Archivio - Stella in Alto Mare
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Guy De La Rigaudie  Stella in alto mare

Traduzione di don Tarcisio Beltrame
Titolo originale: ETOILE AU GRAND LARGE
Unica traduzione italiana autorizzata
Tutti i diritti riservati

Nihil obstat
D. Carolus De Vincentiis O.S.B.
Censor delegatus

Vic. gen. Can. Joannes Barili Imprimatur
Parmae, die XXIII - V - 1951

Per voi, guide e Scout d'Italia, la traduzione di 
queste pagine così luminose, schiette, gioiose 
e - soprattutto - orientative.
(firma) Don Tarcisio Beltrame


Guido de Larigaudie, il Rover leggendario che per primo collegò in auto la Francia con l'Indocina, cadde sul campo dell'onore, alla frontiera del Lussemburgo l'11 maggio 1940. Sulla sua salma fu trovata una lettera diretta a una Carmelitana, in cui scriveva: 

Reverenda Suora, 

eccomi ormai nella mischia. Può darsi che non ritorni. 
Avevo dei bei sogni e dei bei progetti, ma se non fosse per la pena immensa che ciò arrecherà alla mia povera mamma e ai miei, esulterei di gioia. 
Sentivo tanto la nostalgia del Cielo, ed ecco che la porta sta ora per aprirsi. Il sacrificio della mia vita non rappresenta per me nemmeno un sacrificio, tanto è grande il mio desiderio del Cielo e del possesso di Dio. 
Avevo sognato di diventare un santo e d'essere un modello per i Lupetti, gli Scaut e i Rover. Forse tra un'ambizione troppo alta per la mia statura, ma era sempre il mio sogno. 
Mi trovo in una formazione di cavalleria, e sono felice che la mia ultima avventura sia a cavallo... 
In questa lettera lo ritroviamo tutto intero, col suo amore alla vita e la sua nostalgia del Cielo. 
Vi affondava avidamente i denti, lui, nella vita, come un fanciullo attratto da un frutto meraviglioso. Ma nel suo intimo non cessava di ascoltare un'altra melodia, una voce più seducente ancora: ed era quella di Dio. 
Gli Scaut cercano di unire tutto l'umano col Divino, d'impadronirsi del Creato con spirito di gratitudine, di offrire a Dio l'omaggio del loro corpo robusto e della loro gioia di agire. La loro vita spirituale vorrebbe trascinare, nella sua ascesa verso Dio, tutta intera la loro vita umana. 
Guido de Larigaudie realizzò in maniera perfetta questa difficile alleanza. Le sue ultime parole, che riassumono l'essenza della sua vita, lo confermano in pieno. 
La morte in cui si slancia, è il sigillo che darà alla sua opera letteraria un carattere di autenticità indiscutibilmente sacra, che si impone e suscita amore e rispetto. Vi ritroviamo proprio lui, pieno nello stesso tempo dell'anelito verso Dio e della gioia di vivere. 
Ha percorso la terra con un sentimento di meraviglia continuamente rinnovantesi. Pochi sono stati più di lui sensibili alla bellezza del mondo. 
In essa volle quasi immergersi. Ogni cosa fu per lui motivo di incanto e di elevazione a Dio, dall'umile fiore che eleva il suo canto silente, alla gloria luminosa dei cieli esplorati in aereo. 
E non si tratta, per lui, di un bisogno puramente estetico. La bellezza lo porta ad amare. Per meglio amare, poiché già ama, scopre lo specchio del mondo e lo contempla. Il suo amore per tutte le cose e per tutti gli esseri è pervaso da una tenerezza francescana. Apprezza il bene che riceve; la sua gratitudine è insieme volontà di dedizione. 
L'amore genera vita. Con questa sua vivezza d'amore si spiega come Guido riesca a far rivivere per noi così potentemente le sue luminose visioni dell'Oriente e a introdurci nell'intimità della sua vecchia dimora del Périgord. 
Quando parla della sua vecchia casa che ha tanto contribuito alla sua formazione, lo fa come di una amica di cui non si debba profanare il segreto mistero: 
La mia penna, fatta per raccontare storie, viaggi e avventure ai ragazzi, non era abbastanza possente per esprimere tutto quello che vi era da dire. Queste pagine non sono che un'umile testimonianza, ed io non ho preteso che questo canto del vecchio paese fosse qualche cosa di più di una semplice canzone. 
La modestia e la semplicità sarebbero la sua caratteristica, se non lo fossero ancor più la purezza e la gioia. 
Chi non l'ha visto ridere, non ha idea di quel che sia la santa libertà dei figli di Dio, o la trasparenza cristallina di un'anima prodigiosamente preservata. 
Quando scrive, lo la per partecipare agli altri, soprattutto ai giovani, la gioia della sua scoperta. Tutto quel che possiede, lo dona, e il suo stile, come lui stesso, è limpido: ogni cosa spira sincerità. 
Appassionato delle corse pericolose, delle danze, dei canti, non disprezza mai le attività anche più umili dell'uomo, ben sapendo che - in questo privilegiato della Creazione - tutto acquista un valore celeste: 
Un animale inseguito dai cacciatori compie uno sforzo più grande di quello che compiamo noi trascinando l'automobile sulla catena Birmana. Ma l'uomo solamente può dare un significato al suo sforzo. 
Un ragazzo di tredici anni che si alza al mattino un quarto d'ora più presto per fare la sua ginnastica davanti alla finestra aperta, compie uno sforzo di valore più grande che non sia quello dì una mandria di bufali lanciati alla carica. 
Il complesso degli sforzi umani verso il bello, il bene, il meglio, fa ascendere continuamente l'umanità come un movimento di onde che gonfia la massa dell'oceano. 
Conosce il valore dei più umili mestieri:
La nostra vita è una successione di piccoli gesti, ma che - divinizzati - modellano la nostra eternità. 
E ancora: 
E' ugualmente bello sbucciar delle patate per amore dei Signore, quanto costruir delle cattedrali. 
Il suo sguardo sul mondo, è pieno di benevolenza. Nessuno ha praticato meglio di lui la carità del sorriso, di cui ha saputo scrivere uno splendido elogio. 
Dietro ogni volto Guido intravede una vocazione eterna. La scomparsa di una celebre artista lo commuove; dietro alla sua truccatura ha cercato di intravedere, l'anima; e per la salvezza di quest'anima - pensa - chi mai, delle tante migliaia dei suoi ammiratori, saprà avere un ricordo di preghiera? 
A spingerlo nelle sue esplorazioni fino alle estremità della terra non è stata una semplice curiosità, ma come una specie di irresistibile fuoco interiore, una fame, un bisogno, una nostalgia. 
Attraverso il mondo creato cerca Dio e ne è consapevole. 
Per lui si preserva dal male. 
Per amor suo rinuncia a tutto quello che potrebbe allontanarlo dalla Purezza infinita: 
Bisogna avere il cuore pieno di Dio, come un fidanzato ha il cuore pieno della fanciulla che ama. 
Ma questo Dio nel cuore è un fuoco divoratore; la nostra vita è troppo angusta per contenerlo: 
Su un veliero, quando più nessuna terra è in vista, dall'alto dell'albero maestro uno può godersi da solo tutto il cerchie dell'orizzonte. 
Tuttavia vorrebbe spingere ancora più lontano quella linea, allargare quel confine che, nonostante tutto, ci imprigiona; poiché siamo fatti per lontananze ben più vaste delle intristite distese degli orizzonti terrestri... Il nostro desiderio di felicità è troppo smisurato perché possa mai appagarsi se non nell'aldilà. 
Guido è il commentario vivente di quelle parole di S. Paolo: "In questa vita noi sospiriamo, bramando ardentemente di penetrare in quella che è la nostra abitazione celeste," (II Cor. V, 2). 
Solamente la Casa di Dio sarà proporzionata al nostro bisogno di amare e di essere amati. Per arrivarci, però, occorrerà morire: 
Se il grano non muore... Poche parole sono più consolanti di queste, poiché ci ammettono e ci integrano nel cielo stesso del mondo, legittimando in tal modo la smisurata vastità dei nostri sogni. 
La morte, lo sa bene, non gli potrà far paura; è la porta che si dischiuderà amichevole sull'immensità di Dio. Sa per esperienza (poiché non meno di due volte, nel corso dei suoi viaggi, è stato sfiorato dalla morte) che niente potrà separarlo dalla amicizia di Dio. 
Il giorno in cui poco mancò si fracassasse la testa in un tuffo pericoloso, qualche cosa cambiò in lui: 
Compresi allora che non c'è che una cosa al mondo che conti veramente: l'amore di Dio. Un amore immenso, irragionato, un amore di fanciullo in adorazione davanti a sua madre, un amore totale che ci prenda interamente, in ogni istante della nostra vita. 
Questo amore infantile, questo meraviglioso amore, cancellerà più tardi tutte le nostre miserie e rimarrà solo e trionfante. 
Guido è così abituato alla presenza di Dio, che ha sempre, in fondo al cuore, qualche preghiera che gli sale alle labbra: 
Questa preghiera, appena cosciente, non cessa mai, nemmeno nel dormiveglia. 
In tal modo egli è sicuro che, qualunque possano essere le circostanze della sua morte, morirà amando il Signore, e questo è l'essenziale. Tuttavia soggiunge: 
Preferirei morire in piena consapevolezza. Preferirei poter prendere tutta la mia vita nel cavo delle mie mani e avere il tempo di innalzarla verso Dio e di presentargliela come la mia umile offerta di uomo. 
Con una brusca spinta, al galoppo sul suo cavallo, Guido ha forzato la porta del mistero di Dio in una offerta totale di se stesso per la Francia che tanto amava. 
La Santa Vergine, in cui onore aveva ideato di far costruire dagli Scaut un Santuario, deve avere accolto con particolare tenerezza questo figliolo di luce, su cui brillava riflesso lo splendore della sua Purezza. 
Morire a cavallo fu la sua ultima gioia, come ci rivela la lettera che portava con sé al momento del suo ultimo combattimento. 
Vi sono pochi mistici che in tal modo e fino a tal punto abbiano come lui congiunto questo desiderio folle di Dio e questa gioia di vivere, che abbiamo provato tanto giubilo nel raggiungere Dio e nel morire a cavallo, che abbiano testimoniato in modo così pieno che Dio è veramente felicità e Vita. 

