Centro Studi e documentazione scout "don Ugo de Lucchi"

[Torna]

 

Omelia di S. Ecc. mons. G. A. Gardin

nella celebrazione delle esequie

di mons. Giovanni Bordin

Chiesa arcipretale di Riese Pio X,

4 ottobre 2010

 

«O Signore, accetto fin d’ora, come atto supremo di amore a Te, qualsiasi genere di morte che a Te piacerà mandarmi»: con queste parole mons. Giovanni Bordin concludeva il suo testamento spirituale, scritto l’11 novembre 1992 ad Assisi (mi piace annotarlo, oggi, nella festa di san Francesco d’Assisi). E due giorni prima che giungesse la morte, diceva al Vicario foraneo che gli era accanto: se il Signore mi chiama, obbedisco subito.

            La morte, rapida e inattesa, di mons. Giovanni, ci ha particolarmente colpito per il suo collocarsi proprio nel momento in cui si prospettava per lui un tempo di meritatissimo riposo. In realtà, relativo riposo, dal momento che don Giovanni aveva espresso la sua piena disponibilità, anzi il suo vivo desiderio, di svolgere un ministero di aiuto a qualche parrocchia, dovunque ci fosse stato bisogno.

            Certo, siamo rimasti tutti addolorati e sgomenti, perché quella che doveva essere la gioiosa festa di ringraziamento preparata per i suoi vent’anni di zelante ministero di parroco a Riese Pio X, si è trasformata nel doloroso evento del suo funerale. Nel quale, tuttavia, il ringraziamento non viene meno, anzi si fa più intenso e commosso, e si trasforma in preghiera di suffragio per la sua bella anima.

            Del resto, quando si scorge una vita totalmente donata al Signore, alla Chiesa, ai fratelli, la fede ci fa riconoscere che, nonostante il dolore, anche il funerale assume il carattere della festa – certo non esteriore e chiassosa, ma percepita nell’intimo –: la festa dell’incontro di un autentico credente con il suo Dio: il Dio lungo tutta la vita cercato, amato, servito, annunciato, celebrato. Tutt’intera la vita di mons. Giovanni è stata vissuta nella fede: una fede accolta e fatta propria fin dall’infanzia, e poi conservata e alimentata con impegno, solida come una roccia nel cuore di questo sacerdote vigoroso e dolce.

«Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno»: la convinzione che abbiamo sentito esprimere da Giobbe può ben essere posta sulle labbra del nostro caro don Giovanni. «Sono vissuto e intendo morire nella Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana», ha scritto nel suo testamento, e ci sembra di ascoltare questa solenne dichiarazione dalla sua voce squillante.

            Perché è stata questa una sua inconfondibile caratteristica: mons. Giovanni è stato un autentico uomo di Dio e un convinto servitore della Chiesa. Il suo servizio nella Chiesa di Treviso è stato instancabile e prezioso: dal suo ministero di giovane vicario parrocchiale a Possagno e a Santa Maria del Rovere in Treviso, ai molti compiti di responsabilità svolti nel centro della diocesi, fino ai venti anni di parroco in questa comunità, dove ha saputo farsi amare e apprezzare da tutti.

Viene da chiedersi pensando ai suoi molti incarichi e al suo molto lavoro: è stato un superattivo? È stato un prete lanciato in un fare senza sosta, in un attivismo sfrenato? Io credo che si debba dire, piuttosto, che è stato un sacerdote la cui grande dedizione al ministero scaturiva da una identità presbiterale ben coltivata, da una vita spirituale alimentata alle fonti genuine della Rivelazione e anche alla ricchezza della tradizione spirituale del clero trevigiano. Non a caso le sue due figure di riferimento, per le quali e sulle quali ha anche lavorato, erano san Pio X e il Beato Andrea Giacinto Longhin.

L’Azione cattolica, il settimanale diocesano La vita del popolo, l’impegno di Vicario episcopale per la pastorale diocesana, e anche il lavoro con gli Scout, sono ambiti, e non gli unici, in cui ha profuso, per quasi cinque lustri, un impegno diuturno, generoso, entusiasta, ma non disordinato o affannato.

