Centro Studi e Documentazione Scout "Don Ugo De Lucchi"

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La sua passione per l’uomo cammina ancora con noi

Ci pare che in questa raccolta di ricordi e testimonianze non possa mancare quella di Checco Piazza, il capo scout che, con don Ugo, ha " piantato" lo scautismo a S. Maria del Rovere.
Rileggendo la sua testimonianza scritta dieci anni fa, l’abbiamo giudicata significativa e importante, e la riproponiamo.

 

Esistono nella vita di ogni uomo, nel suo periodo giovanile in particolare, avvenimenti così importanti da determinare, nel bene e nel male, le scelte del suo percorso esistenziale. 

Io benedico sempre il Signore d’avermi fatto conoscere, quando avevo ancora tutta la vita davanti e la mia giornata terrena era da inventare, da godere e da patire, don Ugo e d’avermi concesso la preziosa esperienza di collaborare con lui e il tempo per capire la sua testimonianza di uomo, di cristiano, di prete. 

Un umile prete, pronto sempre a compiere il suo dovere ed a donarsi nel servizio, là dove il Signore ed i suoi superiori disponevano che operasse, dotato di un’intelligenza superiore alla normalità; di una sensibilità ricchissima di carità e di umanità, di una cultura vasta e pure specifica in determinati campi, scelti ed amati, soprattutto di una preziosa, eroica esperienza del dolore fisico e morale che unita alle sue altre doti, lo rese addirittura eccezionale. Cappellano a S. Maria del Rovere, attento alle realtà del suo tempo ed aggiornato su quanto di nuovo si manifestava nel dopoguerra, dopo le vicende tragiche dei bombardamenti e delle persecuzioni, dell’odio dell’uomo contro l’uomo, del crollo morale e materiale della nazione intera, intuì quante possibilità dava lo scautismo per l’educazione dei ragazzi e dei giovani e fondò gli Esploratori nella parrocchia dove operava in stretta collaborazione col parroco don Gino Longo. 

Il Signore lo attendeva per provarlo come "oro al crogiolo"; ed una gravissima malattia lo strappò ai suoi cantori, ai suoi scouts, al suo servizio. Senza di lui il Riparto entrò in crisi e si disperse.

 Nell’autunno del 1951 fui mandato dal Commissario Provinciale ASCI a rifondarlo e cominciai a sentir parlare in forma quasi leggendaria di questo prete, di questo don Ugo che nessuno aveva dimenticato! Mi disse in seguito che nel pieno del suo male, all’Ospedale di Asiago, aveva chiesto tre cose al Signore, se fosse almeno in parte guarito: tornare a S. Maria del Rovere, tornare a lavorare tra gli scouts, dirigere con i suoi cantori la Messa Solenne in S. Marco per la Beatificazione di Pio X, figlio come lui della terra di Riese e da lui ammirato, venerato ed amato in modo particolare. 

Fu così: tornò a S. Maria del Rovere, riprese in modo trionfale a dirigere i cantori e li portò a S. Marco a cantare per la Messa Solenne del Beato Pio X, ma... con umiltà e senza mai interferire anche solo con fuggevoli presenze, non riprese a lavorare con gli scouts poiché c’era già un ottimo cappellano che lo aveva sostituito e che altrettanto bene faceva l’Assistente sia degli Esploratori che dei Lupetti. Fino a che, con il trasferimento del cappellano per altro incarico in Diocesi, ecco che si verificava anche la tanto attesa possibilità. 

E da quel momento, fino alla morte, oltre ai tanti altri incarichi ed alle tante attività nelle quali si donava, fu Assistente Scout, spalancando la porta del suo povero studio e della sua ancor più povera cameretta, all’ultimo piano dell’Oratorio. A qualsiasi ora i ragazzi lo trovavano: era lì ad attenderli, per suonare il pianoforte, per fare le lezioni, per leggere, per confidargli piccole grandi amarezze, successi e delusioni. 

Aveva messo a disposizione degli altri tutto: il suo tempo, le poltrone fatte con vecchi sedili di automobile, il pianoforte ricostruito con pezzi vari di diversa provenienza, la sua macchinetta da caffè, il giradischi, la sua enorme cultura, la sua libreria... 

A proposito di questa vale la pena di ricordare quanto essa collaborò alla crescita di tanti ragazzi; vasta e ricca di novità comprendeva oltre a stimolanti ed aggiornati libri religiosi, a moltissimi ed attualissimi libri di storia, di letteratura, di musica e di scienza, tutta una "riserva" di libri umoristici. Da questa imparammo a conoscere, capire e far propri per affrontare la vita anche con levità, finezza e serena tolleranza, autori come Jerome, Wodehouse, Massimo Simili, Carletto Manzoni, Guareschi, Mosca... ed intanto qualcuno metteva su un disco di Rascel e giù a ridere sulle note di "Napoleon, Napoleon, Napoleon...". 