M. D. Forestier O. P. 

A Andrea de Kniff 

Ammira e fa' tue tutte le bellezze del creato sparse intorno a te. Accadendoti - malauguratamente - di tradurle in pagine imperfette, falle salire in umile omaggio fino a Dio. 
Segui la pista, tortuosa o diritta, che Dio ti ha tracciato e non abbandonare - qualunque essa sia - questa via che è tua. Corri la tua avventura con cuore ardito e gioioso, ma quando, venuta l'ora, bisognerà occuparsi della sola avventura che conti, il dono totale a Dio, accettala di buon grado: non c'è che Dio che conti. Solamente la sua luce e il suo amore sono capaci di far contento e di saziare il nostro povero cuore di uomini, troppo vasto per il mondo che lo circonda. 
Una religione negativa: non fare questo o quest'altro? No di certo! Ma un amor di Dio così profondo, cosi intenso che risalga dal cuore alle labbra per giornate intere. Questo sì, è qualcosa di positivo e permette di tenere la prora al vento in ogni momento.  

Sentire nel fondo del proprio essere tutta la miseria, il fango, il bulicame degli istinti umani e mantenersi al di sopra senza affondare, come quando si cammina sulle sabbie mobili, lasciandosi sostenere come da una specie di levitazione di tutto l'essere che impedisce al piede di invischiarsi. Rimanere nell'amor di Dio come della pura chiarità del mattino, sopra la distesa luccicante della palude, senza che il corpo frani nella melma. 

Sentire al ritmo violento di un'orchestra, una frenesia che vi prende per tutto il corpo. Sentire tutto il proprio edificio di purità e di dolcezza ridursi a uno scheletro traballante, pronto a crollare nella violenza, nel piacere brutale, nell'avventura ... e mantenersi a galla unicamente per una fede tenace, un atto di amore, forse quasi macchinale, ma che sgorga fidente dal fondo del cuore. 

