Lo scautismo trevigiano, o meglio quella
parte di scautismo trevigiano che non aderì mai all’AGESCI e che, poi nel
tempo, confluì nell’associazione italiana degli Scout d’Europa, viveva una
sua storia fatta di tradizioni, di competenza e serietà educativa, di
rapporti eccellenti con il clero locale e con i genitori dei ragazzi, di
successi morali e numerici.
Lo scautismo trevigiano, sia alla vigilia della
soppressione dell’AGI e dell’ASCI sia dopo la nascita dell’AGESCI, aveva uno
sviluppo eccezionale ed era fatto oggetto di continue richieste di apertura
di nuove unità. Questo scautismo era composto dal Ceppo Treviso 1° (AGI) e
dal Gruppo Treviso 2° (ASCI) e alla data in cui mancarono per soppressione
le due associazioni, femminile e maschile, nel maggio 1974, numericamente
contava per il Ceppo 10 unità (4 Cerchi – 5 Reparti – 1 Fuoco) e 250 censiti
e per il Gruppo 15 unità (4 Branchi – 8 Riparti – 2 Clans + 1 nascente)
operanti in 6 parrocchie per un totale di oltre 350 censiti.
Questi dati parziali danno la
consistenza, ma dietro a questa era viva e vegeta la forza, la voglia e la
compattezza di operare bene nel solco tracciato ormai da decenni di ottimo
lavoro in comunione con chi, del guidismo e dello scautismo trevigiano, ne è
stata la fondatrice, Anna Maria Feder, ovvero con suo marito, Francesco
Piazza, che col fratello Gino, i fratelli Enzo e Paolo De Mattè, Giorgio
Pizzinato, Mario Diluviani ed altri, fecero rinascere, dopo la guerra, a
nuova vita l’ASCI – Associazione Scout Cattolica Italiana. Viste le
citazioni dei Capi è doveroso ricordare quei sacerdoti, che con passione ed
intelligenza, condivisero gli sforzi iniziali di (ri)comporre le
associazioni, per il guidismo don Arduino Faccin e don Antonio Saccon, per
gli scouts don Angelo Martini e don Ugo de Lucchi e, di seguito, mons.
Giovanni Bordin.
La
situazione a Treviso, prima dell’imminenza della fusione AGI-ASCI,
era vissuta come un’area felice anche se una parte dello scautismo cittadino
e provinciale confluì nell’AGESCI. La lettura che noi facemmo
dell’avvenimento della fusione fu semplice e naturale: vi fu il sopravvento,
non la maggioranza, di una parte politicamente preparata a strumentalizzare
tutta l’ASCI e tutta l’AGI a scopi politici se non partitici, segnatamente a
favore di formazioni di sinistra. L’analisi di questa parte, chiamiamola
vincente, era precisa nel rilevare i cambiamenti della realtà sociale ed
ambientale ai quali dare risposte adatte ai tempi e funzionali allo scopo
politico assunto. La forma e il metodo divennero, perciò, tentativi
sperimentali da far vivere in una pedagogia di continuo cambiamento e di
poche certezze. Le cose col tempo cambiarono in meglio, anche per autorevoli
interventi esterni.
Noi, che avevamo ben presente l’oggetto
del servizio educativo nel quale eravamo impegnati, le ragazze e i ragazzi,
facemmo la scelta contraria all’adesione perché costringeva Capi e ragazzi a
subire un ambiente politicizzato; per noi la politica resta una scelta
personale ed individuale, poi, in coscienza, ciascuno
potrà aderire a gruppi politici e partiti, in piena libertà e democrazia.
Ci sembra che tale modo di educare sia
rispettoso delle libertà individuali e personali che, nel tempo, possono
permettere scelte autonome, scelte invece che le scuole notevolmente
indirizzate ad una precisa opzione politica di parte e che hanno ben in
mente il tipo di prodotto finale cui tendere non permette.