Dall’alba a notte inoltrata era al servizio di tutti, correndo con la sua vecchia Lambretta a parlare coi genitori dei piccoli cantori o degli scolari delle Elementari; a consolare, bevendo insieme un bicchiere di vino; cantori anziani con problemi ben diversi da quelli dei giovani, a celebrare la Messa al Brefotrofio, a confessare o solo ad ascoltare e consigliare... dovunque sapesse di essere atteso, chiesto, desiderato, sempre in ubbidiente collaborazione col suo Parroco. Fra gli scouts era felice. 

Il busto di gesso che lo immobilizzava dolorosamente, senza che mai ne parlasse, lo costringeva ad avere sempre un posto per star seduto, non poteva accovacciarsi sull’erba ed a gambe incrociate godere dell’atmosfera coinvolgente dei fuochi di bivacco e allora c’era sempre o una sedia sgangherata o un cassone per lui e sorrideva e cantava e pregava, pronto a precipitarsi di corsa in Parrocchia se don Longo lo richiedeva, magari per S. Anna, con qualsiasi tempo e poi ritornare al Campo di notte (a Domegge, a Palus S. Marco, a S. Lucano...) tutto inzuppato di pioggia e di fango, con la Lambretta fumante, stanco morto e pur sempre esemplare, senza un lamento, un accenno di protesta, neppure un sospiro, uno sbuffo. Un prete eroico col sorriso sulle labbra. 

La sua lezione di vita parte dall’accoglienza. Accoglienza di tutti, al di fuori delle associazioni, delle scelte morali o politiche, delle abitudini, delle estrazioni sociali, della preparazione culturale... Io e tanti altri abbiamo fatto tesoro del suo porsi davanti a chiunque cercando sempre i lati positivi della persona e, senza mai nulla chiedere, mettersi a sua disposizione in semplicità, senza ruoli, offrendo la sua amicizia. Ecco, l’altra parte della lezione: l’amicizia. 

L’amicizia totale, la fiducia data per scontata, il parlare senza riserve o infingimenti ma anche senza acredine o saccenteria, la volontà di essere sempre in sintonia, di posporre il proprio stato d’animo, il proprio  momento esistenziale, a quello degli altri, volerli accogliere col sorriso quando sorridevano, con partecipe preoccupazione quando erano in crisi, con scienza profonda in Dio, quando erano dubbiosi. Mai prediche non richieste, intromissioni furtive nei sentimenti, nelle anime... l’esempio, l’onestà totalizzante dell’esempio della sua vita era la lezione continua. Sembrava che tutti quelli che il Signore gli faceva incontrare fossero ugualmente importanti e cari, perfino si accaniva, in lunghe ed edificanti conversazioni notturne a comprendere e riscattare le figure negative o dubbiose della storia, come Pilato davanti a Gesù; Pilato, figura concreta con la quale tutti facciamo i conti, assieme a Giuda, a Pietro, ai Discepoli che ancora ad Emmaus non riconoscevano Gesù malgrado sentissero ardere il cuore nel petto. 

L’amicizia con l’uomo portava don Ugo ad ammirare l’opera dell’uomo, il senso religioso della sua creatività al di là delle debolezze e delle cadute contingenti. Così distribuiva a piene mani le conquiste del suo spirito e del suo intelletto e i ragazzi imparavano a commuoversi nell’apprendere e cantare laudi medievali come gli adulti tentavano di accostarsi al pensiero filosofico, non avendo avuto la fortuna di fare corsi di studio di alto livello. Era la lezione di dare tutto se stesso, quello che uno ha di materiale e di spirituale, le proprie conquiste, la propria cultura, la propria esperienza, non le proprie incertezze, le proprie sofferenze, le proprie delusioni perché in spirito d’amore quelle bisogna tenerle dentro per lasciarle straripare nell’abbraccio di Dio con il quale don Ugo aveva tanta dimestichezza e filiale consuetudine per l’abitudine a tanti colloqui, a tanti rasserenanti abbandoni. 

In sintesi la lezione di don Ugo fu proprio una lezione d’amore. Fino a morire, d’infarto, in Oratorio, in "prima linea", steso precipitosamente sul suo lettino, con i suoi ragazzi intorno, con i più grandi che accorrevano al dilagare della notizia. Gli scouts stavano preparandosi per il S. Giorgio che sarebbe cominciato il giorno dopo in Villa Margherita e si guardavano stravolti fra loro chiedendosi: "...e adesso da chi andremo?"... a confidare i progetti, a chiedere consiglio, a raccontare le avventure ed i successi, a consolarci delle sconfitte... 

Ora, tutti noi che l’abbiamo conosciuto, sappiamo che lui ha camminato e cammina con noi, uno per uno, ciascuno di noi ha il suo don Ugo vicino, con la sua continua lezione di disponibilità, di accoglienza, di serenità, di tolleranza e con il suo severo ammonimento che siamo responsabili della nostra fede, della nostra cultura, della nostra felicità, nelle prove più dure e a prima vista insuperabili, nei brevi tempi di pace e di gioia, nel più o meno lungo cammino che ci porta a tornare a casa.

Francesco Piazza