Centro Studi e documentazione scout "don Ugo de Lucchi"

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approfondimenti sul tema del servizio

     Il servizio nel metodo scout

 

 

 

Alberto Fantuzzo, già presidente nazionale dell’Agesci. Al periodo in cui era Responsabile regionale dell’Agesci Veneto si deve l’accordo siglato con la Protezione Civile regionale

 

 

Caro Alberto dicci:
• nel periodo in cui sei stato responsabile regionale dell'Agesci Veneto è stato siglato l'accordo tra l'AGESCI e la Protezione Civile regionale. Quali sono state le motivazioni che hanno permesso questo importante accordo?
• ora, nel nostro secolo, sarebbe possibile un servizio come quello che l'ASCI svolse 50 anni fa', non considerando tanto le normative relative alla sicurezza e all'organizzazione degli interventi, quanto i cambiamenti che la società ha avuto in mezzo secolo?

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Sul prato di Bracciano, il luogo delle decisioni importanti della nostra Associazione, l’Agesci, in mezzo al grande prato e a fianco del tendone dove si svolgono, una volta all’anno, le assemblee che decidono in merito a regolamenti metodologici, politiche associative, incarichi di servizio, sul punto più alto, proprio per essere in vista per tutti coloro che vanno in quel prato a fare attività, c’è un luogo particolare: un capitello con una lapide su cui sono riportati i nomi di tutti gli scout morti durante l’attività.
Oltre al simbolo della croce, su quel capitello c’è un solo altro oggetto simbolo: è la carcassa di una piccola bicicletta da bambino, di cui si intuisce che era una bicicletta, anche se rimane ben poco, recuperata durante la tragedia del Vajont.
Come molti di voi, anch’io giravo lo sguardo a destra per osservare la grande diga, ogni volta che, con la parrocchia o con gli scout, passavo con il treno da Venezia diretto in Cadore e ricordo ancora la prima volta che mio padre mi fece notare quella muraglia grigia, difficile da vedere se non una volta giunti alla stazione di Longarone. Da quella volta ed ogni volta, lo sguardo cerca e la mente torna alle immagini ed il cuore sobbalza, pensando alla storia ed alle persone. E ogni volta che passo da Longarone, ora più facilmente in macchina che in treno, non posso non girarmi e puntualmente chi è in macchina con me si sente ripetere: guarda la diga!
I miei figli, che per anni hanno subìto questo che definirei un rito, rispondono da anni prendendomi in giro per la mia scontata ripetitività.
Quel 9 ottobre del 63 io avevo compiuto un anno e un giorno, sono nato l’8 ottobre del 62, e non ho quindi ricordo diretto, né della cronaca, né delle emozioni, ma il racconto dei miei genitori, dei miei capi scout, e di tutti gli altri, via via fino alla bellissima orazione civica di Paolini del 93, mi hanno portato a considerare quell’episodio non semplicemente come una cronaca, ma come una storia anche mia, per la quale interessarmi, leggere, documentarmi, cercare di capire di più, di conoscere meglio, ….in qualche modo mi hanno dato un’opportunità per compiere un percorso che non avevo ancora fatto, per percorrere una strada fino ad allora sconosciuta, insomma per imparare qualcosa di nuovo e di straordinario, in definitiva per crescere.
Il primo punto che vorrei sottolineare oggi con voi è proprio questo: fare memoria aiuta a crescere, contribuisce ad educare.
Vedete, al giorno d’oggi troppo spesso viviamo come se non avessimo memoria, come se non avessimo una storia, un “prima”, come se ogni volta ci toccasse partire da zero, come se fossimo i primi ad affrontare quella determinata difficoltà: nella vita, in famiglia, al lavoro, anche in associazione….
