Centro Studi e documentazione scout "don Ugo de Lucchi"

 

Intervista a Enrico Biagioli     

[torna]

di Spoleto, in Umbria. Enrico è attualmente nel Masci, ed è un appassionato di storia dello Scautismo, e autore di alcuni libri sullo Scautismo nella sua regione.

Hai avuto qualche incertezza prima di partire? So che siete arrivati col treno, avete speso una bella cifra per il biglietto?

 

Enrico, cosa faceste una volta arrivati in zona Longarone?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al termine del servizio, cosa facevate?

 

 

Quando siete tornati a casa?

 

 

Io ero molto indeciso perché lo stesso giorno della partenza dovevo presentarmi al Distretto Militare per la visita di leva, ma Luciano Ciurnelli disse di non preoccuparmi, e di partire tranquillamente, dovevo soltanto inviare, appena arrivato a Belluno, un telegramma al Distretto, dicendo di essere impegnato con la Terza Forza Civile (allora erano così classificati gli Scout) e così feci.
Partimmo con il treno tutti insieme la sera del 14 ottobre e, dopo aver viaggiato tutta la notte, arrivammo la mattina seguente a Belluno, dove con mezzi militari ci portarono a Fortogna, nei pressi di Longarone, dove era stata allestito il principale cimitero, per riunire tutte le vittime di quell’evento funesto ed una tendopoli di servizio.

 

 

Con altri Rover di Milano, Verona, ed altre città avemmo l’incarico di sistemare tutte le salme che venivano confluite al cimitero di Fortogna. Quei corpi martoriati e spesso fortemente deturpati venivano portati li dai mezzi dei Vigili del Fuoco e dei militari che li avevano recuperati lungo il fiume o in mezzo alla fanghiglia formatasi dopo la tragedia.
Il nostro compito era davvero pietoso, dovevamo ripulire e disinfettare quei corpi, per poi avvolgerli in teli di plastica e porli così dentro le bare. Dopo questa prima sistemazione, ogni corpo o quello che ne era rimasto veniva fotografato e le foto venivano appese in un grande pannello posto vicino alla tenda della Croce Rossa, per consentire il riconoscimento delle salme da parte dei familiari.
Una coppia di medici inglesi ed un medico iugoslavo compilavano per ogni cadavere una scheda nella quale venivano evidenziati tutti i possibili segni di riconoscimento come cicatrici, statura, colore dei capelli, eventuali protesi dentarie, mentre eventuali anelli, orecchini o quant’altro venivano messi in una busta di plastica numerata. Ultimate queste tristi operazioni le bare venivano richiuse e numerate e poi noi le portavamo a spalla per sistemarle in fila all’interno di fosse comuni precedentemente scavate da ruspe. Una volta che la fossa era riempita veniva ricoperta di terra e si procedeva con un’altra fossa. Terminata ogni operazione, venivamo irrorati a spruzzo con un disinfettante per impedire l’esplosione di eventuali infezioni o epidemie e noi stessi, a scopo precauzionale, lavoravamo costantemente con guanti di gomma e mascherine e con dei camici bianchi del tipo usa e getta.
Il primo giorno, appena visto quanto era accaduto e preso atto del compito che dovevamo svolgere, ho pensato veramente di non riuscire a superare quei terribili momenti e sono stato tentato di chiedere di essere trasferito ad altro incarico, ma poi, il desiderio di essere di aiuto a quella povera gente, mi ha fatto superare ogni esitazione e difficoltà e mi sono buttato anima e corpo in quel servizio di aiuto, verso chi aveva tanto bisogno di noi.
 

 

La sera, verso le 19,00, con camion tornavamo a Belluno dove eravamo sistemati in una Colonia di proprietà della P.O.A., insieme a tutti gli altri soccorritori ed ai pochi superstiti.
Dopo cena, ci riunivamo intorno ad un gran fuoco, da noi organizzato, dove si fraternizzava e si intonavamo canti di montagna, con il tentativo di far dimenticar, almeno per un momento, quella tragedia a chi aveva negli occhi tanta angoscia e disperazione. Mi sembra di ricordare che con i Rover del clan della Rocchetta del Milano 1° ci fosse anche un sacerdote molto simpatico, forse don Andrea Ghetti, il mitico “Baden” delle Aquile Randagie.

 

 

Il giorno 18 ottobre, prima di ripartire siamo andati tutti a Longarone città e ci siamo potuti rendere veramente conto di cosa era successo. La furia dell’acqua aveva divelto rotaie, diroccato case e trasportato a valle auto e tutto quanto aveva trovato lungo il suo percorso.