| OMELIA SUL SERVIZIO - 
	DON LINO CUSINATO 
	Treviso, Monastero della Visitazione, 17/02/2011 
	 
	XXIV° della morte di Anna Maria Feder Piazza 
	 
	Tema: “Ringraziamo 
	il Signore che ci ha fatto capire che solo il servo è libero e padrone di 
	dare la 
	gioia e di creare in ogni essere la sorgente della gioia” (A.M. Feder 
	Piazza). 
	 
	1 - Il Signore ci ha fatto capire 
	2 - Il Servo: servizio educativo 
	3 - Libero e padrone: capace, abilitato 
	4 - Dare gioia 
	5 - Creare negli altri la sorgente della gioia. 
	 
	Ringraziamento per tutto questo, poiché noi siamo radunati per ringraziare 
	Dio – tale è la S. Messa: ringraziamento – vogliamo approfondire i motivi 
	che Anna ci ha indicati. In lei questa consapevolezza era forte. Vogliamo 
	che siano anche in noi, eredi della sua spiritualità. 
	 
	1 - Il dono di Dio. 
	“Il Signore ci fa capire” - Chi ha fede sa che il bene viene da Dio, il 
	quale opera in noi attraverso lo Spirito che ci è stato dato. L’iniziativa è 
	sempre di Dio. Noi la chiamiamo “Grazia”, perché ci è data gratuitamente, 
	non per i nostri meriti, ma per la ricchezza del suo amore. 
	La grazia di Dio agisce non solo sulla nostra volontà affinché noi compiamo 
	il bene, ma prima ancora sulla nostra intelligenza, affinché noi conosciamo 
	lui, “di gloria in gloria”, e il Figlio che ci ha dato, il Signore nostro 
	Gesù Cristo: è questo il bene. 
	La sapienza, l’intelletto, il consiglio, la scienza sono potenze dello 
	Spirito che sono state seminate nel nostro spirito, affinché noi possiamo 
	capire le cose dello Spirito. 
	 
	2 - Il Servizio. 
	“Chi si fa servo” – Gesù lo ha detto di sé: “non sono venuto per essere 
	servito, ma per servire e dare la vita in riscatto dei molti”. “Sono in 
	mezzo a voi come colui che serve”. “Se io, Signore e Maestro, ho lavato i 
	piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. “Chi vuol 
	essere primo, si faccia ultimo e servo di tutti”. 
	Anna faceva riferimento al servizio educativo che ella aveva esercitato 
	nella scuola e soprattutto nello scoutismo che fu la sua grande passione 
	educativa. 
	L’educazione come servizio ha dimensioni spirituali che solo il credente può 
	comprendere nelle loro infinite potenzialità. Sono quelle dell’amore-carità, 
	l’amore dono di sé. 
	“Occorre che io diminuisca e che lui cresca”. 
	“Chi viene dopo di me è più grande di me, perché era prima di me”. 
	Il ragazzo, il giovane, che io sono chiamato a servire educandolo, è prima 
	di me perché era nella mente e nel cuore di Dio fin dall’eternità, è già 
	voluto, conosciuto, amato da Dio prima di me, prima che io lo incontri e 
	stabilisca con lui un rapporto educativo. Perciò è più grande di me. E deve 
	crescere secondo il disegno di Dio che io non conosco pienamente. Perché il 
	mio rapporto è provvisorio, non essenziale se non nell’amore. E se la sua 
	vita giovanile sarà sempre nella mia vita di educatore, perché io lo amo, 
	tuttavia io educatore non sarò sempre nella sua vita, perché egli deve 
	andare per la sua strada, realizzare la sua vita secondo il disegno di Dio, 
	mentre io devo restare indietro. “Quando avrete fatto tutto quello che 
	dovevate fare, dite: siamo soltanto servi”. 
	Le dinamiche educative sono le dinamiche dell’amore, che noi abbiamo appreso 
	dal Signore Gesù. 
	Questo ci ricordano anche i nostri Vescovi, chiedendo alle nostre chiese, 
	quindi a noi, per il decen-nio che ci sta davanti, di impegnarci sulla 
	“emergenza educativa”, che è umana e di fede insieme, cioè “educazione 
	integrale”, come lo scoutismo cristiano si propone fin dalla sua fondazione. 
	Abbiamo già raccolto il loro invito a “educare alla vita buona del Vangelo” 
	che è la strada della “nuova umanità” in Cristo Gesù, Figlio di Dio fattosi 
	figlio dell’uomo. 
	Abbiamo ricevuto da lui “grazia su grazia” perché sappiamo amare come lui ci 
	ha amati: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per gli 
	amici". "Voi siete miei amici, se fate quello che vi comando”, “di amarvi 
	come io vi ho amati”. 
	L’educazione come servizio d’amore ci libera da ogni forma di potere e dallo 
	spirito del mondo. 
	 