La castità è una scommessa impossibile e ridicola, se non ha per sostegno che dei precetti negativi. E' possibile, è bella, è feconda se invece si appoggia su una base positiva: l'amor di Dio vivo, totale, il solo capace di saziare l'immenso bisogno di amore che sente il nostro cuore di uomini. 

E' ugualmente bello sbucciar delle patate per amore del Signore, quanto costruir delle cattedrali. 

La danza è la grande gioia del giuoco libero di tutti i muscoli cullati dal ritmo dell'orchestra, con in più quella grazia e quell'incanto che vi aggiunge la presenza di una donna. Con delle compagne limpide e sane, è un divertimento regale. 
Ma se deve ridursi alla possibilità di stringersi con la scusa del ballo, allora la danza diviene cattiva e sorgente di peccato. 

Bisogna fare in modo che ogni nostra mancanza sia un rimbalzo verso un più grande amore. 

Noi non siamo che delle povere anime dentro poveri corpi carichi di brame. Ma Vi amiamo, o Signore, Vi amiamo con tutta la forza di queste povere anime, con tutta la forza di questi poveri corpi. 

Noi non comprendiamo niente di niente. V'è tanta grandezza di mistero nello sviluppo di un chicco di grano come nel moto delle stelle. Ma sappiamo bene che siamo i soli esseri capaci di amare, ed è per questo che il più piccolo degli uomini è più grande di tutti i mondi riuniti insieme. 

Ci sono molte persone che vivono quasi senza peccati. La loro vita scorre semplice e liscia nel quadro normale della loro professione e della loro famiglia. 
Compiono la volontà di Dio nelle grandi linee della loro stessa vita di ogni giorno. Tuttavia la loro esistenza apparisce comune, piatta, senza luce: manca ad essi un più vivo amor di Dio. Sono come dei focolari ben costruiti, ma nei quali manchi la fiamma. 
Sono delle brave persone, invece di essere dei Santi. 

Vi sono delle ore pesanti in cui la tentazione del male ci prende così forte, così irresistibilmente in tutto il corpo, che non sappiamo più fare altro che dire macchinalmente, a fior di labbra e senza quasi più credere: "Mio Dio, io Vi amo ugualmente, ma abbiate pietà di me! ". 
Vi sono certe sere in cui, seduti in fondo a una chiesa, senza neanche poter pregare, oppure fuori, sotto le stelle, per sentire almeno vicino a sé qualche cosa di grandioso, non possiamo far altro che ripetere questa povera frase a cui ci attacchiamo come a un salvagente per non andare a fondo: " Mio Dio, Vi amo lo stesso! ". 

Imparare a chiacchierare con Dio. 

Mentre si falciano a colpi di frustino i fiori di cardo selvatico, mentre si mastica un filo d'erba, mentre ci si rade la barba al mattino, si può sempre ripetere a Dio, senza stancarsi, così, semplicemente, che l'amiamo assai; e questo vale almeno quanto i torrenti di lacrime mai versate di certi libri di pietà. 
Raccontare a se stessi, cantando, gli avvenimenti della vita passata e i progetti che formiamo per l'avvenire, e parlare così a Dio, in canto. E parlargli ancora danzando di gioia nel sole, sulla spiaggia, o scivolando agilmente con gli sci sulla neve. 
Aver sempre vicino a sé Dio, come un caro compagno a cui ci si confida volentieri. 

Basterebbe così poco perché delle vite oneste divenissero vite sante: semplicemente un più grande amor di Dio, una maggior sottomissione alla sua volontà, il pensiero del sacrificio e della perfezione nelle minime azioni quotidiane. 
Ecco tutto. 

Bisogna avere il cuore pieno di Dio, come un fidanzato ha il cuore pieno della fanciulla che ama. 

Il Sorriso 

C'è un mezzo eccellente per crearsi un'anima amichevole: il sorriso. Non il sorriso ironico e motteggiatore che increspa solo l'angolo della bocca, il sorriso che giudica severamente e avvilisce. 
Ma il sorriso largo e deciso, il sorriso "scout " gaio e sereno. 
Saper sorridere; che grande forza! Forza rasserenante, forza di dolcezza, di calma, di luce. 
Mentre cammini, un tale ti urta sgarbatamente... tu hai fretta... prosegui... ma intanto sorridi, sorridi largamente. Se il tuo sorriso è franco, gioioso, quel tale sorriderà anche lui e l'incidente non avrà seguito... Fa' la prova! 
Vuoi fare a un compagno una critica che giudichi necessaria, dargli un consiglio che credi utile... Critica, consigli... tutte cose dure a inghiottire. 
Ma sorridi, compensa la durezza delle parole con l'affetto del tuo sguardo, col sorriso delle tue labbra, con la cordialità della tua espressione. In tal modo la tua critica, il tuo consiglio saranno bene accolti.... perché non avranno ferito. 
Vi sono delle circostanze in cui, di fronte a certe sventure non si riesce a parlare, le parole consolatrici non riescono a uscir di bocca... Ebbene, sorridi con tutto il tuo cuore, con tutta la compassione che prova la tua anima. 
Anche tu hai sofferto e il muto sorriso di un amico ti ha dato conforto; non puoi non aver fatto questa esperienza. Agisci in questo stesso modo verso gli altri. 
"Cristo, - diceva Giacomo d'Arnoux - quando il tuo legno sacro mi spossa e mi strazia, dammi almeno la forza di fare la carità del sorriso"; poiché il sorriso è una carità. 
Sorridi a quel povero a cui hai fatto l'elemosina..., a quella signora a cui hai ceduto il posto.... a quel signore che ti domanda scusa per averti pestato un piede... 
E' difficile talvolta trovare la parola giusta, l'atteggiamento adatto, il gesto appropriato; ma sorridere! E' tanto facile... e sistema tante cose! 
Perché non usare e abusare di questo mezzo così semplice? 
Il sorriso è un riflesso di gioia; anzi ne è la sorgente. E là dove regna la gioia, - intendo 
(22) 
dire la vera gioia, la gioia in profondità e in purità di cuore - si espande questa "anima amichevole" di cui parlava così bene Schaeffer. 
Rovers, cerchiamo di essere dei portatori di sorriso, e perciò dei seminatori di gioia. 