E così facendo non ci rendiamo conto che per proiettarci verso il futuro, occorre conoscere innanzitutto se stessi, conoscere la propria storia, e dentro la storia di ciascuno imparare a riconoscere le cose che valgono, le tappe che segnano, gli insegnamenti che durano.
Un altro errore che facciamo spesso è quello di pensare che fare memoria sia solo ricordare, magari anche riesumando foto in bianco e nero o raccogliendo testimonianze dirette dai protagonisti di una vicenda. Fare memoria è molto di più!
È riconoscere il proprio passato, quello personale e quello collettivo, è comprendere il patrimonio che ci è dato in dote o quello, come nel caso della tragedia del Vajont, che è andato perduto per colpa di qualcuno. Anche imparare a riconoscere gli errori ha un valore fondamentale ed è molto educativo.
Fare memoria è non solo leggere le storie delle persone e delle popolazioni, ma è anche rendere vivo, presente, attuale ciò che ha fatto crescere quelle persone, che ha fatto maturare quelle popolazioni.
È una sorta di anticipo di resurrezione, in cui quello che conta di più è il nostro impegno per continuare a vivere degnamente il presente.
Anche l’Eucarestia è fare memoria, ma non è ricordo sterile dell’Ultima Cena, bensì un rinnovato sacrificio per l’oggi e per il futuro.
Grazie allora a chi oggi ha voluto fare memoria di quella tragedia, per ricordare a tutti che da quella tragedia occorre ripartire ogni volta e ricordare ancora una volta a tutti che la natura ha un suo primato, che la montagna chiede rispetto, che l’ingegno umano ha comunque dei limiti, che l’uomo non è onnipotente.
Facciamo allora memoria, cioè rendiamo vivo il ricordo, l’impegno, la storia, di tutti coloro che hanno perso la propria vita, e di tutti coloro che hanno donato il proprio tempo per gli altri, nel corso delle numerose emergenze in cui anche noi scout siamo intervenuti: le alluvioni del Polesine nel 1951 ed in Val di Susa nel 1957, il disastro del Vajont nel 1963, le alluvioni a Firenze e a Venezia nel 1966, il terremoto del Belice nel 1968, in Friuli nel 1976, in Irpinia nel 1980, la tragedia della Val di Stava nel 1985, le operazioni di solidarietà internazionale negli anni 1991 – 1995 nella ex Jugoslavia e nei paesi dell’est Europa, … per citare solo le più gravi e quindi le più conosciute.
Lo scautismo mi ha insegnato a fare memoria, ad esempio imparando a fare delle serie verifiche, che significa mettersi in discussione e riconoscere i propri e gli altrui errori, in modo che anche questi facciano storia.
Da Presidente dell’Agesci ho imparato che esiste una memoria associativa, così come esiste una memoria civica collettiva.
Una memoria che bisogna saper riconoscere soprattutto quando capitano i problemi, per ricordare che ad esempio l’associazione, il metodo educativo, la democrazia associativa, così come la natura, la città, il bosco, la montagna, non sono nostri, li abbiamo trovati, qualcuno li aveva pensati prima di noi, ad un certo punto ci sono stati affidati come qualcosa di prezioso perché li custodissimo e li tramandassimo alle generazioni future migliorati, valorizzati. Se solo ci ricordassimo di questo …
Un’altra cosa che mi ha insegnato lo scautismo è la disponibilità al servizio, che comincia semplicemente curando l’abitudine a dire SI’.
Sì è sinonimo di positività, di disponibilità ad andare verso.
No è sinonimo di negatività, di ritrosia, di chiusura.
Uno scout è uno che se può dice di sì, che non tira fuori alibi. “Ho tanto da studiare”, “Non ho tempo”, sono le due espressioni più frequenti tra i giovani di oggi quando gli si chiede un piccolo impegno non previsto. “Non sono capace, non sono all’altezza”, oppure “Non c’è nessun altro oltre a me?” sono invece le scuse più frequenti tra gli adulti.
