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Canta filomena (*)
Mendicavamo canti di usignoli
per le siepi di acero campestre,
in notti - immensità basilicali –
di maggio, ormai più di vent’anni fa.
Nel silenzio serale si sentiva
venire il canto vivido e solenne,
“L’usignolo!” dicevi e si partiva
per le “Verine” verso San Paè
perché nel nostro giovane giardino
- troppo piccoli gli alberi –
non veniva a cantare filomena,
la schiva, timorosa cantatrice
diffidente, dal trillo cristallino,
dalla fonda armonia incantatrice.
Asfalto, case, stravoltati i sensi
di percorsi, di fossi secolari,
cancelli, muri, fiotti grigio cenere
di glicine straniera e non c’è più
una siepe-foresta, intrico oscuro,
grembo, ricetto, provvido e sicuro
vallo allo spazio aperto,
(*)
Anticamente così veniva chiamato l’usignolo |
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