Roberto

[torna]

INTERVISTA SULLA ATTIVITA' SCOUTISTICA IN

EGITTO

Lo scautismo italiano, promosso dalla numerosa comunità italiana, fu  presente in Egitto fin dal 1914 con parecchie sezioni del GEI  sia al Cairo che ad Alessandria e Porto Said.

Sei emigrato con la tua famiglia in Egitto o sei nato là, nella terra dei Faraoni?

La maggior parte dei nostri compatrioti in terra egiziana negli anni ’50 erano figli di emigrati, e non di una sola generazione. Alcuni, come Ruggero Manzella, lo erano da tre. Personalmente, sono un “emigrato dell’ultima ora” tenuto conto che i miei genitori si sono trasferiti in Egitto negli anni ’30 e la famiglia si è ricongiunta al Cairo all’inizio degli anni ’50.

 

Ruggero Manzella

Che ricordi hai di quel Paese, quale clima sociale si viveva ai tuoi tempi?

L’Egitto era stato soggetto da secoli a influenze esterne, che tuttavia non avevano impedito il consolidamento di un forte sentimento nazionalistico. Nella prima metà del secolo scorso, c’era l’amministrazione britannica, che condizionava le scelte politiche, nonché una forte presenza europea che influenzava il clima sociale. Non mancavano le tensioni interne, l’opposizione nei confronti del Re, prima Fuad e poi Faruk, che portarono alla rivoluzione del ’52.

Come spieghi la forte presenza degli Italiani in quella terra, vi furono motivazioni industriali, commerciali, politiche, vi erano forse intenti da parte italiana di colonizzare l’Egitto?

Gli Italiani emigrati in Egitto erano di due categorie. La prima, in cerca di lavoro, date le precarie condizioni economiche della Penisola all’Unità d’Italia. La seconda, era costituita da perseguitati politici, in particolare Massoni, inseguiti dalle Guardie Papaline – come il bisnonno di Ruggero – e un gran numero di Repubblicani, inseguiti questa volta dalle Guardie Regie. Vi erano poi i nostalgici dell’”ancien régime” che mal si adattavano alle nuove istituzioni. Non si ha notizia di alcuna volontà di colonizzazione da parte italiana, anche perché le potenze europee, e in particolare l’Inghilterra, non l’avrebbero mai permessa.

Parliamo di scautismo. Come nacque e da chi e dove era rappresentato lo scautismo italiano?

 

 

L'associazione maschile operò sotto la sigla A.S.C.I. (Associazione Scout Cattolici Italiani) ed ebbe come fondatori alcuni sacerdoti salesiani quali Don Odello, Don Russo, Don Germano, ecc., mentre la parte femminile A.G.I. (Associazione Guide Italiane) fece capo alla Signora Borsa presso le scuole governative italiane di Bulacco (la famiglia Borsa era nota per l'importazione in Egitto del digestivo Fernet-Branca e Ferro-China Bisleri).

Roberto Ruberti

Anche altre comunità straniere non furono da meno di quell'italiana, con numerosi partecipanti quali Greci, Armeni, Francesi, ecc., operanti presso i vari collegi di Frères, quali il gruppo di Wadi El Nil. Lo scautismo italiano in Egitto nacque in “oratorio” e cioè in un Istituto Ecclesiastico (i Salesiani) di Don Bosco al Cairo, ma poi si diffuse anche in altre città dove vi era una comunità italiana, quali Alessandria e Porto Said. Gli scouts appartenevano a tutte le classi sociali, non vi era alcuna differenza, ed ognuno contribuiva con una retta uguale per tutti.  Poi vi erano le donazioni e le contribuzioni elargite all’Istituto Salesiano, che provvedeva a destinarne una parte alla gestione dei Reparti.

Quali attività scout particolari e di rilievo hai nei tuoi ricordi?

 

 

 