Non voglio dimenticare poi che gli anni in cui egli ha svolto questi delicati e gravosi compiti – penso particolarmente a quello di Vicario episcopale per la pastorale – erano quelli del dopo Concilio: una stagione vivace, per certi aspetti tumultuosa, ricca di dibattiti anche accesi. In essa il nostro don Giovanni ha saputo esplicare un ruolo di grande equilibrio, pazienza e rasserenamento, oltre che di intraprendenza (rimangono nella memoria di molti le Settimane di aggiornamento pastorale di Paderno del Grappa, da lui organizzate con intelligenza).

Con modestia e tenacia, obbediente e sereno, don Giovanni ha saputo mantenere la rotta e ha contribuito a risparmiare alla nostra diocesi traumi drammatici che hanno segnato altri contesti ecclesiali. Talvolta il suo carattere deciso, rigoroso, è potuto sembrare sintomo di mancanza di attenzione e confronto con le nuove situazioni. Ma don Giovanni non ha mai portato avanti idee personali, avendo a cuore principalmente il patrimonio prezioso dell’unità del presbiterio e del popolo di Dio attorno al vescovo. E tra le iniziative che lo hanno avuto diligente e instancabile organizzatore, voglio ricordare anche l’indimenticabile visita di Papa Giovanni Paolo II qui a Riese, in occasione del 150° anniversario della nascita di san Pio X.

 Uomo della Chiesa, mons. Giovanni, ma anche uomo del vangelo, uomo delle beatitudini, che non a caso abbiamo voluto proclamare in questa celebrazione. Persona umile e mite, che sa anche chiedere scusa con sincerità: «Chiedo scusa per le mie inadeguatezze, negligenze e povertà», ha scritto nel suo testamento; «Ho coscienza di non essere stato all’altezza della mia missione sacerdotale e pastorale. Chiedo perdono sinceramente al Signore e anche a voi tutti», si legge nel testo che aveva preparato per il bimestrale parrocchiale Ignis ardens.

E poi uomo portatore di pace, di serenità, uomo di essenzialità. Sempre nel saluto preparato per Ignis ardens ha scritto: «Non ho cose particolari da lasciarvi, se non la raccomandazione di vivere da veri cristiani, in modo da poterci trovare tutti in Cielo. Viviamo nella fede e nella carità».

Uomo evangelico, che ha saputo mettere al centro il vangelo. Del resto, anche il suo ingresso nella Comunità dei Sacerdoti Oblati diocesani, fin dal 1964, indica il suo desiderio di perfezione evangelica, oltre che di piena disponibilità verso il Vescovo.

 È giusto, infine, ricordare con grande riconoscenza il suo ventennale servizio di parroco in questa parrocchia di Riese Pio X, tanto cara alla nostra diocesi. Dopo il lungo servizio nel centro della Chiesa trevigiana. Mons. Giovanni ha espresso qui quella vocazione pastorale, sempre custodita nel cuore, che ha potuto essere chiamata “civiltà parrocchiale”, ad indicare una sintesi pastorale e spirituale che ha fatto belle e feconde le nostre comunità, plasmando non solo il volto ecclesiale, ma contribuendo a pervadere di umanesimo cristiano anche la società civile.

Anche a Riese, nel paese del suo caro san Pio X, don Giovanni è stato pastore instancabile e sapiente, vero maestro e guida spirituale. Ha profondamente amato la sua comunità con cuore di padre e fratello. Nel già citato saluto preparato per il periodico parrocchiale egli confessava che, dopo tanti anni, il distacco dalla comunità di Riese era per lui sofferto. Subito però precisa: «Ma ho coscienza che noi, finché viviamo, siamo alle dipendenze del Signore e del suo Regno». E poi aggiunge: «Le vostre dimostrazioni di affetto e di gratitudine mi sono di grande sollievo e di conforto in questo momento di distacco».

 Ora la morte sembra produrre il distacco totale e definitivo. Ma noi sappiamo di salutare e presentare al Signore, in questo momento, un sacerdote che può far sue le parole ascoltate da Paolo: «Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, siamo del Signore». Don Giovanni è vissuto per il Signore, e per coloro che il Signore gli ha affidato. Noi non dubitiamo che egli è anche morto per il Signore e nel Signore.

Con questa certezza lo affidiamo alla misericordia del Padre, convinti che egli, purificato da ogni colpa, è ancora tra noi e per noi intercede.

 X Gianfranco Agostino Gardin

        vescovo di Treviso