Mio Dio, Vi offro questa giornata: tutte le mie azioni, i miei pensieri, le mie parole, i miei passi, i miei gesti. 
Tutte le mie gioie e le mie tristezze. 
Tutto ciò che potrò fare di bene in questo giorno, o mio Dio, lo depongo ai vostri piedi per la vostra gloria e la salute delle anime. 

I pensieri cattivi scelgono la sera per assalirci, poiché le ore notturne sono propizie alla febbre dell'immaginazione e del corpo. 
Un buon sistema per dominarli consiste nel prendere la propria coperta e coricarsi così, semplicemente, sul pavimento, vicino al letto. 
Il nostro "frate asino" calmato, ne rimane mortificato e i pensieri cattivi, sgominati, se ne vanno. 

Nel momento di una tentazione violenta, quando la volontà si sfibra e tutto il corpo si illanguidisce ed è lì per lì per cedere, è bene per testimoniare nonostante tutto un po' di amore a Dio, imporsi una piccolissima mortificazione: non aggiungere del sale alla minestra insipida o non spostare un oggetto che ci dà noia. 
Questo piccolissimo atto di amore che è sempre possibile anche nel peggiore sfacelo apparente dell'anima, è come una chiamata della Grazia e la volontà se ne trova fortificata. 

Doveva essere una meticcia. Aveva delle spalle splendide e quella bellezza animale dei sangue-misti, dalle labbra grosse e dagli occhi immensi. 
Era bella, selvaggiamente bella. Non, ci sarebbe stato, veramente, che una cosa da fare. Io non l'ho fatta. Sono rimontato a cavallo e sono ripartito a gran carriera, senza voltarmi indietro, piangendo di disperazione e di rabbia. 
Credo che nel giorno del Giudizio, se non avrò niente di meglio da presentare, potrò offrire a Dio, come un bel mazzo, tutte queste 
esperienze che - per suo amore - non ho mai voluto provare. 

Il mondo in cui viviamo non è proporzionato alla nostra statura, e noi abbiamo talvolta il cuore gonfio di un'immensa nostalgia di cielo. 

La natura è piena di violenza, di rapina e di uccisione. Le stesse belve feroci si spiano, si nascondono, si danno la caccia e si divorano. 
L'unica realtà consiste nell'uccidere e nel non farsi uccidere. 
Solamente l'uomo è capace di inventare la dolcezza, e la Suora di Carità riabilita il mondo. 

Queste donne che conservano da un capo all'altro della loro esistenza un'anima di fanciulla. 

Quando davanti allo spettacolo del mare, del deserto o di una notte stellata ci sentiamo il cuore gonfio di amore inappagato, è dolce pensare che troveremo nell'aldilà qualche cosa di più bello, di più vasto, di più proporzionato alla nostra anima che colmerà questo immenso desiderio di felicità che costituisce la nostra sofferenza e la nostra grandezza di uomini. 

Mentre ascoltiamo il pezzo più insignificante o assistiamo al film più noioso, è sempre possibile pregare innestando nella cadenza delle immagini o nel ritmo della musica, delle preghiere recitate macchinalmente. Alcune per gli attori, per il regista, per le comparse; altre per gli spettatori che si divertono o che si annoiano; per il vicino di sinistra o per la vicina di destra... Il tempo passato così, almeno, non sarà stato sprecato. 

Su un veliero, quando più nessuna terra è in vista, dall'alto dell'albero maestro uno può godersi da solo tutto quanto il cerchio dell'orizzonte. 
Tuttavia vorrebbe poter spingere ancora più lontano quella linea, allargare ancora quel confine che, nonostante tutto, ci imprigiona; poiché siamo fatti per lontananze ben più vaste delle intristite distese degli orizzonti terrestri. 

Il nostro desiderio di felicità è troppo smisurato perché possa mai appagarsi se non nell'aldilà. 
Anche materialmente, noi siamo quaggiù degli insoddisfatti. Nessun cavallo può galoppare avendo per pista il mondo; nessuna imbarcazione, nessuna onda può trasportarci da un capo all'altro di oceani più vasti di quelli che già conosciamo; nessun trampolino di sci può lanciarci negli spazi interplanetari; nessuna immensità può contentare la sete d'infinito del nostro sguardo. Ci troviamo imbrigliati da ogni parte, mentre ci sentiamo fatti per l'infinito. 

Se il grano non muore ...
Poche parole sono più consolanti di queste, poiché ci immettiamo nel ciclo stesso del mondo, legittimando in tal modo la smisurata vastità dei nostri sogni.
Ogni bellezza e ogni vita nasce dalla distruzione e dalla sofferenza.

Sono necessarie le ore penose del parto per creare quella meraviglia che è un piccolo uomo. Il più immondo concime fa crescere i fiori più delicati. Ogni pianta nasce da una precedente decomposizione. 
Non c'è alcun motivo perché noi si debba sfuggire a questa legge universale, ed è assai bello pensare che, su questa terra, noi non ci troviamo che nello stadio della sofferenza e della distruzione. 
Solamente la morte ci farà nascere e ci introdurrà nel vero mondo che sia degno di noi. 
Noi possiamo immaginare il grado degli splendori dell'aldilà attraverso quello che conosciamo di quaggiù. 
Un volto, un delicato profilo di donna, una musica che faccia vibrare ogni fibra del nostro essere, un bel cavallo di razza, l'ebbrezza dello sci, l'incanto delle notti o lo splendore delle giornate piene di sole, l'impressione di pienezza fisica che ci dà il mare o il deserto, il piacere di uno sforzo compiuto o di un'opera condotta a termine, una pagina, un quadro, una scultura che risvegli in noi risonanze segrete, un'anima luminosa di fanciulla o di monaco, tutto questo che costituisce la bellezza del mondo, la nostra gioia o la nostra esaltazione, tutto questo che noi possiamo amare per quel piccolissimo riflesso di Dio che vi si nasconde, tutto questo non è che putredine di fronte a quella Bellezza che sarà nostra e per la quale siamo stati creati. 
E veramente non è poi troppo passare qualche anno su questa terra stretta e grigia, per meritare, sia pure in piccolissima misura, il dono dell'infinito. 