Il tempo che manca è una balla! Il tempo è la cosa più democratica che esista: ogni giorno ne viene donata a ciascuno la medesima quantità, 24 ore a testa, poveri o ricchi, bianchi o neri, buoni o cattivi. Il problema non sta nel tempo ma nelle scelte che facciamo.
E San Paolo negli Atti degli Apostoli, al capitolo 20, ci dà il senso di questa inclinazione a dire SI’: “In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere"» (Atti 20)”
Dire di SI’ aiuta a prepararsi al servizio, non solo a quello nelle emergenze, ma al dono di sé tutti i giorni della vita. Sì è la risposta dell’amore, dell’apertura, del dono.
Gli scout mi hanno anche insegnato a guardare con ottimismo alla vita, a ciò che succede, a ciò che capita, anche se è grave e difficile da sopportare.
Anche da una situazione disastrosa, come fu quella del Vajont, possono nascere, e difatti sono autenticamente nate, l’abbiamo sentito, storie grandi di generosità, di positività, non fosse altro che per i volontari che hanno partecipato alle operazioni di soccorso e di recupero delle vittime.
Non penso che sottolineare questo sia offendere chi ha perso la vita o chi ha sofferto un lutto. Anzi credo che questo sia un modo corretto per interpretare l’articolo della legge scout che dice: sorridono e cantano anche nelle difficoltà.
Lo scautismo mi ha insegnato l’attenzione alle piccole cose, la cura dei gesti semplici, delle carezze, degli sguardi, l’attenzione ai dettagli, che dimostrano la capacità di prendersi cura degli altri, come il buon samaritano si prende cura del viandante picchiato e derubato dai briganti lungo la strada da Gerusalemme a Gerico.
La vita all’aria aperta, le veglie preparate per bene, la capacità di leggere una carta topografica, lo spirito di osservazione allenato nel gioco di kim mi hanno insegnato l’attenzione per i dettagli.
Quanto bisogno c’è di recuperare le attenzioni semplici ed i gesti di ogni giorno per chi ha perso tutto in una alluvione o per un terremoto? Quanto valore può avere anche un semplice bicchier d’acqua per chi ha perso tutto?
Gli scout mi hanno insegnato a pensare agli altri, come e più che non a me stesso. A volte mia moglie mi rimprovera perché dice che penso troppo agli altri e quando ero presidente, in effetti passavo più ore in giro per l’Italia per gli scout che non in famiglia con i miei figli. Ma non era colpa mia. Me l’avevano insegnato i miei capi, me l’aveva insegnato l’esperienza da capo squadriglia, da giovane capo clan. Quando ero Akela del mio branco, nei 5 anni che hanno preceduto la mia esperienza da Presidente, scoprivo ogni volta di più come quella semplice formulazione fosse così efficace ed avesse il valore autentico di una legge per tutti i miei lupetti: il lupetto pensa agli altri come a se stesso!
Ma chi fa interventi in situazioni di emergenza che cosa fa se non applicare la legge imparata da lupetto?
Lo scautismo mi ha insegnato l’attenzione alle persone e alle relazioni.
Nella vita normale di tutti i giorni e anche nelle emergenze, anzi, soprattutto nelle situazioni di difficoltà, la relazione tra le persone è ciò che medica più di ogni buon cerotto, è ciò che salva più di ogni miglior fasciatura.
La relazione è una condizione vitale, innata nell’uomo e nella donna, eppure così trascurata, tanto che, almeno nella mia esperienza, la maggior parte delle liti avviene per scarsa capacità di stare in modo sano dentro ad una relazione.
Essere in relazione è innanzitutto non mettere etichette alle persone, non giudicarle in base alle apparenze, al giornale che leggono, all’abito che indossano. Troppo comodo! Destra – sinistra, ricchi – poveri, belli – brutti, bianchi – neri, veneti – immigrati, …. Non sono queste le categorie di pensiero e tantomeno di comportamento che favoriscono l’integrazione e la convivenza.
