scandalosi, si accalorava, si indignava e prendeva posizione senza riguardi né opportunismi. E dal suo orizzonte interiore vedeva e colpiva giusto.

E tuttavia - al di fuori di quel costante campo di impegno, o proprio in rapporto ad esso - Arduino, dopo tanti spostamenti, aspirava ora a un'attività confacente ai suoi anni, comportante il ritiro in un posto fisso, con un servizio regolare. Una casa, dopo la tenda; una comunità organica e reale, dopo l'esperienza travolgente dell'associazionismo giovanile; una piccola chiesa sua propria, dopo i molti altari serviti all'aperto o in sedi di varie istituzioni.

Anche l'eterno Assistente don Faccin sentiva, insomma, l'umano bisogno della parte di Maria, dopo l'attivismo di Marta. E nel suo animo sperava di compensare così anche la devozione della sorella, che da anni, umile e discreta, condivideva con lui i disagi e le precarietà di quella condizione: che furono, ad esempio, anche precarietà di dimora. Sembrava legittimo sperare, e Arduino sperò e si illuse.

Per un poco parve addirittura che le cose andassero in questo senso, e che il miracolo della sistemazione si avverasse; fu nel passaggio fra gli anni '60 e '70. "Don Arduino - annota sempre Maria - aveva sostituito (nelle funzioni di vicario, a Treviso) per due o tre anni una persona che poi era morta; e aveva la Chiesa sempre piena tutti i giorni, perchè dicevano che celebrava la Santa Messa così bene".

 Sembrava logico che l'incarico preludesse a un servizio definitivo, profilatosi mentre perdevano credito altre "soluzioni" vagamente ventilate. Come quella che don Faccin sarebbe subentrato a don Ferdinando Pasin nella parrocchia di San Martino; o che invece diventasse il successore di don Leo Alberton alla guida dell' "ORIENS", la benefica istituzione educativa creata in favore dei ragazzi sbandati e senza famiglia, detti ancora "Sciuscià". Anche lì Arduino aveva svolto per anni, in ambiente difficile e defatigante, le funzioni di direttore spirituale, con ennesima prova di gratuità.

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La piccola chiesa vicariale nel centro cittadino appariva lo sbocco naturale di tutto, e insieme l'esito più adatto della sua "carriera"; è strano e ammirevole infatti come nel nostro prete le qualità di animatore si siano sempre alternate a quelle di "mediatore" e "maestro"; queste e quelle infine stavano per fondersi in un preciso compito pastorale.

 

Nonostante le premesse, le cose non andarono così. A don Faccin, navigatore solitario, l'approdo da ultimo fu negato: e noi, i suoi amici, siamo qui ora a domandarci come sia accaduto questo "contrario" senza che allora quasi ce ne avvedessimo e intervenissimo a sventarlo. È doloroso ammetterlo: qualcosa ci sfuggì, e Arduino - certo - non ce lo fece notare.

Del resto le cose intorno a lui erano cambiate proprio in coincidenza con l'allentarsi della presenza sua e nostra nell'attività scautistica; la vecchia generazione scautistica via via si ritirava negli impegni della famiglia e della professione, mentre i giovani (estranei a quella solidarietà pionieristica delle origini, e incalzati da prospettive di rifondazione), ignoravano ormai - legittimamente - le figure dei precursori: e tanto più i loro problemi!

 D'altronde la società civile e la stessa Chiesa si presentavano all'improvviso travagliate da sussulti estremistici o lacerate da contrapposizioni verticali. Del Concilio, appena concluso, s'era come dissipato il clima di fervore e di rinnovamento, lasciando luogo a profondi contrasti.

Tutto ciò, sempre a rigor di logica, non avrebbe dovuto disturbare don Arduino, la cui avanguardia s'era tradotta in risultati tanto significativi, e la cui fedeltà poteva rappresentare, contro gli sbandamenti, i valori della coerenza. Certamente nessuna ambiguità poteva essergli imputata: né si poteva confondere con cause provvisorie la natura morale della sua civilissima protesta: "La sua apertura d'animo - commenta letteralmente Mons. Onisto - era insieme disponibilità per le persone e rispetto per

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