Un animale inseguito dai cacciatori compie, nella fuga, uno sforzo ancora più grande di quello che compiamo noi trascinando l'automobile sulla catena Birmana. Ma l'uomo solamente può dare un significato al suo sforzo. 
Il ragazzo di tredici anni che si alza al mattino un quarto d'ora più presto per fare la sua ginnastica davanti alla finestra aperta, compie uno sforzo di valore più grande che non sia quello di una mandria di bufali lanciati alla carica. 
Il complesso degli sforzi umani verso il bello, il bene, il meglio, fa ascendere continuamente l'umanità come un movimento di onde che gonfia la massa dell'Oceano. 
Ogni sassolino, ogni granello di sabbia, ogni goccia d'acqua salata corrode la scogliera pur nella sfera così piccola della sua azione. Ciascuno dei nostri sforzi consuma ciò che vi è di materiale e di terrestre in noi, e il movimento di tutti questi sforzi umani è come un moto irresistibile ed eterno di sassolini e di onde che scava il nostro cammino verso l'infinito. 

Sogni troppo grandi per noi appesantiscono talvolta il nostro cuore: sogni di conquistatori, di santi o di scopritori di nuovi mondi, sogni che furono quelli di un Mermoz, di un Gengis-Kan o di un Francesco d'Assisi. 
Non dobbiamo desolarci per il fatto che siamo solamente... quelli che siamo. L'avventura più prodigiosa è quella della nostra propria vita, e per di più è perfettamente proporzionata a noi. 
Avventura breve: trenta, cinquanta, ottanta anni forse, che bisogna superare faticosamente, attrezzati come una nave che faccia vela verso questa Stella in alto mare che rappresenta il nostro unico punto di riferimento e la nostra sola speranza. 
Non importano colpi di mare, tempeste o calma piatta, purché ci sia questa stella. Se non ci fosse, non rimarrebbe altro che vomitare anche l'anima e struggersi di disperazione. Ma la sua luce è là, e l'andarne in cerca e il seguirla fanno della vita di un uomo un'avventura più meravigliosa della conquista di un mondo o della corsa di una nebulosa. 
E quest'avventura non sorpassa le nostre possibilità. Basta che ci dirigiamo verso il nostro Dio per essere adeguati all'Infinito, e questo giustifica tutti i nostri sogni. 

Non c'è che Dio, il quale dalla materia possa far nascere lo spirito. 

Noi siamo delle testimonianze di Dio. 

La nostra vita è una successione di gesti piccolissimi, che - divinizzati - modellano la nostra eternità. 
Materialmente, un'opera d'arte - quadro o statua che sia - è il risultato di innumerevoli colpi di pennello o di scalpello. Il suo valore spirituale, il solo che conti, è il pensiero dell'artista che diresse ogni colpo e fece della loro sintesi la realizzazione del suo sogno. 
Noi mettiamo un po' di eternità in ogni nostro atto, e questo è il nostro meraviglioso potere di uomini. 
In ogni secondo noi ci costruiamo il nostro regno. 

Ho fatto il bagno nel lago di Tiberiade e ho illuminato, nel raggio dei miei fari, la volpe delle Parabole. 

Un atto, una volta compiuto, non si può più ritirare. Le sue orbite si allargano verso lontananze inaccessibili. 
Noi creiamo in modo definitivo, e questo prolungarsi nell'eternità delle nostre più piccole azioni costituisce la nostra grandezza di uomini.

Dobbiamo anche noi aggiungere la nostra pietra all'edificio dello sforzo umano. 

L'impiegato di un ufficio può essere talvolta niente altro che un piccolo borghese, meno che mediocre, abbrutito dalla burocrazia, preoccupato dell'avanzamento in attesa della pensione. Ma se ne ha il cuore, anche lui con la sua povera barchetta carica di scartoffie e di pratiche, può navigare orientandosi con la Stella. 

Sembrerebbe impossibile trascorrere tutta una vita senza aver vicino la dolce presenza di una donna. Ci si può riuscire cercando di rimpiazzare il bisogno di amore umano con un profondo amore di Dio, e facendo realmente di Dio il compagno di ogni momento. 

Tanto il manovale che il monaco potrebbero recitare la medesima preghiera: " Fate, o mio Dio, che io corrisponda alla mia vocazione". L'uno deve sforzarsi di essere un buon monaco, e l'altro un buon manovale. I loro destini non sono affatto differenti. Ciascuno, mettendo in opera le sue capacità e i suoi doni perfeziona se stesso, e in tal modo lavora per la gloria di Dio. 

Un tuffo
 
Questo fatto avvenne in una di quelle isole disseminate nel Pacifico e il cui solo nome è come una canzone sulle labbra. 
Ero salito con alcuni indigeni a mezza costa della montagna, in un luogo dove un torrentello ricadeva in cascata entro una stretta conca contornata di rocce. L'acqua era fresca, piacevole al tatto come una seta. 
Più ardimentosa degli altri, una Taitiana si arrampicò su una rupe che strapiombava di sei o sette metri. Nobilissima nella linea, armoniosa nei colori, la sua figura drappeggiata nel "pareo" rosso a fiori bianchi metteva come una luce sullo sfondo più scuro della roccia. 
Con un largo ondeggiamento dei suoi capelli neri, si gettò a tuffo. 
Non appena la sua testa usci dall'acqua si rivolse a me ridendo gioiosamente: "Tu non salti certamente da quell'altezza!" esclamò. 
L'amor proprio è un forte pungolo. Sei metri erano al di sopra delle mie capacità di tuffatore; tuttavia mi arrampicai senza ombra di esitazione. 
Vidi subito, sotto di me, la vasca di pietra arrotondata, come una minuscola coppa di metallo. Alcune foglie mascheravano l'acqua a mezza altezza facendola apparire più lontana ancora. 
Feci un segno d'intesa alla bella Taitiana e mi tuffai. 
Improvvisamente un'illusione ottica mi diede con precisione assoluta l'impressione di aver mancato lo slancio e di andare a cadere a picco sulla roccia; entro un secondo mi sarei fracassato sulla sponda. 
E' proprio vero che in tali circostanze si vede sfilare tutta una vita dinanzi alla memoria. In un baleno io vidi, rivivendola, tutta la mia esistenza: il bene e il male, la luce e le ombre. Ma non ebbi il tempo per un rimpianto, per una qualunque contrizione. 
Pensai solamente in me stesso, con una forza che spegneva ogni altro sentimento: 
"Mio Dio, non valgo un gran che: però Vi ho sempre amato moltissimo lo stesso!". 