	3 - Le abilità del servo. 
	Dice l’Anna: “il servo-educatore vero è colui che si è liberato da tutte le 
	schiavitù mondane della carne, dalle cose materiali, dalla superbia e dal 
	dominio sugli altri”. 
	L’educatore non è mai un uomo arrivato. Le sue abilità non gli sono date da 
	un diploma, la sua competenza non gli viene nemmeno dalla sua esperienza, 
	perché deve continuamente educare se stesso a farsi educatore-servo, in un 
	continuo lavoro di auto-umanizzazione secondo lo Spirito. Sempre deve 
	liberarsi da tutto ciò che è male, perché mai siamo immuni da esso: “non ci 
	indurre in tentazione, ma liberaci dal male”. Sempre deve diventare padrone 
	di sé, facendo verità su se stesso e allenandosi all’acquisizione delle 
	virtù. 
	“Signore, tu mi scruti e mi conosci, …  
	scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, 
	provami e conosci i miei pensieri: 
	vedi se percorro una via di menzogna 
	e guidami sulla via della vita” (Salmo 139). 
	L’educatore-servo cammina insieme al giovane educando suo padrone, come Gesù 
	in cammino verso Emmaus con i suoi due discepoli, come Gesù che camminava 
	verso Gerusalemme: lui scopriva progressivamente la volontà del Padre che lo 
	portava alla croce, ed insegnava ai suoi a seguirlo portando la croce con 
	lui. 
	Se l’educatore-servo si ritiene dispensato, anche per poco, dal tendere con 
	tutte le forze alla santità della vita, sarà cattivo educatore, perché 
	tiranno, non servo; perché lui non prende in mano la propria vita, per 
	possederla nella virtù. 
	Ognuno può dare solo quello che possiede. Se non possiedi la tua vita, come 
	potrai donarla? 
	 