L'Egitto, per la sua posizione geografica, climatica, storica e culturale ha rappresentato un terreno ideale per l'espletamento delle attività scautistiche. Durante le vacanze estive si era consolidata, invece, la consuetudine di effettuare lunghi viaggi all'estero a prezzi molto contenuti e, quindi, alla portata di molti giovani meno abbienti, ciò grazie anche al ricavato proveniente da feste di beneficenza, "kermesse", manifestazioni pionieristiche quali costruzioni di ponti con legno e corda, preparazione di pasti su cucina a legna, fuochi di bivacco con canti e scenette d'animazione. Un valido contributo al successo dei viaggi all'estero fu la stampa e vendita di un calendario annuale sponsorizzato da varie ditte italo-egiziane, quali le Fonderie Buzzino, il Banco Italo-Egiziano, i Gelati Groppi, la FIAT, i Fratelli Gila per gli elettrodomestici, ecc. Tra i principali viaggi fuori dell'Egitto ricordiamo i seguenti:
-1950: viaggio in Italia in coincidenza con l'Anno Santo.
-1951: viaggio a Cipro sulle orme dell'Apostolo Paolo.
-1952: viaggio in Grecia in occasione del raduno internazionale (JAMBOREE) che avviene ogni quattro anni.
-1953: viaggio in Libano con visita ai famosi cedri usati dagli antichi Egizi per la costruzione delle loro navi, alle rovine romane di Baalbeck, ecc.
-1954: viaggio in Italia per il gran raduno nazionale a Valfondillo nel Parco Nazionale d'Abruzzo tra la cittadina d'Opi e Villetta Barrea e proseguimento via Milano a Genova e, poi, in pellegrinaggio alla cittadina di Lourdes in Francia. Tale pellegrinaggio era stato organizzato da Kelly, leader delle AR, per sciogliere il voto da lui espresso nel 1936 alla Madonna di Lourdes sulla rinascita dell'ASCI: oltre 300 scouts di tutt'Italia parteciparono all'evento
.

Nelle vostre unità vi era la presenza di ragazzi egiziani o di altri paesi? L’ente promotore dello scautismo era la parrocchia o un Istituto religioso? La figura di Don Odello che valore aggiunto ha dato allo scautismo italiano in Egitto?

I nostri reparti erano formati per la maggior parte  da ragazzi che frequentavano l’Istituto o altre scuole italiane, quindi di nazionalità italiana. Va tenuto presente che, in quel periodo, ciascuna comunità aveva le proprie scuole e le proprie associazioni, comprese quelle scautistiche, e gli stessi egiziani frequentavano le loro. Don Odello era un Sacerdote Salesiano, insegnava storia al Liceo dell’Istituto e  promosse la rinascita dello scautismo italiano alla fine della guerra, organizzandone le basi e lo sviluppo, coadiuvato, con lo stesso impegno, da un altro Sacerdote Salesiano, Don Russo.

Sentivate che lo scautismo che attuavate era uno scautismo di frontiera, intendendo per frontiera un diversa civiltà, cultura e tradizioni, nonché di rapporti con la società egiziana con cui confrontarsi e relazionarsi?

Nessuno di noi si è mai posto il problema in questi termini.  Non ci sentivamo in un paese alieno, anzi, pur nella diversità di lingue e di culture, non c’erano differenziazioni evidenti negli stili di vita  delle altre comunità, né nei rapporti con i locali. Ci sentivamo italiani per formazione, tradizioni e tutto ciò ci distingueva, ma niente di più.

Bruno Spadavecchia

C’era un reciproco rispetto nei confronti di tutti, locali e non, che consentiva una convivenza serena. Ci confrontavamo alla pari, frequentando  gli stessi cinema, ristoranti e locali pubblici.

Si potrebbe affermare che il vostro scautismo dell’epoca era un po’ militarista, in altre parole avente scopi paramilitari anche come formazione del carattere e fisica?

Assolutamente no. Anche a  noi, lo scautismo è stato insegnato secondo i principi e le regole dati da Baden Powell, certamente anche con lo scopo di formare il carattere e di allenare il fisico, ma senza alcuna  aggressività, che è la principale caratteristica dell’educazione paramilitare.

Come giustifichi la presenza degli scouts italiani alle celebrazioni in memoria  dei caduti a El Alamein? Ci puoi raccontare che tipo di esperienza è stata?

La nostra presenza è stata guidata soltanto dalla “pietas” nei confronti di poveri caduti, sepolti in tombe abbandonate al degrado del tempo e all’inclemenza del deserto. Abbiamo voluto dar loro una piccola prova che non erano stati dimenticati, che il loro sacrificio aveva fatto onore a tutti. Eravamo, infatti, sul posto per ripristinare alla meglio il cimitero prima delle celebrazioni, durante eravamo un picchetto d’onore in assenza di una rappresentanza Militare Italiana.

                             

Tu hai avuto sentore di rapporti tesi tra ASCI e CNGEI sulla rappresentanza del vero scautismo italiano in Egitto?

Nessuno di noi si era posto troppe domande all’epoca. Ci giungevano soltanto vaghi echi, e attribuivamo le scaramucce più a contrasti tra le strutture religiose e quelle laiche che a diverse motivazioni. C’è stato un periodo in cui vi è stata anche collaborazione e scambi molto fraterni tra noi e i Capi del CNGEI, tanto da far supporre che le scaramucce erano state superate e di poca importanza.

[torna]