RICORDO DI MONS. GIOVANNI BORDIN
Eravamo smarriti, noi adolescenti e giovani scout di Santa Maria del Rovere, dopo l’improvvisa morte del nostro amatissimo assistente, don Ugo de Lucchi, avvenuta proprio il giorno di san Giorgio del 1959. I campi estivi si erano svolti quasi sotto il peso di questa grave perdita, ma bisognava ora rivolgersi al futuro, nella speranza che fosse inviato in parrocchia un sacerdote in grado di sostituirlo, almeno in parte. Giungevano voci che sarebbe arrivato un giovane sacerdote, conoscitore di musica, ma assolutamente digiuno di scautismo. Bisogna sapere che don Ugo era un grande intenditore di musica e che molti di noi erano sia cantori che scout. Eravamo, perciò, un po’ delusi, ma desiderosi di incontrare il giovane prete, che giunse, finalmente, uno dei primi giorni di ottobre. Ci piacque subito: corpo robusto, faccia rotonda, sorriso aperto, cordialità contagiosa. Si rese subito conto che veniva a raccogliere una grande eredità spirituale lasciata da don Ugo, e con umiltà cercò di capirla ed interpretarla in modo molto rispettoso. Un po’ alla volta entrò nello spirito e nella prassi dello scoutismo, così che lentamente divenne il nostro punto di riferimento. Una cosa ci stupì subito, oltre all’umiltà: la sua grande disponibilità. Non si tirò mai indietro, anche di fronte a richieste che forse potevano arrecargli dei fastidi. Ad esempio, non avendo mai dormito sotto tenda, la novità poteva essere poco gradevole: egli reagì facendosi fare una tenda alta, robusta e larga, in cui si potesse muovere agevolmente, data la sua massiccia corporatura. L’inconsueta realizzazione fu ironicamente battezzata dagli scout presenti al suo primo campo “caponera”! Fu un uomo di profondo equilibrio e di grande saggezza, che prodigò nei suoi contatti con capi e ragazzi, quando andavano a trovarlo per un consiglio o per un conforto. Prima di prendere delle decisioni importanti rifletteva, ma una volta decisa la strada, non aveva esitazioni di sorta. Così ci sostenne nei momenti complicati della nostra vita scout: - allo sdoppiamento del Treviso 1°, mediante il quale nacque il nostro Treviso 2°, - al rifiuto di confluire nell’Agesci appena formata nel 1974, per appoggiare l’idea della nascita dei “Gruppi e Ceppi scout cattolici di Treviso” confluiti poi nell’Associazione Italiana Guide e Scout d’Europa Cattolici” nata nel 1976, - alla crisi che investì lo stesso Treviso 2°, da cui nacquero gli attuali gruppi presenti in città. La sua parola, la sua saggezza furono fondamentali nella ricerca di nuovi equilibri che la storia, in qualche modo, imponeva. Dopo alcuni anni di permanenza in parrocchia, don Giovanni scelse di entrare tra i Sacerdoti Oblati perché gli sembrava di fare troppo poco rispetto a quanto aveva sognato per la sua vocazione. In questa veste fu richiesto dal Vescovo di allora di dirigere la “Vita del Popolo”, il settimanale diocesano. Egli non aveva dimestichezza con quel mondo, ma accettò come sempre con umiltà, circondandosi, però, di una squadra di collaboratori molto validi che garantirono un vero successo nella diffusione del settimanale nelle famiglie della diocesi. Come tutti, aveva delle piccole défaillances, come quando disse durante un’omelia al campo, che: ”uno scout deve farsi un bel segno di croce, la sera, prima di addormentarsi, ed un altro, al mattino, prima di svegliarsi”. Ma queste piccole manchevolezze ce lo rendevano ancora più vicino. Ricordo che nel 1964, in occasione di un Campo Nazionale Rover, raggiungemmo con la mia macchina, Forcella d’Acero, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, dove avremmo dovuto incontrare il nostro Clan. Naturalmente l’appuntamento andò a vuoto: non c’erano ancora i telefonini! Allora decidemmo di lasciare la macchina sul ciglio della strada per inoltrarci nel bosco, alla ricerca di un sito dove piantare la tenda, visto che ormai stava imbrunendo. Percorse alcune centinaia di metri, incontrammo un solitario cane pastore abruzzese, che ci ringhiò contro; ed egli, postosi velocemente dietro di me, mi disse sottovoce: “ ci vorrebbe un bastone”. Per fortuna il cane proseguì il suo cammino e noi il nostro. Raggiungemmo finalmente una radura, circondata da enormi faggi, che fu di nostro gradimento. Prima di piantare la tenda, però, don Giovanni volle celebrare la messa, utilizzando gli zaini come base per l’altare. Ricorderò sempre quella messa inconsueta. Il celebrante si girava verso di me, alla fine di ogni preghiera, per sollecitare la mia risposta. Ma poco prima del Canone, mi chiese, sottovoce, se desideravo comunicarmi. Eravamo soli per un raggio di chilometri, ma la domanda era rispettosa, perciò posta a bassa voce! Don Giovanni accompagnò lungo il cammino della vita quei numerosi adolescenti che lo accolsero nel 1959. Egli celebrò i nostri matrimoni, battezzò i nostri figli, ricevette le nostre difficoltà e i nostri dubbi: è stato veramente una guida per noi. Vent’anni fa, fu incaricato dal Vescovo di dirigere la parrocchia di Riese Pio X°. Che strano: era stato mandato proprio nella parrocchia da dove era originario e dove era sepolto quel sacerdote ch’egli aveva sostituito: don Ugo de Lucchi. Anche nella nuova realtà don Giovanni seppe profondere, malgrado le malattie, tutta la sua carica umana e spirituale che erano parte della sua straordinaria personalità. L’ho avvertito durante il funerale quanto fosse benvoluto: perché chi fa il bene non può che essere amato. E lui di bene ne ha fatto molto e di questo sarà da Dio sicuramente ricompensato. Ed ora riposano in pace vicini i due nostri cari assistenti
Claudio Favaretto |