
Centro Studi e documentazione scout "don Ugo de
Lucchi"
Intervista a
Gianni Garotta
[torna]
che faceva
parte del “mitico” Clan della Rocchetta del Milano 1°, il cui
assistente era Mons. Andrea Ghetti, Baden.
Gianni in verità viene ora dalla Svizzera, dove la sua professione
di ricercatore in campo biomedico lo ha portato da molti anni. Se
avete sentito parlare delle ricerche sul genoma umano, beh, ecco, lì
c’era Gianni Garotta. |

Quando arrivaste voi di Milano e come fu la collaborazione con la Croce Bianca?

Nel servizio al Cimitero di Fortogna ricordi qualche persona in
particolare che lavorava con voi?

Il
servizio svolto al Vajont ti ha lasciato qualche insegnamento?
|
Nell’autunno del 1963 ero matricola alla facoltà di Scienze
dell’Università di Milano e mi godevo la situazione: un po’ di
libertà, nuovi ambienti e nuovi compagni. Dopo una riunione di Clan,
Baden constatò che io e Gabriele Mandelli, oltre a servire nel
Riparto scout e nella Croce Bianca, avevamo “poco da fare” e ci
chiese se potevamo accompagnare un autocarro dell’ENI con un carico
di prima necessità per Longarone. Si trattava di un paio di giorni,
praticamente andare e tornare.
Dovevamo consegnare il carico di calce viva che avevamo trasportato
ed eravamo ignari di quanto ci si dovesse aspettare. Era notte, le
fotoelettriche illuminavano un centinaio di corpi stesi nell’erba ed
un grosso cumulo di bare e dei Carabinieri armati sorvegliavano la
zona. Devo confessare che l’impatto è stato duro. Il giorno dopo
abbiamo telefonato a Milano avvertendo i genitori e chiedendo aiuto
al nostro Clan della Rocchetta. E cosi è iniziato il tutto.
Ricordo l’anatomo-patologo jugoslavo che venne ad aiutare come
volontario, un signore alto, con pochi capelli neri ed un’avanzata
calvizie.
Ci ha guidato con gentilezza e competenza e, in un italiano
smozzicato, ci chiedeva, ogni volta, se ce la sentivamo. Ho saputo
poi che il medico di cui parliamo - quello stesso anno - aveva
prestato servizio a Skopje dopo il terremoto, e era venuto a
Longarone ad aiutare perché un anatomista dell’Università di Milano
aveva prestato la propria opera come volontario in occasione di
quella catastrofe. In seguito ho conosciuto questo anatomista ed ho
sostenuto l’esame di anatomia con lui.
Ricordo una persona giovane, sui trent’anni, bionda, magra,
elegante, forse un sottufficiale di Marina. Portava un un’uniforme a
doppiopetto blu con delle ancore sul bavero della giacca. Ha
lavorato per tutto il tempo con elenchi dell’anagrafe (penso) per
facilitare i riconoscimenti e per accumulare documentazione. Sempre
paziente e gentilissimo con noi che lo aiutavamo sul campo e con
parenti e congiunti che cercavano notizie, portavano fotografie e
documenti. Ha lavorato per tutto il tempo con grande disponibilità e
con grande Pietà, nel senso classico della parola.
Nella mia vita ho scelto di fare il ricercatore, mi sono
specializzato come immunologo ed ho sempre lavorato in campo
biomedico. Sono stato in istituti di ricerca ed ho lavorato per
trent’anni nella ricerca e sviluppo di diverse industrie. Il periodo
più entusiasmante del mio lavoro è stato quando si sono applicate le
cosiddette biotecnologie alla ricerca e caratterizzazione di nuovi
farmaci.
Spero di aver lavorato bene e di avere in qualche modo inciso.
Quando sono arrivato a Longarone avevo già deciso di tentare la
strada della ricerca.
Tuttavia penso che Longarone mi abbia insegnato che tutti possono
fare qualche cosa di importante a patto di non tirarsi indietro, di
metterci la faccia e di lavorare assieme a tutti gli altri.
|