piaghe del Corpo di Cristo,
ancora sanguinanti. Bisognava amarla profondamente questa Chiesa, e servirla
fedelmente e umilmente, se si voleva contribuire alla sua conversione, al suo
rinnovamento.
Amo ricordare don Giovanni tra gli anni '60 e '70, ripiegato nello studio della
figura santa ed eroica del vescovo Longhin, che nel tragico primo Novecento
attuava la riforma voluta da Papa Pio X, curando personalmente la santificazione
del suo clero. Ne fece subito il suo principale riferimento di vita sacerdotale
e pastorale. La tesi di laurea pubblicata testimonia la serietà della ricerca,
più ancora la partecipazione spirituale a quel modello di pastore, a quel
programma pastorale, che segnarono la rinascita diocesana della prima metà del
XX secolo, grazie alle generazioni dei "preti di mons. Longhin”
Egli vi si riconosceva, e trovava conferma dell'essere tra gli Oblati, dei quali
il Longhin nel 1935 aveva approvato le Costituzioni, e che guidò quale Preposito
fino alla sua nomina di parroco. Nel 1975, alla luce del Concilio, aveva
rinnovato Costituzioni e Direttorio. Continuò a far conoscere il santo Vescovo
in ogni occasione e in ogni modo, anche come direttore del settimanale diocesano
La Vita del Popolo e del bollettino Maestro e Padre. Guidando, fino alla morte,
l'Unione Apostolica del Clero, sempre propose ai sacerdoti la testimonianza e
l'insegnamento del santo pastore. Sullo sfondo stavano la grande figura e la
riforma di S. Pio X. Dio volle che don Giovanni per vent'anni fosse pastore di
Riese, parrocchia natale del Santo, concludendo in essa la missione di uomo di
Dio, offrendo a Dio il sacrificio di non ritornare nella comunità degli Oblati,
amata e desiderata.
È stato un "pastore ispirato alla misericordia di Gesù Buon Pastore", come
testimoniano la cura amorosa della sua comunità, dei bambini, delle famiglie,
dei malati, e la comunanza fraterna e accogliente con i sacerdoti (con mons.
Liessi e con i suoi giovani Vicari, coi preti del Vicariato), ma anche quel
delicato e difficile ministero della misericordia che esercitò quale esorcista
incaricato. Anche nei ministeri non parrocchiali don Giovanni è stato "pastore
secondo il cuore di Dio" che aveva esempio ispiratore nel vescovo Longhin e nei
confratelli Oblati diocesani. "Fratello confidente di tutti" - come è scritto
nel suo testamento spirituale - nei molteplici servizi per ventisei anni in
centro-diocesi: tra gli Scouts, con l'Azione Cattolica, nella direzione del
giornale, nell'ufficio pastorale diocesano. Misericordia significa metterci fede
e cuore nell'affrontare le responsabilità e le fatiche della Chiesa, con fiducia
e rispetto delle persone, senza presunzione di verità, ma cercandola con fede e
umiltà.
Lo ricordo nel periodo dei Convegni di Paderno - si era nel dopoconcilio
fervente e scomposto - i quali furono possibili grazie a lui, quasi un garante
presso il vescovo e la diocesi: favorì che la Chiesa si esprimesse in tutte le
sue componenti, che facesse esperienze di comunione e partecipazione; creando
poi i Consigli Pastorali parrocchiali e le zone pastorali. Il vescovo Mistrorigo
ebbe in lui un mediatore intelligente e saggio, nei primi passi laboriosissimi
del rinnovamento conciliare, che trovò nel Sinodo diocesano la prima importante
sintesi.
Rivelano misericordia l'animo con cui egli gestì queste complesse e difficili
responsabilità, la pazienza rispettosa, la determinazione nelle scelte pratiche,
convinto che un passo dopo l'altro fanno percorrere più strada che le corse
entusiastiche e affannose, perchè fanno camminare tutti, insieme, avendo
attenzione a chi fatica maggiormente.
Don Giovanni è stato davvero un buon pastore, alimentato dalla vita spirituale e
sacerdotale degli Oblati, dall'essere Oblato. Perchè il voto di obbedienza al
Vescovo, la vita comunitaria, il legame profondo con il presbiterio diocesano,
l'impegno ascetico, sono e sono stati per lui, fonti di grazia per conformarsi a
Gesù Buon Pastore.
don Lino Cusinato
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