
Hai avuto qualche incertezza prima di partire? So che siete arrivati col treno,
avete speso una bella cifra per il biglietto?

Enrico, cosa faceste una volta arrivati in zona Longarone?

Al termine del servizio, cosa facevate?

Quando siete tornati a casa? |
Io ero molto indeciso perché lo stesso giorno della partenza dovevo
presentarmi al Distretto Militare per la visita di leva, ma Luciano
Ciurnelli disse di non preoccuparmi, e di partire tranquillamente,
dovevo soltanto inviare, appena arrivato a Belluno, un telegramma al
Distretto, dicendo di essere impegnato con la Terza Forza Civile
(allora erano così classificati gli Scout) e così feci.
Partimmo con il treno tutti insieme la sera del 14 ottobre e, dopo
aver viaggiato tutta la notte, arrivammo la mattina seguente a
Belluno, dove con mezzi militari ci portarono a Fortogna, nei pressi
di Longarone, dove era stata allestito il principale cimitero, per
riunire tutte le vittime di quell’evento funesto ed una tendopoli di
servizio.
Con altri Rover di Milano, Verona, ed altre città avemmo l’incarico
di sistemare tutte le salme che venivano confluite al cimitero di
Fortogna. Quei corpi martoriati e spesso fortemente deturpati
venivano portati li dai mezzi dei Vigili del Fuoco e dei militari
che li avevano recuperati lungo il fiume o in mezzo alla fanghiglia
formatasi dopo la tragedia.
Il nostro compito era davvero pietoso, dovevamo ripulire e
disinfettare quei corpi, per poi avvolgerli in teli di plastica e
porli così dentro le bare. Dopo questa prima sistemazione, ogni
corpo o quello che ne era rimasto veniva fotografato e le foto
venivano appese in un grande pannello posto vicino alla tenda della
Croce Rossa, per consentire il riconoscimento delle salme da parte
dei familiari.
Una coppia di medici inglesi ed un medico iugoslavo compilavano per
ogni cadavere una scheda nella quale venivano evidenziati tutti i
possibili segni di riconoscimento come cicatrici, statura, colore
dei capelli, eventuali protesi dentarie, mentre eventuali anelli,
orecchini o quant’altro venivano messi in una busta di plastica
numerata. Ultimate queste tristi operazioni le bare venivano
richiuse e numerate e poi noi le portavamo a spalla per sistemarle
in fila all’interno di fosse comuni precedentemente scavate da
ruspe. Una volta che la fossa era riempita veniva ricoperta di terra
e si procedeva con un’altra fossa. Terminata ogni operazione,
venivamo irrorati a spruzzo con un disinfettante per impedire
l’esplosione di eventuali infezioni o epidemie e noi stessi, a scopo
precauzionale, lavoravamo costantemente con guanti di gomma e
mascherine e con dei camici bianchi del tipo usa e getta.
Il primo giorno, appena visto quanto era accaduto e preso atto del
compito che dovevamo svolgere, ho pensato veramente di non riuscire
a superare quei terribili momenti e sono stato tentato di chiedere
di essere trasferito ad altro incarico, ma poi, il desiderio di
essere di aiuto a quella povera gente, mi ha fatto superare ogni
esitazione e difficoltà e mi sono buttato anima e corpo in quel
servizio di aiuto, verso chi aveva tanto bisogno di noi.
La sera, verso le 19,00, con camion tornavamo a Belluno dove eravamo
sistemati in una Colonia di proprietà della P.O.A., insieme a tutti
gli altri soccorritori ed ai pochi superstiti.
Dopo cena, ci riunivamo intorno ad un gran fuoco, da noi
organizzato, dove si fraternizzava e si intonavamo canti di
montagna, con il tentativo di far dimenticar, almeno per un momento,
quella tragedia a chi aveva negli occhi tanta angoscia e
disperazione. Mi sembra di ricordare che con i Rover del clan della
Rocchetta del Milano 1° ci fosse anche un sacerdote molto simpatico,
forse don Andrea Ghetti, il mitico “Baden” delle Aquile Randagie.
Il giorno 18 ottobre, prima di ripartire siamo andati tutti a
Longarone città e ci siamo potuti rendere veramente conto di cosa
era successo. La furia dell’acqua aveva divelto rotaie, diroccato
case e trasportato a valle auto e tutto quanto aveva trovato lungo
il suo percorso. |