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Sonetto di marzo
					Smesse ha le foglie il giovane castagno
			ed il carpino austero s’è spogliato,
 punte aguzze di crochi in mezzo al prato,
 cerca ogni creatura il suo compagno.
 
 Antichi riti, mèmori segnali,
 anche a cantarne si usano parole
 vecchie di ieri, semplici, ancestrali.
 E dopo il sonno ci si scalda al sole.
 
 È bello farsi deboli e malati
 di povertà per essere stupiti
 nel cuore e nella mente, emarginati
 
 tutti da tutti ed i corali inviti
 ridurli propri e farli inascoltati,
 coscienti ormai che i sogni son finiti.
 
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			Una storia
			
					Febbraio, viti appena potate, sul vialetto intriso di pioggia,
 profumo di erba e di terra.
 “Ti amo”. “Lasciami pensare”.
 E a giugno, lucente la Strada
 Ovest nel sole, campagne
 aperte, azzurre montagne...
 “Anch’io”. Le nostre vite
 presero a correre felici
 ed infelici, insieme.
 - Come agile zampa di cervo
 sfiori le pallide foglie
 e la terra
 che il segno tuo custodisce... –
 Ma a chi può mai interessare
 una storia così banale,
 così densa all’interno
 così normale all’esterno?
 Io so che c’è chi ha seguito la mia,
 la nostra storia
 e con amore infinito.
 Tutto nel marmo ha scolpito,
 tutto in eterna memoria
 fuso in metallo prezioso.
 Così, fin dall’inizio
 nel tardo inverno brumoso,
 nel lucido solstizio
 d’estate. E sei tu, eri tu Signore.
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