	4 - Dare la gioia: “capaci di dare la gioia”. 
	Nella mente e nel cuore di Anna non si tratta solo di impostare l’educazione 
	in quella gioiosità che è tipica dello scoutismo che nel gioco, 
	nell’avventura imposta i valori fondamentali della persona e delle relazioni 
	tra persone. E’ già questa una grande conquista dell’educazione moderna, che 
	ha tanti e diversi pionieri, abbandonando la rigidità di una pedagogia 
	precettistica; conquista che Anna aveva fatto sua e praticata con 
	convinzione, competenza psicologica e abilità didattica.  
	Educare alla gioia è educare al positivo, così che la verità sia una 
	scoperta affascinante e il bene una esperienza che fa gustare la pienezza di 
	vita.  
	“vi dò la mia gioia, affinché la vostra gioia sia piena”. - Dà gioia la 
	scoperta progressiva di se stessi, delle proprie potenzialità. 
	- Dà gioia sentirsi persone amate, frutto di un amore che dà la vita. 
	- Dà gioia la relazione con l’altro, con gli altri, che arricchiscono con le 
	loro diversità. Così ogni singola nota diventa sinfonia  
	- Dà gioia la scoperta degli esseri che compongono la natura, il creato che 
	è gloria di Dio e che Dio ha  
	affidato alla signoria dell’uomo. - Dà gioia la conoscenza della storia 
	dell’umanità. 
	- La scoperta suscita meraviglia, come di luci che si accendono. La gioia è 
	insieme nell’attesa e 
	nell’incontro con quanto di sconosciuto che si mostra. Conoscerlo è 
	accoglierlo: questo arricchisce.  
	La gioia è la vita stessa, l’amore stesso, che si dona a noi, e noi ne siamo 
	coinvolti. - Conoscere la verità e il bene, la vita e l’amore: questo fa 
	crescere la persona in positivo, nella armonia  
	delle sue potenzialità. 
	Non che questo processo non abbia il suo gemere, ma sono “doglie del parto”. 
	L’educazione alla gioia non avviene in serra, ovattata, tenuta fuori dalle 
	asprezze della realtà. Anzi, è fatica, perché è conquista della realtà, la 
	quale ha luci ed ombre, il bene e il male. 
	Conquistare significa scegliere, e guadagnare con fatica. 
	Lo scoutismo ha educato sempre alla fatica della conquista, alla durezza del 
	perseverare, alla sofferenza per ciò che non si conosce, se non “tentando e 
	ritentando”. 
	“Tu canta e cammina. Cammina cantando l’alleluia incontro al Signore che 
	viene” scrive Sant Agostino in un suo sermone: “Cantiamo da viandanti. 
	Canta, ma cammina”.  
	 
	5 - Crea negli altri la sorgente della gioia. 
	E’ questo il punto più alto dell’insegnamento dell’Anna. 
	La gioia non sia cioè soltanto un dono che facciamo “a chi ci sta intorno”, 
	ai ragazzi e ai giovani che siamo chiamati ad educare. Non basta generarli 
	alla gioia della vita e dell’amore, con la gioia dell’amore. Chi educa con 
	spirito di servizio, deve operare in modo che i ragazzi e i giovani 
	diventino essi stessi fecondi di vita e di amore: in essi zampilli “la 
	sorgente della gioia”. 
	Non siamo noi la loro sorgente. La sorgente dev’essere in loro.  
	Loro stessi sorgente, per sé e per gli altri. 
	Qui si aprirebbe anche il capitolo sull’autoeducazione ed eteroeducazione, 
	che non vogliamo affrontare in questo momento di rendimento di grazie. Solo 
	ricordiamo il Salmo: “Non a noi Signore, non a noi, ma al tuo nome dà 
	gloria”. 
	Sappiamo che le forme di “dipendenza educativa”, che è anche psicologica e 
	affettiva, sono tante. 
	Solo educando persone libere, responsabili, mature affettivamente, 
	culturalmente, socialmente e spiritualmente, noi contribuiamo affinché 
	trovino in se stesse la sorgente della gioia, dell’amore e quindi siano 
	capaci anche di donarla agli altri. Perché loro stessi fecondi. 
	Penso in particolare alla “maturità di fede”: vuol dire che essi si 
	incontrano con Gesù Cristo (“vieni e vedi”), si innamorano di lui, 
	abbracciano il suo Vangelo quale regola di vita, e con la vita lo 
	testimoniano. 
	“Solo gli innamorati di Gesù trasformano il mondo”. Noi possiamo solo farli 
	incontrare. Se si incontrano, non solo il nostro compito è finito, ma a noi 
	è dato di poter gioire della loro gioia, come gli “amici dello sposo”. 
	 
	Con questa più illuminata consapevolezza, di cui siamo riconoscenti 
	all’Anna, sorella spirituale, guida che illumina e trascina, riprendiamo la 
	preghiera di Ringraziamento a Dio, che facciamo con Gesù Cristo Signore, che 
	perpetua il dono della sua vita nel sacramento del pane e del vino, dopo 
	averci donato la sua Parola.  |