Centro Studi e Documentazione Scout "Don Ugo De Lucchi"
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Un prete, un capo, un leader
Tante volte mi è capitato di riflettere sul valore delle persone. Qualcuna,
che per un certo periodo ci sembrò valida, eccezionale, poco a poco si è sgonfiata,
apparendoci, in definitiva, banale, consueta, normale.
Il tempo è galantuomo, si dice, e conserva solo le idee e le memorie di
valore. Se questo è vero, allora bisogna dire che don Ugo è stato proprio una
grande figura, visto che ricordiamo, con dolore ancora vivo, la sua scomparsa risalente a
ben quarant’anni fa.
Certamente l’affetto ha un posto importante nella funzione del ricordo,
quando questo non sia storia e non sia, perciò, affidato a documenti, ma solo alla memoria
delle persone. Ma non è un caso così frequente vedere ancora tante persone che si
ricordano di un umile prete, e malato, morto giovane, a trentanove anni!
Si dice che i giovani non conservano né ricordi né riconoscenza. Invece,
eccoli qua i suoi giovani, di 40 anni fa, memori e grati, che continuano ad amarlo con
quell’affetto che si porta alle persone care, ai propri genitori! Perché è stato per noi
tutti un padre putativo, che ci ha aiutato a crescere con pazienza e lungimiranza.
Noi, suoi giovani, sappiamo quanto siamo stati fortunati a vivere la nostra
adolescenza vicino a Lui. Egli aveva due grandi passioni, che coltivava con lo stesso entusiasmo, fino
al punto da mescolarle: la musica e lo scautismo.
Ma non erano fissazioni di un patito, perché avevano come comune
denominatore la vocazione educativa. Così molti cantori erano lupetti e scouts e molti
lupetti e scout erano cantori!
Egli soffriva di tubercolosi ossea e fu costretto a passare un lungo periodo
in sanatorio, lasciando ovviamente, sia gli scouts che ave va "ceduto" ad un
altro sacerdote, nei primissimi anni cinquanta, sia la musica sacra, per la quale ave va un
indubbio talento.
DON UGO: TRA GLI SCOUTS
Ricordo bene la presenza di Rupe Nera - questo era il suo totem - al campo di
Palus S. Marco e nei successivi, perché viveva con noi, non con una presenza
saltuaria, con una messa, o una visitina di cortesia, come tante volte succede, ma proprio
come uno di noi, condividendo il bello e il brutto tempo, le gioie e le difficoltà.
Doveva, però, ritornare in parrocchia il sabato, ed egli accettava con
grande spirito di obbedienza di sobbarcarsi i lunghi viaggi, dai luoghi dei campi, in
Lambretta, che, tra l’altro, era l’unico mezzo a disposizione in quegli anni eroici,
ritornando la domenica sera, accolto ogni volta festosamente.
A causa della sua malattia, era costretto a portare un pesante busto di gesso
che lo impacciava nei movimenti e lo tormentava nelle giornate calde ed afose delle
nostre estati. Per lo stesso motivo non poteva dormire in tenda, ma si accontentava
di una qualsiasi sistemazione, purché fosse vicino al campo.
Ricordo con tenerezza che, durante i due campi svoltisi nella Valle di S.
Lucano, non lontano da Agordo, dormiva in una casera abbandonata, ma non diroccata, posta
ai limiti della radura del campo, che noi scouts chiamavamo la "Casa dell’
impiccato", per la sua tetraggine. Eppure egli era felice di stare vicino ai suoi ragazzi ed
ai suoi capi.
Tra questi ha prediletto Francesco Piazza, il famoso Checco, per la sua
sensibilità, il suo buonumore, la sua creatività artistica. Mi piace ricordare, ora che
Checco è gravemente menomato per un ictus che l’ha paralizzato, anche nell’uso della favella,
una confidenza che don Ugo mi fece, quando venne a trovarmi, indisposto per una
forma influenzale: "Ringrazio Dio di avermi fatto incontrare un uomo come
Checco, con il quale mi sento in una profonda armonia". Io ero un ragazzino, allora, ma
certe cose non si dimenticano. Era una coppia veramente straordinaria! Don Ugo amava
moltissimo i disegnetti satirici che Checco gli faceva, in modo particolare i fantasmi,
che disegnava per sottolineare una qualche vicenda.
Ma si divertiva anche alle famose "canzonette cancare", ideate per
ciascuno dei presenti al campo, e della sua capacità di storpiare, all’ occorrenza, anche le
cose più normali, per cui la celebre "Pozione Liberio", che era un blando
lassativo che don Ugo aveva portato al campo ad uso degli scouts in difficoltà, era diventata
la " Lavanda del bero" !
D’altra parte Checco non conosceva affatto la musica, in cui don Ugo era
maestro. Perciò, quando Checco ave va bisogno di un qualche motivo, per comporre un
canto, in occasione di un S. Giorgio, o di una Festa dei genitori, o per una Veglia
particolare, don Ugo componeva o cercava, tra i suoi testi, vari motivi, che poi gli
sottoponeva.