Fu tutto. Non ci fu più in me ombra di inquietudine, ma solamente un'immensa gioia. 
Viceversa arrivai molto prosaicamente nell'acqua, da cui venni fuori un po' stordito ma, grazie a Dio, intero. 
Gli indigeni, entusiasmati, ridevano; la Taitiana batteva le mani; io risi con lei. Ma sentii che qualcosa era cambiato in me. 
Compresi allora che non c'è che una cosa al mondo che conti veramente: l'amore di Dio. Un amore immenso, irragionato, un amore di fanciullo in adorazione davanti a sua madre; un amore totale che ci prenda interamente, in ogni istante della nostra vita. Questo amore infantile, questo meraviglioso amore cancellerà più tardi tutte le nostre miserie e rimarrà solo e trionfante. 
Rinnovai questa esperienza due anni più tardi, in un naufragio sul Gange. Roger Drapier ed io avevamo caricato "Jannette", l'automobile del raid Parigi-Saigon su di un "sampan" che si capovolse in piena notte. 
Io dormivo, disteso sul ponte, e fui colto in pieno sonno. Lo sbandamento raggiunto dalla imbarcazione mi fece rotolare sul tavolato e urtare il parapetto; il colpo mi proiettò nel fiume. 
Tra l'istante del mio risveglio e quello in cui l'acqua del Gange mi entrò gorgogliando nei polmoni, ebbi la medesima visione globale di tutta la mia vita, il medesimo abbagliamento come di una porta spalancata a un tratto sulla luce, la medesima sensazione di abbandono e di pace, di allegrezza e di gioia totale dell'anima e del corpo. 
Pochi secondi più tardi mi dibattevo nella oscurità per liberarmi dal mio sacco-letto e dai miei indumenti notturni. Bevevo un'acqua infestata da tutti i cadaveri di Benares e non ero affatto vaccinato. Potevo essere travolto dalla vettura o dal "sampan " che si stava capovolgendo. Con ogni probabilità "jeannette" era perduta e il viaggio fallito... 
Ma che importava tutto questo, dal momento che conservavo l'amicizia di Dio? 
Da quel giorno non temo più la morte improvvisa.
Reso docile e dominato, il corpo, sperduto nell'amore di Dio, obbedisce anche in una semi-incoscienza, ai riflessi dell'anima. 
Certamente preferirei morire in piena consapevolezza. Preferirei poter prendere tutta la mia vita nel cavo delle mie mani e avere il tempo di innalzarla verso Dio e di presentargliela come la mia umile offerta di uomo. 
Ma andrà bene ugualmente se, invece di aprirsi lentamente sulla Luce, la porta si spalancherà con una brusca spinta. 

Sulla via di Chartres 

Domenica e lunedì di Pentecoste, due giorni liberi, ho deciso di andare a Chartres. 
Domenica mattina, a Notre-Dame di Parigi. La grande navata è silenziosa nella mezza luce che scende dalle vetrate. Qualche giovane col sacco in spalla, un paio di militari, qualche vecchietta, alcune suore assistono alla Messa in una piccolissima cappella. 
Bisogna fare dei giri interminabili a causa dell'Esposizione. La città si dirada fino a diventare sobborgo; poi la campagna. Il Ponte di Sèvres, il Castello di Versailles così bello dopo la bruttura delle strade, infine lo splendore della foresta. 
Le Ave Maria del Rosario si susseguono ritmate alla cadenza dei passi. Ave dette per tante intenzioni, per tante circostanze, anche per le persone incontrate per via: 
... per questi girovaghi stracciati e questa zingarella dagli ornamenti multicolori, terrore dei pollastri delle fattorie; 
... per questo ferroviere che cammina a piedi come me, ma perché senza dubbio non può fare altrimenti; 
... per questi soldati incontrati al campo di Satory, che mi stanno gridando dietro che la voglia di marciare mi passera quando andrò militare; 
... per questi insopportabili turisti che parlano ad alta voce nella chiesa del villaggio di Dampierre; 
... per questo operaio che ha esclamato passando: "Eccone uno che fa sul serio!"; 
... per questi piccoli Scaut che, per farsi accompagnare da me, mi hanno tanto premurosamente indicato una scorciatoia che mi fa allungare di tre chilometri; 
... per queste signore elegantissime che, dalle loro macchine, sorridono con commiserazione a quel poveretto che marcia col sacco in spalla. 
Mi circonda la foresta, così maestosa che diviene come una preghiera. 
Così solo, faccio in me stesso un ritiro chiuso, con la mia anima per cella e la foresta per monastero. Parigi: 40 chilometri, indica una freccia puntata verso di me; ma veramente ne ho già fatti 45 per le deviazioni dell'Esposizione e per la scorciatoia dei piccoli Scaut. 
Mancano 15 Km. per arrivare a Rambouillet. I piedi mi fanno male, perché in fondo hanno sempre preferito la staffa all'asfalto. Il sacco si fa più pesante, la fatica più penosa. 
I miei passi martellano delle Ave Maria distratte. La stanchezza diventa ora la mia vera preghiera. Questo chilometro per quell'amico che mi sta a cuore; quest'altro insieme con Gesù che sale al Calvario; questo e quest'altro ancora per tutti quei vecchi peccati che formano una macchia grigia sul passato. 
Rambouillet: 5 Chilometri. E' calata la notte. 
Alle dieci e mezzo di sera, sfinito, arrivo finalmente in città. Contavo di accantonarmi in una fattoria, ma è troppo tardi e non voglio svegliare i contadini. Entro in un alberguccio: pieno. Provo in un secondo e in un terzo: lo stesso. Si mette a piovere. Comincio una meditazione su Betlemme e finalmente una locanda mi offre in una soffitta una stanza piena di cimici. 
Come è bello fare la doccia in uno scomodo catino, mettersi il pigiama, coricarsi, dormire...con le sorelle cimici che alla fine, poi, non mi sono sembrate cosi terribili! 
Lunedì mattina. In marcia per Chartres. Piove a torrenti, le mie povere gambe sono spossate e io debbo essere di ritorno a Parigi per il pomeriggio. 
Pochi chilometri dopo Rambouillet un'auto si ferma. Va a Chartres. 
... Sii benedetto, o mio Dio, per gli autisti pietosi che si fermano a dare un passaggio ai pellegrini sfiniti, gocciolanti e affrettati. 
Corro attraverso questa contrada che è stata fatta cosi piatta senza dubbio per permettermi di apprezzare meglio la bellezza delle montagne. 
In macchina vado godendomi questa lenta apparizione del campanile di Chartres di cui parla Peguy e che già un'altra volta avevo ammirato insieme col Clan. 
Una lunga preghiera nella bellissima cattedrale. Un'ora di treno. Parigi. La solita vita che ricomincia. 
Ma ho il cuore e l'anima pieni di aria pura. 
Rover, fratello mio, quando ti troverai a Parigi, solo con due giorni liberi davanti a te, và a Chartres. 
Ritornerai migliore. 