Le persone hanno un valore in sé, per la storia che portano, per la profondità che racchiudono. Le persone sono storie!
Ecco perché nelle tendopoli e nelle emergenze ci proponiamo innanzitutto per la cura delle relazioni, non ci interessano i posti di coordinamento e di comando, ci piace stare con le persone, con i bambini, con gli anziani, con quelli che rischiano di rimanere soli….
Lo scautismo mi ha insegnato anche la fatica e l’esposizione della denuncia. Non possiamo rimanere in silenzio e basta di fronte alle tragedie, davanti alle crisi, dinnanzi alle miserie.
Non possiamo voltare la testa dall’altra parte ed ignorare le cause che determinano disuguaglianze sociali, disastri ambientali, dissesti economici. Lo scautismo mi ha insegnato un metodo, quello dell’esploratore, che ha voglia di addentrarsi nelle cose che non conosce, per scoprire di più, per fare un’esperienza e formarmi un pensiero autonomo e critico.
Ma lo scautismo mi ha anche insegnato che la denuncia non basta. Noi non siamo quelli della protesta e del mugugno. Noi siamo anche quelli della proposta, della ricostruzione, affermando i valori che stanno alla base della convivenza felice dei popoli, delle razze, delle religioni.
Perché coltiviamo una naturale attenzione alla vita che deve continuare. E cerchiamo anche di trasmetterla a chi incontriamo e assistiamo nelle emergenze.
Mi pare che queste siano le caratteristiche che contraddistinguono lo stile e il ruolo degli scout che intervengono nelle emergenze e di tutti i capi che lavorano per la prevenzioni.
Ho trovato una frase dalla manualistica classica che mi sembra racchiudere il senso del nostro faticare in ambito educativo e quando serve anche nelle difficoltà e nelle emergenze: ‘per ora diciamo "omnia sunt communia" ovvero 'ogni cosa è bene comune' (Thomas Muntzer) e su questo fondiamo la nostra azione politica di cittadinanza attiva ... ma potremmo presto dover dire "In extrema necessitate omnia sunt communia, id est communicanda" ovvero 'nella necessità estrema tutte le cose sono comuni e perciò si devono mettere in comune'.
Ho cominciato parlando di memoria e vorrei concludere tornando alle memoria con una provocazione.
Girando l’Italia da Presidente ho conosciuto molti centri scout, molte fondazioni, molti centri studi, giustamente preoccupati di recuperare la memoria dello scautismo e del civismo degli scout, limitandosi però a percorrere sentieri che andavano esclusivamente a ritroso nel tempo.
Pensando invece al valore profondo della memoria ed alla capacità di rendere vivo, attuale, presente ciò che è stato in ciò che potrebbe accadere, dico che mi piacerebbe che tutte queste numerose realtà e le persone preparate e motivate che li animano, una volta esaurita la fase di raccolta delle foto in bianco e nero, autentica specialità saldamente in mano agli ex scout, smettessero di rovistare nei cassetti a cercare distintivi e manoscritti e provassero proiettare la loro azione verso il futuro.
Perché un centro studi deve dedicarsi quasi esclusivamente al passato? Perché non può valorizzare le numerose e ricche esperienze dei suoi affiliati e i numerosi talenti dei suoi volontari esperti aiutando tutti a fare memoria della storia, ma guardando al futuro?
Propongo che oltre a fare mostre fotografiche si finanzino borse di studio per studi prospettici fatti da giovani universitari sui moltissimi ambiti che riguardano l’educazione, la natura, l’ambiente, la cittadinanza attiva, e che potrebbero aiutare anche i capi in attività a svolgere meglio il loro servizio.
Concludo con una frase tratta da san Paolo apostolo nella sua lettera ai Tessalonicesi: “non abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e travaglio giorno e notte, per non essere di peso ad alcuno di voi”.
Grazie.

Alberto Fantuzzo