Checco sceglieva, ma non riuscendo a leggere la musica, mandava a memoria il
motivo, inventando parole astruse, ma che rispettavano il ritmo. Ricordo, ad esempio:
"Va la cavalla a piè, bevendo il vin brulé...". Don Ugo, poi, se trovava
un motivo particolarmente bello, glielo sottoponeva . Ecco l’origine di alcuni splendidi canti, tra
cui eccelle, a mio parere, il "Canto dell’aurora", tratto da un’antica
laude medievale :
"L’aurora illumina il ciel, i boschi e i prati in fiore, noi salutiamo
il mattin, luminoso di vita...",
che si cantava al quadrato, prima dell’alzabandiera.
Ho citato prima un episodio di quand’ero indisposto. Don Ugo seguiva i suoi
ragazzi, andandoli a trovare quando sapeva che erano ammalati o quando si accorgeva
che erano in crisi, per quelle ombrosità tipiche degli adolescenti, durante le
quali una parola amica, un’attenzione di un adulto che si stima, aiuta a superare il
momento particolare.
Allora don Ugo provocava degli incontri, ufficialmente per sentire l’andamento
della squadriglia, ma di fatto per offrire il suo saggio consiglio e la sua
disponibilità. Ricordo che una volta, attraversando appunto uno dei periodi di crisi, venne a
trovarmi in montagna, nell’Alpago, dov’ ero in villeggiatura con i miei. Fui così
sorpreso e così lieto di vederlo, che mi vergognai un po’ di averlo fatto scomodare, ma ero
contemporaneamente fiero della sua attenzione. Chissà quanti altri miei coetanei avranno
simili ricordi dentro di sé!
Perché don Ugo era un vero educatore, che
aveva a cuore anche il più modesto ed il più piccolo dei ragazzi che la Provvidenza gli
faceva incontrare, del quale si sentiva responsabile. Tutti noi personalmente gli dobbiamo
molto, compreso il nostro modo di fare scautismo.
Egli portava equilibrio, serenità, saggezza. Ricordo che, ad un campo, fu
indetta la Corte d’Onore per discutere sulla preparazione di alcuni scouts alla
Promessa ed alla Seconda Classe. La discussione si fece più vivace quando si trattò di
accettare o no la proposta di un caposquadriglia per una seconda classe ad un suo
squadrigliere.
Un aiuto capo vi si opponeva, perché questo ragazzo non conosceva bene le
legature, cosa che invece era prevista dalle norme. Don Ugo ascoltò pazientemente, poi
chiese:
"È più importante che un ragazzo, secondo le sue possibilità, dia
segno di fedeltà alla vita di squadriglia e di riparto, o conosca la pionieristica? Le doti
intellettuali di ...non sono elevate, ma il suo desiderio di essere fedele, sì".
Il ragazzo ebbe la Seconda Classe ed io, allora uno dei capisquadriglia, misi
da parte questo grande insegnamento, nel profondo del mio animo.
Don Ugo, in definitiva, è stato un intelligente fautore della
proporzionalità e gradualità dell’impegno, contro l’applicazione letterale e, quindi, limitante delle
norme.
Come dire che lo spirito deve vincere la lettera!
Con questo non voglio dire che fosse un lassista, tutt’altro. Era molto
esigente, soprattutto in fatto di lealtà, disponibilità, coerenza, diventando molto
severo. La nostra scala di valori morali è nata con lui. Ma non era arcigno, anzi: era
sereno, pieno di buonumore, pronto alla battuta intrisa di familiare ironia . Ma
quando c’era da impegnarsi, allora non accettava dilazioni.
Ben lo ricordano coloro che
andavano nella sua stanza a studiare o a suonare, perché era inflessibile e non
ammetteva distrazioni .
Quella sua stanza, in Oratorio, che aveva come un’appendice, che costituiva
la sua camera da letto, poco più di un tratto di corridoio, era, infatti, l’ambiente
più frequentato dell’intera parrocchia!
DON UGO: UOMO DI CULTURA
Di pomeriggio accoglieva alcuni ragazzini delle elementari e delle medie che
facevano i compiti; un po’ più tardi era il tempo della musica, durante il quale
don Ugo insegnava, gratuitamente, beninteso, ad alcuni ragazzi. Verso sera arrivavano i ragazzi
che frequentavano i primi anni delle superiori, per chiacchierare e per ascoltare
della bella musica classica, che don Ugo aveva registrata, o in dischi.
Dopo cena, la stanza era frequentata dai giovanotti, con i quali parlava di
attualità, di problemi che stavano loro a cuore, di scienza e di letteratura.
Don Ugo era uomo di vaste e profonde letture, alle quali ci attrasse
prestandoci all’inizio alcuni libri umoristici, come quelli di Jerome, di Wodehouse, di Simili, di
Guareschi, di Twain, di Thackeray, per passare poi a Dickens, Chesterton, London, Cechov, ecc.