Per la morte di una diva

Joan Harlow è morta. 
L'avevo conosciuta a Hollywood durante un mio recente viaggio. Era effettivamente bella come appariva sullo schermo, con un sorriso assai giovanile e dei capelli che incorniciavano di luce il suo viso. 
Al mio ritorno avevo mostrato la sua foto a un amico. "Chi direbbe che ci sia una donna qua sotto", mi disse indicandomi col dito la esagerata truccatura. 
Eppure, c'era proprio una donna "là sotto", una donna la cui vita era tempestosa, la cui anima non era certamente luminosa come la aureola dei suoi capelli platinati. 
Tra le centinaia di migliaia di spettatori che l'hanno ammirata sullo schermo, quanti avranno avuto il pensiero di pregare per lei, affinché i divini splendori dell'aldilà non siano negati a colei che ebbe tanta bellezza terrena? 
Hollywood, nonostante tutti i suoi miraggi, è una terra senza stelle, dove un'umanità fisicamente meravigliosa dimentica di possedere un'anima. 
Nel raccoglimento di una chiesetta di campagna ho pregato a lungo per Joan Harlow che avevo visto pochi mesi prima nella fittizia gaiezza degli "studios". Penso che il Signore debba essere molto misericordioso per queste anime di "enfants terribles". 
Un fiore, un bell'animale, cantano le lodi di Dio solamente mediante il loro slendore di creature. Joan Harlow era anch'essa una lode del Creatore, poiché ogni bellezza è un lontano riflesso di Dio che l'ha creata. 
Senza dubbio sarebbe un semplice dovere di carità cristiana, che coloro i quali traggono dallo schermo motivo di godimento, pensassero talvolta, davanti a Dio, a queste povere "stelle" che non conoscono la vera luce. 

Le ragazze

Le ragazze sono l'immagine preziosa di nostra madre quando aveva la loro età. 
Piccole o grandi, bionde o brune, sono luminose, limpide e pure, e Dio stesso deve sorridere quando le vede passare. 
Solamente più tardi, quando sarai più maturo, scoprirai in mezzo a loro la tua donna di domani. 
Oggi devi considerarle semplicemente come delle leali compagne. 
Un'educazione falsata ci ha troppo spesso insegnato a non vedere nella donna che una occasione di peccato, invece di farci scoprire in lei una sorgente di ricchezze. 
Ma sorelle, cugine, amiche, colleghe o Scolte, le ragazze sono le compagne della nostra vita, poiché nel nostro mondo cristiano noi viviamo fianco a fianco, sul medesimo piano. 
Senza dubbio il cameratismo tra ragazzi e ragazze è qualcosa di estremamente delicato che bisogna condurre con prudenza e regolare ciascuno per sé, secondo la propria coscienza. 
Ma è una perdita di guadagno sicuro trascurare questo dono di Dio che sono le ragazze buone. 
Hanno una virtù di purezza il cui irradiamento è salutare a noi che dobbiamo lottare senza sosta per mantenere in noi questa stessa purezza. 
Se sanno stare al loro posto - e unicamente da loro dipende, in loro presenza, il contegno dei giovani - la loro influenza può essere profonda. 
Basta vedere su una spiaggia o su una piscina i giovani che cercano di mettersi in vista di fronte alle ragazze. Uno sguardo ammirativo, un sorriso, bastano talvolta a dare a un ragazzo la frustata d'amor proprio che lo farà saltare, nonostante la paura, dall'alto dei trampolino. 
E perché, su un piano diverso, quello stesso sguardo e quello stesso sorriso non daranno a quello stesso ragazzo più luce e più coraggio nella sua vita? 
Il mormorio di una sorgente zampillante richiama lontano dalla palude. La presenza delle ragazze buone allontana grossolanità e volgarità. Alcune di esse, incontrate nelle ore più buie, ci rasserenano letteralmente l'anima. Noi siamo dei grandi ragazzi goffi e sgarbati: le ragazze ci costringono alla gentilezza e alla cortesia. La loro grazia ci eleva e ristabilisce l'equilibrio. 
Noi siamo troppo cerebrali: le ragazze comprendono in un sol colpo, col loro cuore, quello che noi sezioniamo penosamente con la nostra ragione. 
La loro presenza è un riposo; esse rappresentano davvero il sorriso e la dolcezza in mezzo alla nostra cerchia di lotte. 
O Signore, fate che queste nostre sorelle siano graziose, sorridenti e vestite con gusto. 
Fate che siano pure e di animo trasparenze. 
Fate che siano la purezza e la grazia delle nostre vite rudi; che sappiano essere con noi semplici, materne, senza infingimenti né civetterie. 
Fate che nessun male s'insinui tra noi, e che, ragazzi e ragazze, riusciamo ad essere gli uni per gli altri una sorgente non di miseria, ma di arricchimento spirituale. 

