Qui si può dare spazio a un episodio secondario, ma che non è possibile trascurare perchè lasciò nell'animo di Arduino un ricordo e un sentimento idelebile, tanto è vero che egli lo narrò molti anni fa in confidenza a chi scrive, e io stesso mi sono poi emozionato a ritrovarlo tale e quale nelle note di Maria Faccin. È l'episodio che a me e a Checco ha suggerito la memoria artistico-poetica del tempietto di San Giorgio. Con questo ricordo letterale, nelle parole della sorella, mi sembra giusto esaurire la parte dedicata all'infanzia e all'adolescenza di Arduino, sul quale poi si chiusero gli anni fervidi ma altrettanto severi del seminario di Treviso, poco diversi allora da quelli non di un collegio, ma di un convento ("andare a trovarlo dopo un mese, perchè prima non si poteva: neanche vacanze, né a Natale né a Pasqua"). Entriamo quindi per l'ultima volta nell'animo di questo ragazzo che si avvia a farsi prete, ma che coltiva in sè dolci memorie di prati, di lucciole, di alberi. Lo sforzo dello studio e le condizioni di vita al chiuso del collegio avevano lasciato tracce nella salute del giovanetto e occorreva rimediarvi trascorrendo i due mesi di vacanza alle arie buone della pedemontana. Lasciamo ancora raccontare Maria, con la tenerezza insostituibile dei suoi ricordi: "La mamma aveva una sorella sposata a Segusino, Riva Grassa, altitudine 500 metri, ma che aveva anche una `casera' a Spinose, sui 750 metri, dove d'estate portavano le bestie. Papà è andato a nome della mamma a chiedere alla cognata se prendeva Arduino per due mesi perchè aveva bisogno. Lei disse di sì ma che lassù era in difficoltà per dormire, perchè erano letti per montagna; il papà ha detto che gli porterà il materasso di lana. Il più presto possibile per non perdere tempo, il papà ha accompagnato Arduino dalla zia con l'asino di Marin Tiberio, perchè la strada era brutta e difficoltosa. E questo per tre anni: e tornava a casa sempre bello rimesso, che stava bene". Il primo viaggio per quella straordinaria vacanza è sempre rimasto impresso nell'animo di Arduino Faccin: e vi aggiungeva 8 [esci] |
i particolari del "Sandordi", del carro traballante, del rosario e delle ciliegie; che abbiamo voluto ricuperare in quella poesia. Ma c'è dell'altro che mi ha spinto ad insistere: ed è la convinzione di includere l'orizzonte della montagna come elemento significativo nella formazione di quest'uomo che seppe conservarsi ragazzo anche quando fu prete. Iniziando da quelle groppe del Cesen, altezze modeste ma che scivolano rapidamente sulla pianura, Arduino sentì il fascino autentico della montagna: e più tardi ne indagò la lezione di vita in salite impegnative o nei silenzi di valli misteriose. Qualcosa ci sfuggirebbe della sua spiritualità e del suo costume solitario se ingnorassimo questa dimensione. Lo dico anche per i molti che l'hanno conosciuto nello scautismo: certo non sorprende vedere don Arduino celebrare la messa in mezzo alle tende sotto le vette. Ma attenti alle coincidenze arbitrarie; certe cose non le ha imparate con noi. Le sue premesse sono state altre: si trovano in un'umile `casera' di alpeggio, in mezzo ai pascoli profumati dei primi rilievi pedemontani.
Gli anni di Arduino al seminario, prima studente, poi teologo, appartengono tutti ad una esperienza di cui abbiamo visto i frutti senza conoscere lo sviluppo nei particolari. Anche i ricordi della sorella in proposito sono essenziali: "Dopo qualche anno è diventato prefetto, prima dei piccoli e poi dei grandi. Gli volevano tutti bene, è sempre stato promosso, sempre a luglio, tutti gli anni. Buono, serio, meditava, pregava con il breviario". La conferma del quadro semplice e toccante (davvero di sapore evangelico) ci viene, se ne avessimo bisogno, ancora da mons. Onisto. "Era benvoluto da tutti i compagni che lo circondavano sempre di affetto e di stima. Per anni, dopo la professione sacerdotale, sostenne l'incarico di `segretario' di quella leva di preti che mantennero a lungo una costumanza di rapporti fra loro, riunendosi convivialmente almeno una volta all'anno". 9
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