Quanto abbiamo riso con lo zio Podger, con il maggiordomo Jeeves, con "Lei, Elena",
con la giovane Clotilde, cioè con tutti i protagonisti di quei libri!
Senza che ce ne avvedessimo, cominciammo ad apprezzare il bello, ascoltando musica,
cantando, leggendo buoni autori.
Egli non forzò mai nessuno. Una volta portai da lui due amici di seconda
media, per ascoltare un disco che uno di loro possedeva. Si trattava di un brano jazz,
con tromba solista.
Lui ascoltò e non fece alcun commento. Ma dopo qualche giorno mi fece ascoltare, così, per caso,
l’ultimo tempo del primo concerto Brandeburghese di Bach, nel quale rifulge il virtuosismo e la
bellezza del corno inglese. Io capii da solo l’enorme differenza.
Ma la sua stanza diventava, all’ occorrenza, anche strumento di complicità. Una domenica di febbraio
andammo in uscita di riparto al Piave, naturalmente in bicicletta.
C’era una fitta nebbia, ma non volemmo rinunciare all’avventura.
Fu un’esperienza indimenticabile! Pur essendo vicine, le squadriglie non si
vedevano nemmeno durante la cucina. Durante il grande gioco, il Capo Riparto fischiò
continuamente per timore che ci si perdesse, ma noi eravamo felici.
Quando fu l’ora di rientrare, ci accorgemmo che eravamo tutti zuppi di
umidità. La corsa in bicicletta, circa dodici chilometri, aggravò la situazione,
cosicché, quando andammo a salutare don Ugo, la cui stanza era sopra la nostra sede, eravamo
bagnati come pulcini. Ma egli accese la stufetta a gas, ci invitò a toglierci almeno
le giacche a vento ed i maglioni, ci preparò un bel tè caldo in modo che, in capo a una
mezz’oretta, eravamo un po’ più presentabili ai nostri genitori!
Don Ugo è stato veramente un prete scout.
Durante le messe in parrocchia non predicava mai, perché, diceva, gli
sembrava di dire sciocchezze.
Ma al campo, ci parlava, durante la messa o durante il
cerchio pomeridiano, con affabilità, con profondità e slancio. La sua è stata,
secondo me, una spiritualità densa e spartana, senza fronzoli, essenziale. Amava che
sentissimo le cerimonie liturgiche nostre, preparate con le nostre mani e con le nostre
intelligenze.
Così l’altare al campo era fatto dagli scouts, non dai capi; la Via Crucis
era illuminata dalle torce fatte con la resina tolta agli abeti, le stazioni segnate dalle
croci costruite dalle squadriglie.
Egli ci fece conoscere ed amare anche le specialità di tipo religioso. Quasi
tutti gli scouts di seconda classe avevano almeno liturgista. A qualcuno che si stupiva
di questo e che credeva ci fossero regalate, rispondeva che bastava poco per far
innamorare i ragazzi di qualcosa: bastava interessarli e seguirli.
Da lui noi imparammo anche la laboriosità e l’economia . Noi vedevamo che,
per guadagnare qualcosa per aiutarci nell’acquisto delle tende, ricopiava la
musica per altri, servendosi di un buffo righello a scaletta per tracciare i righi del
pentagramma.
Nella sua stanza c’era un armadio ricavato dalla cassa di un vecchio
pianoforte a coda, le due poltrone erano due sedili di camion, sistemati su uno scheletro di
legno; aveva ideato di fare, per la mia squadriglia, le panchine segando un tronco curvo.
Per sé non pensava che all’essenziale . Portava una veste talare ormai lucida dall’uso.
In parecchi ci mettemmo d’accordo per regalargliene una nuova. Il sarto fu il
nonno di uno scout.
Fu per don Ugo una bella sorpresa, che, però, non riuscì a
consumare, perché la morte lo colse.
La vigilia della sua dipartita, c’eravamo trovati da lui per gli ultimi
preparativi per il S. Giorgio, ormai vicinissimo. Il pomeriggio successivo, mentre ero in sede,
un ragazzo dei suoi cantori, venne a dirmi che corressi perché don Ugo stava male.
Quando arrivai nella sua camera stava rantolando. Arrivò il medico, che non fece
altro che constatarne il decesso. Io presi la bicicletta, e scappai via piangendo.
Quando l’estate prima, durante il mio ultimo campo da scout, vedevo don Ugo
scherzare con i Capi, mentre io dovevo allevare una nidiata di piedi teneri, pensavo
che l’anno successivo anch’io sarei stato nella pattuglia capi insieme a lui. Ma così
non è stato, perché se n’è andato prima.
Ma tutto quello che ci ha insegnato, quello c’è ancora, come il nostro affetto.
Buona caccia, Rupe Nera, nei celesti "boschi e prati in fior".
Claudio Favaretto