L'arte dell'indugiare 

La città anonima, cacofonica e trafelata, dove lo spirito è mortificato dal ritmo meccanico e turbinoso dell'urbanesimo, permette difficilmente la possibilità di indugiare nel silenzio e nella solitudine. 
Col ritmo lento di un tempo, quello delle stagioni e delle piante, l'uomo non era né spinto né trascinato. Aveva - per forza di cose - il tempo di vedersi vivere. Oggi l'uomo perde ogni giorno più questo diritto di guardare in se stesso. 
Bisogna farglielo ritrovare. 
Al Clan, durante un'uscita, il Capo si domanda con ansietà come farà a riempire certi momenti della giornata: discussioni, studio di problemi, capitolo: va bene. Ma perché non - semplicemente - niente? Facendo in modo che ciascuno per proprio conto, nella campagna o nella foresta, possa ritrovare la solitudine e il silenzio. 
Molti di noi non sono più capaci di sopportare né l'una né l'altra; mentre la voce di Dio è cosi sottile che non si può udirla se non nel silenzio. Esclusivamente. 
Bisogna imparare di nuovo l'arte di saper indugiare. 
Non certo l'indugio in cui si porta a spasso un cuore vuoto e un'anima senza pensieri. Ma quell'indugio fecondo, che è come un ritiro in sé stesso. 
Nel corso di certe passeggiate solitarie si scoprono più tesori di quanti non ne contengano le più riposte lagune delle isole di corallo. E' così proficuo camminare senza meta, solo, nella campagna, in quel silenzio che uno ascolta stupefatto quando scende dal treno o smonta di macchina, venendo da Parigi. 
Il calpestio degli zoccoli sulle pietre, il cigolio di un aratro o di un giogo, un uccello che canta, un ruscello che mormora, un branco di oche spaventate dal passaggio del fattore, tutti questi rumori non rompono affatto la calma, ma riempiono e animano il silenzio. 
Lo strepitio meccanico e il sordo frastuono della grande città non giungono qua. Si odono solamente queste risonanze del vento, dell'acqua, delle piante, delle bestie e degli uomini, che sono come il respiro del mondo. 
E' bello divertirsi a prestare orecchio a questa lunga canzone della terra, propizia ai ricordi, ai sogni dell'avvenire, alla conversazione familiare con Dio; e anche feconda, poiché è più facile forgiarsi una vita più bella, quando si può sognarla così, prima ancora di viverla. 
Bisogna abituarsi a questo cuore a cuore con Dio, nella solitudine e nel silenzio del creato. 

Bisogna amare ogni cosa: un'orchidea improvvisamente apparsa nella giungla, un bel cavallo, un gesto di fanciulla, un tratto di spirito, un sorriso di donna. Bisogna ammirare ogni bellezza mentre passa, scoprirla anche nel fango e saperla elevare verso Dio. Ma non attaccarvisi. Non è che uno scintillio, e noi siamo fatti per il sole, non per la palude oscura dove si rispecchiano i suoi riflessi. 
Impastati - come siamo - di materia eterna, cerchiamo sempre, ostinatamente, disperatamente, di costruire qualcosa di durevole. Forse per questo c'è tanta gioia ad avere un figlio o a costruire una casa. 
Ma le generazioni non sono che delle passerelle e il palazzo più antico non è che un vascello fantasma, e noi ci sentiamo sempre delusi in questo mondo provvisorio. 

Tutta la mia vita è stata una lunga ricerca di Dio. Dovunque, in qualunque momento, in ogni parte del mondo ho cercato la sua traccia e la sua presenza. La morte non sarà per me che un meraviglioso slancio verso di Lui. 

Mi sono talmente abituato alla presenza di Dio in me, che ho sempre in fondo al cuore una preghiera che mi sale a fior di labbra. 
Questa preghiera, appena cosciente, non cessa mai; nemmeno in quel mezzo sonno ritmato dalla marcia del treno o dal rombo dell'elica, nemmeno nell'esaltazione del corpo o dell'anima, nemmeno nell'agitazione della città o nella tensione di un'occupazione preoccupante. 

C'è in fondo al mio essere un'acqua infinitamente calma e trasparente che né le ombre né i risucchi della superficie possono arrivare a turbare. 

Non potevano immaginare, quelle belle straniere, che anche nelle danze al ritmo delle musiche più travolgenti, il mio cuore - dentro di me - scandiva una preghiera e che questa preghiera era più forte delle attrattive della loro grazia. 

Non ci si può donare con pienezza di dedizione che al servizio di un Signore, e non esiste un Signore più grande dei mio Dio. 

Due cose sono necessarie per ben viaggiare: uno smoking e un sacco-letto. 

Il Paradiso della mia speranza di uomo è rimasto esattamente lo stesso del Paradiso dei miei sogni di fanciullo. 

Immersione ... L'idea della morte mi è stata dolce come la carezza dell'acqua che avvolgeva il mio corpo immerso. 

Bisognerebbe che non ci venisse fatto di dire: "domani andrò a Messa"; ma: "domani non andrò a Messa". Poiché quest'ultima frase indicherebbe un'eccezione, come sarebbe saltare il pasto o il riposo.

La Comunione quotidiana è stata per me ogni mattina come un bagno di acqua viva che tonifica e distende tutti i muscoli, come un pasto sostanzioso prima della marcia, come uno sguardo di tenerezza che infonde ardimento e confidenza. 

Se talvolta l'ho percepita, tuttavia non ho mai assaporato in me l'amarezza di scoprire fragili ed effimere tutte le bellezze e le gioie del mondo; poiché non ho mai considerato in esse se non il riflesso imperfetto della bellezza e della gioia di un aldilà di cui non ho mai dubitato. 

Conclusione 

Ho passeggiato attraverso il mondo come in un giardino cinto di mura. 
Ho condotto la mia avventura da un capo all'altro dei cinque continenti e ho realizzato, uno dopo l'altro, tutti i sogni della mia infanzia. 
Il parco della vecchia villa del Périgord, dove feci i primi passi, si è allargato fino ai confini della terra, e ho giocato sul mappamondo il bel giuoco della mia vita. 
Tuttavia le mura del giardino non hanno fatto che indietreggiare, e così mi sento sempre in gabbia. 
Ma un giorno verrà, in cui potrò cantare il mio canto di amore e di gioia. 
Tutte le barriere cadranno. 
E io possiederò l'infinito! 
 

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