LO SCAUTISMO ANTEGUERRA A SEGUITO DELLE COLONIE
Il periodo storico considerato ha visto nel
nostro Paese una serie di cambiamenti politici e geografici
radicali, di cui va senz’altro tenuto conto: nel 1910 il Regno
d’Italia ancora non comprendeva il Trentino e la Venezia Giulia, ma
allo stesso tempo con la Guerra Italo-Turca del 1911 e l’inizio
dell’esperienza coloniale, entrarono a far parte del territorio
italiano anche Tripolitania, Cirenaica (cioè più o meno l’attuale
Libia) e altre zone dell’arcipelago greco. SCAUTISMO ESTERO O COLONIALE?
Fin dagli esordi delle esperienze estere ci si
pose il problema di una corretta definizione delle realtà d’oltreconfine:
nei primi documenti del CNGEI che riguardano le sezioni egiziane, si
parla di “Scautismo Coloniale”; questa dizione risulta a prima vista
impropria in quanto l’Egitto non fu mai una colonia italiana. Il
termine “colonia” tuttavia si riferiva - nel linguaggio quotidiano
del tempo - a tutte le comunità estere di Italiani; esso venne
peraltro quasi immediatamente corretto: nel Regolamento del Corpo
del 1924 si distinguono infatti le Sezioni Coloniali da quelle
Estere. Le prime sono diretta emanazione della Sede Centrale
Nazionale nelle cosiddette terre italiane d’oltreconfine, le
seconde, alle quali possono iscriversi solo cittadini italiani, nei
paesi stranieri in cui vi fosse la presenza di forti comunità
italiane. MOTIVAZIONI POLITICHE O PEDAGOCICHE? Possiamo ritenere pertanto - alla luce della situazione descritta - che l’espansione del Corpo Nazionale all’estero rispondesse ad una precisa scelta politica del fondatore Carlo Colombo fin dal suo inizio. Questa caratteristica di propagazione e tutela dell’italianità, che diventa nella pratica una precisa connotazione anche pedagogica, rimane in un certo senso nel DNA dell’istituzione, a volte sfociando anche in un atteggiamento esclusivista che in modo più o meno velato si andò contrapponendo all’esistenza di altre realtà scout nazionali, e segnatamente dell’ASCI. Lo Scautismo italiano all’estero, rileviamo infine, risentì in larga parte del fenomeno dell’abbandono dell’attività da parte dei ragazzi che raggiungevano l’età degli studi universitari: numerosi sono gli appunti e le testimonianze raccolte che segnalano la difficoltà di portare avanti l’attività per la mancanza di Capi o comunque di adulti che vi si impegnassero attivamente; in molti casi infatti lo sbocco naturale degli studi superiori (italiani) in terra straniera era l’Università in Italia, con il conseguente abbandono del gruppo intorno ai 18-20 anni. Faceva spesso da contrappeso la presenza dei religiosi, che in molti casi si impegnavano in prima persona non solo come assistenti ma come e veri e propri Capi per le Unità; ma questa situazione contribuì sicuramente all’assottigliamento dei numeri delle Unità operanti all’estero con il passare del tempo, fino alla loro completa scomparsa. SCAUTISMO CLANDESTINO ALL’ESTERO? Si hanno poche ma significative informazioni su alcune forme di scautismo italiano all’estero negli anni del divieto fascista. Un primo caso, che in verità non può considerarsi veramente clandestino, è quello della Sezione di Tunisi, come vedremo, per la quale l’ambasciatore italiano ottenne da Mussolini in persona la facoltà di continuare ad operare, non essendo possibile l’organizzazione dell’ONB in territorio francese. LA PRESENZA DEL GUIDISMO ITALIANO ALL’ESTERO A far da contraltare alla presenza maschile oltremare, ci fu – sebbene in misura estremamente inferiore – anche la presenza femminile, prima dell’UNGEI/ UNGVI e poi dell’AGI Poco o nulla sappiamo della Sezione del Cairo e su quella di Alessandria d’Egitto dell’UNGEI, poi UNGVI, se non che esistettero negli anni ’20. Simile discorso per il Ceppo AGI di Montreal, in Canada. Di più possiamo dire – e ne daremo conto nel libro – dei Ceppi AGI di Mogadiscio e del Cairo, operanti in modo piuttosto organico negli anni cinquanta e sessanta. Parlare di Guidismo, e cioè di movimento femminile, in paesi prevalentemente islamici e a quel tempo piuttosto arretrati socialmente ci induce a riflettere naturalmente sugli aspetti pedagogici di tali esperienze. Le ragazze italiane in Somalia, in Egitto o altrove sicuramente non godevano della stessa libertà d’azione dei loro omologhi maschi, né potevano rapportarsi con la società locale senza incontrare ostacoli culturali importanti. Ecco allora che la presenza di una proposta educativa al femminile serviva a dare maggior consapevolezza alle ragazze italiane della loro cultura d’origine, e creava per loro uno spazio di crescita individuale differente da quello delle loro coetanee indigene. CONCLUSIONI Se possiamo stimare in almeno 500 i ragazzi coinvolti nelle esperienze estere del CNGEI del dopo prima guerra mondiale, e in numero simile per quanto riguarda l'ASCI degli anni cinquanta e sessanta, risulta evidente che le cifre coinvolte non sono trascurabili, neppure in termini percentuali se riferite al numero complessivo dei censiti elle associazioni in Patria (l'ASCI contava negli stessi ani complessivamente meno di ventimila iscritti, ed il CNGEI dei periodo prescioglimento probabilmente non arrivò a diecimila membri).Negli anni ’40, ’50, ‘60 in Italia lo Scautismo cattolico per la parte maschile si chiama A.S.C.I., Associazione Scautistica Cattolica Italiana, e per la parte femminile A.G.I., Associazione Guide Italiane, mentre lo scautismo aconfessionale per la parte maschile è C.N.G.E.I., Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani, e per quella femminile U.N.G.E.I., Unione Nazionale Giovani Esploratrici Italiane. |