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Testimonianza di Aldo Solimbergo in merito alla poesia di Gigi Pianca

Aldo Solimbergo, avendo letto la poesia dell’amico Gigi ha risvegliato molti ricordi e sofferenze. E’ una testimonianza di persona indirettamente coinvolta per l’amicizia esistente tra compagni di classe.
E’ uno scritto molto circostanziato e giustamente sofferto, nello stesso tempo gli si riconosce l’autorevolezza nella critica:
“Sul Vajont non ho mai amato i discorsi retorici della politica, i film e gli spettacoli. Sono vie facili per non capire nulla e per sentirsi a posto con la coscienza al minimo costo.”
Per ultimo è da seguire l’invito alla lettura del libro intitolato “Le ombre di Erto e Casso” per una comprensione della tragedia al di là delle facili analisi dell’accaduto.
 

Caro Gigi, volevo dirti che ho letto e riletto la tua poesia Vajont.
L'ho fatta avere anche a Bordignon.
Lui mi ha risposto dicendomi che la trova molto bella.
Io devo dirti che l'ho sofferta parecchio.
In quegli anni abitavo con la mia famiglia d'origine a Belluno e devi sapere che in questa tragedia ho perso il mio compagno di banco del 5° anno di Ragioneria, De Cesaro Giorgio, figlio del capostazione di Longarone. Quel 9 ottobre del 1963 è rimasto nel cuore e nelle viscere di tutti noi studenti di quella 5a A di cui ero capoclasse. Ancora oggi quando ci troviamo (volutamente o per caso) a Belluno ci guardiamo annichiliti.
Oggi tu vedi la Longarone ricostruita ma noi ricordiamo la Longarone vecchia e il deserto di quella piana due giorni dopo la tragedia. Ho trascorso quattro anni di università a Venezia condividendo un piccolo appartamento con Umberto Olivier, di Codissago paese sotto la diga del Vajont, unico superstite della sua famiglia (gli rimase uno zio che abitava a Coi in Val Zoldana). Si salvò perché da perito minerario era stato chiamato per un colloquio di lavoro, a Milano, da una Società, la SOGEI, che si occupava di import/export di materiali minerari di diversa natura.
Nei giorni che seguirono la tragedia arrivò a Belluno, a casa Solimbergo, perché sua sorella era compagna di classe di mia sorella e talvolta si fermava a casa nostra per il pranzo e a fare le lezioni, poi nel tardo pomeriggio prendeva la corriera per Longarone. Di lei mia sorella gli mise a disposizione qualche foto, di quelle che ti ritraggono all'inizio dell'anno scolastico con il resto della classe. Della sua famiglia gli rimaneva solo questo.
Solo di questo mio compagno di studi universitari potrei scrivere centinaia di pagine sulla sua disperata esistenza. Sul Vajont non ho mai amato i discorsi retorici della politica, i film e gli spettacoli. Sono vie facili per non capire nulla e per sentirsi a posto con la coscienza al minimo costo.
Per tentare di gettare un po’ di luce in quella tragedia bisogna aspettare che nasca dentro di te un moto dell'anima che ti porta a voler capire il prima, il durante e il dopo di quella tragedia e della gente che ne è stata stritolata. E ti assicuro che molti sopravvissuti si portano dentro croci di un peso umanamente insopportabile e immaginabili (uno dei primi scrittori che capì quella realtà scrisse un libro titolato "Le ombre di Erto Casso", dove tu, che sei un fine scrittore, capisci tutti i significati e le sfumature di quel termine "ombre").
E' bene che io mi fermi qui.
Grazie ancora per questa tua poesia che ho sentito nascere dal tuo cuore che so sensibile e generoso: in me quella ferità non riesce a rimarginarsi. Credo di aver capito cose che la gente ritiene difficili e complesse (la metafisica, l'epistemologia, la curvatura del tempo, le tre critiche Kantiane etc.) ma di quella tragedia ancora oggi ne cerco il senso..
Considera queste mie quattro frasi come una modesta confessione che faccio solo a te.
Grazie dell'attenzione e buona giornata
Aldo