Come Capi ci siamo ispirati ai valori
immutabili del cristianesimo e dell’umanesimo occidentale, proponendoli ai
ragazzi attraverso il metodo scout ideato da Baden-Powell. A tanti anni di
distanza dagli avvenimenti, dopo severe critiche e reprimende, dopo tanta
strada fatta, a onor del vero da tutti i componenti dello scautismo
italiano, ci sembra che quella scelta, confluita come vedremo negli Scouts
d’Europa, non sia stata infondata e non abbia avuto le sue ragioni.
I risultati, non solo i numeri, stanno a
parlare.
Pur attuando uno scautismo che potevamo
definire tradizionale, dalle nostre unità non uscivano persone incapaci di
affrontare la realtà sociale ed ambientale, erano, oltretutto, anche molto
ben inseriti a livello di coetanei, né da costoro erano percepiti come
persone arretrate rispetto ai tempi, ovvero, isolate dal resto degli amici
non scouts.
I nostri Rovers e le nostre Scolte e
coloro che già erano Capi frequentavano normalmente gli infuocati ambienti
universitari del tempo, notoriamente sensibili alle novità, ma tutto questo
non ha mai comportato traumi pedagogici per nessuno di loro.
Con queste certezze, con questa pedagogia
testata “sul campo”, il Gruppo ed il Ceppo si trovarono, caso forse unico in
Italia, su posizioni totalmente avverse al comune sentire nei confronti
delle teorie sulla coeducazione che da tempo erano emerse sia in AGI che in
ASCI.
I nostri gruppi erano due entità forti,
una femminile e l’altra maschile, attuavano di già un metodo che prevedeva
la collaborazione pedagogica tra Capi e la realizzazione di attività in
comune tra ragazzi e ragazze, e non eludevano il problema del sesso e le sue
grandi e varie implicazioni educative.
La visione dell’uomo
e della donna, secondo quell’esperienza, ancora adesso attuata, è della
diversità e dell’unicità della persona.
Soluzioni educative per le ragazze
potevano non andar bene se pensate per i maschi e viceversa, d’altronde, in
una Unità mista, questo problema si presenta costantemente.
Quale migliore effetto educativo e quale
apporto alla costruzione della personalità di lei e di lui abbia portato la
coeducazione non è dato sapere né misurare, certo è che la pedagogia
moderna, 30 anni dopo il 1974, non privilegia la coeducazione bensì
l’educazione parallela.
A sostegno di quanto detto vi è stato il
progetto lanciato dall’AGESCI nel 1992 intitolato “Educare all’unità
attraverso la diversità” e, nel 1993, dopo ulteriori riflessioni circa il
concetto della coeducazione, si comincia a parlare della “pedagogia della
differenza” che trova riscontro anche nella scuola, dove emergono i
differenti valori maschili e femminili.
L’AGESCI, ancora, sulla questione
maschile, nell’età tra gli 11 e i 16 anni, approfondisce la riflessione
sulle soluzioni non soddisfacenti vissute nei reparti misti.
Possiamo dire ora che avevamo ragione?
Non ci interessa sottolinearlo né sbandierarlo, vogliamo certamente dire che
la nostra è stata una scelta sofferta! Provate solo ad immaginare trovarsi
nel vuoto di struttura organizzativa che in qualche modo è anche protettiva,
ma di più, pensate ad escludervi volontariamente dalla fraternità, proprio
per tali rinunce è stata una scelta coraggiosa ed importante, presa con
coscienza e grande travaglio.
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Francesco (Checco) Piazza. La prima cosa
che mi viene da scrivere di Checco per far capire a tutti di che
uomo stiamo parlando è “intellettuale”, lui per me è un
intellettuale di raffinato pregio, di affascinante cultura, di
vulcaniche idee, di fantasiose proposte, di arguta ironia, di
bonaria capacità coinvolgente. E’ un uomo questo? Sì è un grande
uomo libero e Capo naturale, un uomo cosciente e per questo Capo
naturale. Le sue doti non finiscono con quello che ho enunciato, ma
mi fermo anche per non parlare dei suoi dolci e accettabili difetti
che in molti casi, con spiritosa intelligenza, lui, sa cambiare in
piccole virtù.
