durante la scenetta in cui, in seguito alle malefatte dei visi pallidi, avrebbe dovuto dichiarare guerra. Purtroppo la squadriglia rivale, non si ricorda quale fosse, si avvide della manovra e sottrasse l’ascia. Alla sera, il malcapitato pellerossa, dopo aver minacciato l’uomo bianco, cercò invano di dissotterrare l’ascia di guerra, sbertucciato dai rivali. Con questa ed altre scenette si concludeva il cerchio con il canto: Mamma la notte scende sotto le oscure tende, sul ruvido giaciglio. Molto spesso veniva un groppo alla gola pensando alla mamma lontana e alle comodità casalinghe, spuntava un lacrimone e ficcandosi sotto le coperte, si dormiva fino al mattino. Una variante a questa serata tipo, si presentava quando erano in programma dei giochi notturni. Generalmente ciascuna squadriglia doveva predisporre un sito, nel bosco, con una candela accesa e presidiarlo; tutti gli altri avrebbero dovuto violare la tana altrui. Successe un paio di volte che, al fischio del capo che segnalava la fine del gioco, risultassero mancanti due di noi. Con un po’ di preoccupazione iniziarono le ricerche e uno fu trovato, addormentato nella coperta che si era portato appresso, a guardia della candela ancora accesa. Al brusco risveglio, questi disse ai suoi scopritori: Fermi tutti! Vi ho riconosciuti”. L’altro, invece, che si era munito di pila, fu ritrovato, pure addormentato, ma in piedi ed appoggiato ad un albero, seminascosto. Anch’egli reagì prontamente segnalando gli avversari che l’avevano svegliato.
Questo programma aveva delle varianti alla domenica dove naturalmente non si lavorava se non per preparare pranzo e cena; ma il tutto veniva fatto con molta calma e relax. Potevano arrivare dei parenti, non molti, perché a quei tempi pochi potevano permettersi la Vespa e pochissimi l’auto. Successe un paio di volte che i parenti, su richiesta di uno di noi che, scrivendo a casa, sollecitò l’invio di ‘grana” per le piccole spese quotidiane, gli facessero recapitare, da comuni amici, un paio di etti di formaggio. Alla domenica pomeriggio si andava in passeggiata, si ricorda, per dire quanto eravamo giovani ed allenati, di quando a Palus S.Marco, così tanto per sgranchirci le gambe, si facevano 10 chilometri per raggiungere Misurina. un’altra volta, che eravamo in Val Da Rin di Auronzo, andammo al cinema in paese; accadde che si ruppe la pellicola e l’operatore locale si trovò in grosse difficoltà. Alcuni di noi salirono sul palco ed intrattennero tutta la platea; particolarmente applaudito fu Ciano Annibale

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bravissimo nell’imitare il canto degli uccelli, tanto bene che i presenti, alla ripresa del film, se ne dispiacquero.
I boys scout e l’alcool. Naturalmente nella nostra dieta non era previsto l’uso del vino né di altri alcolici. Solo il capo aveva una bottiglia di grappa per i casi di emergenza o per gli ospiti. Un’emergenza fu quando uno di noi, al suo primo campo, e quindi in tenera età, al rientro da una gita in montagna, a rifugi, avendo gli scarponi di un paio di misure abbondanti, scivolò su di un sasso nell’attraversamento di un torrente, con conseguente bagno, quasi totale, nelle gelide acque. In questo caso dopo un accelerato rientro al campo ed il cambio dei vestiti, scattò l’emergenza e con un buon bicchierino di grappa il malcapitato si riscaldò meglio di prima. Un’altra bottiglia di grappa appartenne ad uno di noi, consegnatagli con gli effetti personali, dai suoi familiari, che evidentemente temevano i raffreddamenti del loro figliolo. Questi, del resto, non intendeva dividere questo suo bene con i compagni di tenda e nascondeva con cura la sua preziosa bottiglia. Tutto ciò, comunque, non sfuggiva agli altri che cominciarono a attingere ad essa. Egli si accorse e cominciò a segnare il livello raggiunto dopo averne bevuto; neanche questa furberia lo salvò. Ogni sorso di grappa carpito veniva sostituito da altrettanta acqua e così egli non si accorse di niente, contento che il livello segnato corrispondesse sempre. Quest’ultimo, d’altra parte, è pur quello che possedendo una certa quantità di cioccolato e non offrendolo mai ai suoi compagni di tenda, si trovò un bel giorno senza lo stesso. Un bel ghiro pasciuto di cioccolato, si era addormentato dentro lo zaino dell’avaro.
Un’altra variante nei programmi giornalieri era quando si andava a rifugi con uscite di un’intera giornata. Si partiva di buon’ora, carichi di tutto punto, zaino con mantelline, maglioni ecc.; non esistevano bottiglie di plastica ultraleggere ma pesanti borracce in alluminio, scarponi sempre abbondanti e mantelline di panno. Le nostre mete erano i rifugi delle Dolomiti Bellunesi; sono ancora nei nostri ricordi, le disquisizioni di due nostri amici sul fatto di essere più o meno accademici del C.A.I. e, male gliene incolse ad uno dei due, che una volta, al rientro da una gita, venne colto da una crisi di stanchezza, o cotta, che gli impediva persino di camminare. Fu immediatamente cancellato dagli “accademici” e fatto rientrare fra i “normali”.
C’erano poi le uscite di squadriglia in cui, ogni singola

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