Senza nulla togliere agli altri Capi storici
trevigiani, che comunque hanno formato un insieme unico di capacità
di servizio e metodologiche, per me, Checco, è stata la vera
incarnazione del Capo, inimitabile per tantissimi versi e imitabile
per la dedizione e il servizio.
Da Asolo scende a Treviso nel ’52 ed è Capo nel
riparto di S. Maria del Rovere, l’anno successivo fonda il Branco
“Fiore Rosso” e nel ’55 riprende il riparto fino al ’67, è Capo per
16 anni! Dal suo riparto si è sviluppato quello che è stato il
gruppo Treviso 2° che per altri 10 anni ha condotto lungo scelte
audaci e in contrapposizione con il comune sentire sociale, contro
la superficiale accettazione di cambiamenti pedagogici che non
centravano il cuore del problema educare. Il centro dell’azione di
Checco era l’uomo, quell’uomo libero di cui ho detto, capace di
scelte coscienti ed autonome, non fagocitato da strutture o, peggio,
da falsi ideologismi. La strada da percorrere è quella di Cristo,
del Cristo che serve e che ama ognuno di noi, singolarmente.
Anna Maria Feder. Mi sono
interrogato e mi interrogo
su che tipo di donna sia stata Anna per
il suo tempo. Già da fine anni ’50, le sue intuizioni e le sue
libertà non avevano riscontro nella società; Lei (si) era già
redenta dagli stereotipi della donna di casa, angelo del focolare,
madre di famiglia, era già persona con tutte le dignità e le libertà
che, ancora oggi, poche donne hanno o vogliono avere, forse per
comodità di ruoli. Anna non era scomoda agli e per altri; era
accolta come lei sapeva fare l’accoglienza, casa sua, infatti, era
aperta a tutti, le espressioni del volto erano di piacevolezza
nell’incontro e facevano intuire apertura di cuore. La dolcezza
degli occhi, la luminosità del volto e il sorriso aperto di un amico
che ti accoglie, erano i tratti che avvicinavano all’affetto
intellettuale e spirituale. Anche nel primo incontro, quindi,
nasceva l’amicizia, libera, gratuita, da lei non cercata, ma
desiderata dal nuovo incontrato.
Come Capo ha avuto una “carriera”
invidiabile, a 13 anni fa la sua promessa di Guida a Foligno, l’anno
dopo a Treviso fonda le guide ed è subito Capo Squadriglia. Svolge
servizio di Capo riparto per 12 (!) anni, poi di incaricata di
Branca del Veneto e membro della pattuglia di branca guide, fino a
divenire Commissaria Centrale della Branca Guide.
Dopo aver guidato la Branca per
due intensi e difficili anni, con amore e dedizione, nella ricerca
sul tema della realtà sociale della gioventù italiana e della
validità del metodo scout applicato al mondo femminile (guide), si
ritira dal servizio attivo e si considera a disposizione del Ceppo
TV 1°, facendone parte ufficialmente giacché censita.
Quale sia stato il suo pensiero
di ricerca metodologica sullo scautismo, quali le sue analisi sulle
situazioni reali nelle quali intervenire educativamente, quale sia
stata la sua profonda Fede e la sua conoscenza delle Sacre Scritture
è facilmente individuabile con la lettura dei suoi scritti ed
interventi nei giornali associativi dell’AGI, conservati in copia
presso la sede della Fondazione che porta il suo nome.
CENTRO
STUDI E DOCUMENTAZIONE SCOUT "DON UGO DE LUCCHI"
GRUPPI E CEPPI SCOUTS CATTOLICI –
TREVISO
Storia di un’esperienza d’autonomia totale (sez.1)
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